domenica 12 agosto 2012

Sequenza di Fibonacci & la musica...

Dal momento che i rapporti musicali sono presenti in tutta la natura, sarebbe sorprendente se la sequenza di Fibonacci, che è talvolta chiamato "l'impronta digitale di Dio", non poteva essere trovato nella scala musicale.
È, in molti modi, come può essere illustrato sulla tastiera del pianoforte.



 


Fra le molte nuove voci inserite nell'ultima edizione (1996) dell'Enciclopedia della Musica Garzanti, cerchiamo e troviamo (p. 817!) il termine «sezione aurea». Estrapoliamo un passo dall'esposizione:
« L'indagine sulla s.a. costituisce una branca fortemente sperimentale dell'analisi, nella maggior parte dei casi posta quasi esclusivamente in relazione alla sfera formale della musica [...] ».
Fortemente sperimentali o meno che siano, è bene sottolineare che i primi studi sull'applicazione della S.A. alle strutture formali della musica, risalgono ormai alla metà del XX secolo. È infatti proprio del 1950 un articolo di J. H. Douglas Webster (in Music&Letters) che, citando un gran numero di partiture nelle quali possono essere riscontrate «proporzioni auree», apre ufficialmente la strada a quest'affascinante settore dell'analisi musicologica.2
Ma il primo vero specialista in materia è stato certamente il musicologo ungherese Ernö Lendvai, i cui famosi studi sulla S.A. nelle strutture musicali bartókiane, hanno il merito, grazie anche alle numerose pubblicazioni e traduzioni in cui ci sono stati consegnati (dal 1955 in poi), di aver ampiamente diffuso la conoscenza di una disciplina che fino ai primi anni settanta risultava ancora appannaggio di pochi iniziati.3
Tra il 1977 e 1986, Roy Howat — altro musicologo il cui lavoro di ricerca rimarrà fondamentale per il proseguo degli studi in questo campo —, scandaglierà più approfonditamente la materia soffermandosi in particolare sull'opera compositiva di Debussy (Howat 1983a); e tentando, inoltre, una revisione delle analisi lendvaiane (Howat 1983b), revisione, che susciterà la prevedibile e puntuale replica del “maestro” (Lendvai 1984).4
Queste ad oggi, a parer nostro, le tre tappe principali della ricerca musicologica sulla S.A.. Ma va da sé che la mole di studi matematico-proporzionali effettuati in campo musicale nel corso della seconda metà del XX secolo, sia oltremodo notevole.5 Ed è anche chiaro che, in mancanza di tante e precise indagini, oggi, con tutta probabilità, ci risulterebbe assai difficile immaginare che i compositori, dal canto loro, avessero già affrontato e studiato il problema relativo alle «proporzioni matematiche» (in particolare l'applicazione della S.A. alle strutture architettonico-formali della musica) fin dal Medio Evo. Inoltre, a riprova del fatto che un'aura esoterica avvolge da sempre la presenza della S.A. nei più disparati campi del sapere umano, volentieri ricordiamo che, nonostante la trattatistica medievale in materia di proporzioni e musica sia cospicua, in nessuno dei testi pervenutici si fa cenno all'aspetto complessivo architettonico-proporzionale insito nelle strutture formali di una composizione.6
Ma alla luce delle molte analisi di cui sopra, è ormai più che certo che personaggi come Machaut e Dufay — solo per citare due fra i casi oggi più noti tra gli studiosi — conoscessero assai bene le proprietà della S.A. e tutta la sua “mirabile potenza”.7
Sarà però all'interno delle strutture della musica composta nel secolo appena conclusosi che la S.A. troverà terreno fertilissimo propagandosi a dismisura: Debussy, Stravinsky, Bartók, Xenakis, Stockhausen, Nono, Ligeti, Manzoni, Gubajdulina; e l'elenco potrebbe continuare ed occupare un'intera pagina;8 ma qui ci limiteremo ai casi più conosciuti, e a quelli in cui la presenza della S.A. è chiaramente frutto della volontà del compositore, e non imputabile a semplici coincidenze numeriche o formulazioni inconsce dovute alla sensibilità individuale dell'artista nei confronti delle «proporzioni auree».
Sussiste infatti questo non indifferente problema, relativo, appunto, alla comprovabile ed effettiva presenza di un cosciente “progetto aureo”, rilevabile, in sede analitico-musicologica, in nuce al processo generativo-creativo di una struttura musicale. Problema riconducibile al fatto che le proporzioni di S.A. sono di frequentissimo riscontro in natura, e perciò (sensibilità individuale permettendo), in un certo qual modo, direttamente congenite ed istintive per ognuno di noi.
Per questo motivo, stabilire se «strutture proporzionali auree» siano effettivamente dovute a progetti razionali volti alla realizzazione mirata di tali obiettivi, o siano semplice coincidenze, oppure il risultato di uno straordinario e ancestrale senso della forma, può essere, a volte, impresa molto ardua.
Ma fortunatamente per noi (che ci apprestiamo ad analizzare i fatti), la gestione dei parametri relativi allo scorrere del «tempo musicale» (questo l'ambito che qui esamineremo in particolare), posti in relazione alle «proporzioni temporali» di un opera, comporta spesso, in fase creativo-compositiva, una serie di problemi e complicazioni logistiche di non facile risoluzione e il cui superamento, specie ad alti livelli di complessità costruttiva, può avvenire solo ed esclusivamente mediante un consapevole e sapiente progetto architettonico delle strutture formali. Progetto, che lascerà pur sempre, anche nel più enigmatico e misterioso dei casi, qualche traccia del processo cognitivo matematico-intellettuale ivi presente.
*
Entriamo ora nei dettagli tecnici, evitando il più possibile una vera e propria trattazione geometrico-matematica che ci allontanerebbe dai risvolti simbolico-numerologici ed estetico-artistici che intendiamo affrontare principalmente.9
Per prima cosa diremo che per S.A. s'intende una porzione di una grandezza corrispondente a poco meno dei due terzi del suo totale (ca. 5/8 o 13/8);10 più precisamente, se dividiamo un segmento ‘AB’ in un punto ‘C’ in modo che:
AB : AC = AC : BC,
la porzione ‘AC’ verrà denominata S.A. di ‘AB’.
Quindi, se poniamo ‘AB’ come ‘a’ e ‘AC’ come ‘x’, avremo:
a : x = x : (a - x);
da cui:
a(a - x) = x2,
e:
x2 - a(a - x) = 0.
E qui mi fermo, anche perché Euclide, primo a trattare in modo esplicito di S.A. (Elementi, libro II, propos. 11a ), c'invita a risolvere il seguente problema:
«Dividere una retta data in modo che il rettangolo compreso da tutta la retta e da una delle parti sia uguale al quadrato della parte rimanente».11
Proposizione elegante ed affascinate, ma che per il suo aspetto prettamente geometrico potrebbe forse risultare di non semplice — o comunque non d'immediata comprensione — a tutti coloro che non hanno fatto, contemporaneamente alla musica, anche della matematica e della geometria il proprio pane quotidiano.
Ma il nostro Euclide — un po' più avanti nel suo trattato — esporrà poi la famosa «definizione IIIa», la cui formula d'apertura, per i molti secoli a venire, verrà adottata da tutti gli studiosi come la più autentica espressione del concetto di S.A. (Elementi, libro VI, defin. 3a):
«Si dice che una retta risulta divisa in estrema e media ragione, quando tutta quanta la retta sta alla parte maggiore di essa come la parte maggiore sta a quella minore».12
Definizione, questa, che inevitabilmente però ci riconduce alla proporzione « AB : AC = AC : BC » da noi esemplificata sopra.
A toglierci dall'imbarazzo della “definizione” sarà il matematico italiano Leonardo Fibonacci (Leonardo Pisano)13 che, dopo aver “navigato” in lungo e in largo nella cultura arabo-matematica, nel 1202 ci consegnerà il suo famoso trattato intitolato Liber Abbaci. Lì, fra le altre migliaia di cose riportate, in un breve capitoletto e tramite un simpatico quanto efficace “quesito” (“proposizione” se volete) sulla prolificità dei conigli (letteralmente « Quot Paria Coniculorum In Uno Anno Ex Uno Pario Germinentur »)14 il Fibonacci esporrà, senza peraltro rivelarci espressamente alcunché, una “magica” quanto antica serie numerica che solo in tempi più recenti prenderà poi il suo nome.15
Questi i primi tredici termini della futura e denominata «Serie di Fibonacci», che compaiono nel Liber Abbaci (Fibonacci 1857:284) in relazione a quell'ipotetico e “curioso” numero progressivo di coppie di conigli procreate nel corso di un anno (Quot paria...):
1.2.3.5.8.13.21.34.55.89.144.233.377.16
Questa serie matematica ricorrente possiede numerose ed interessanti proprietà. Citeremo: 1) la più evidente, cioè che ogni numero è la somma dei due precedenti; 2) la più straordinaria (al caso nostro), ossia che tre numeri consecutivi estrapolati in un punto qualsiasi della successione (fatta eccezione per i primissimi termini) sono, grazie ad una straordinaria approssimazione, eccellenti valori numerici per la realizzazione di segmenti in proporzione aurea.
Applicando ad esempio i valori fibonacciani « 55.89.144 » alla proporzione “euclidea” precedentemente esposta (« AB : AC = AC : BC » dove AB sarà «144» e AC sarà «89») avremo una visione lampante del concetto matematico di S.A.:
144 : 89 = 89 : 55
per cui la S.A. di 144 (AB) sarà 89 (AC).
Succede però che la relazione:
a(a - x) = x2
non viene soddisfatta; questo perché:
144(144-89) ¹ 892;
infatti:
892 - 144(144 - 89) = 1.
Quale sia la «sequenza aurea» fibonacciana utilizzata, il risultato sarà sempre identico: ±1 (regolarmente alterni di pari passo al procedere di grado delle triadi auree estrapolate dalla serie) invece di ‘0’. Il fatto si spiega facilmente, poiché i numeri di Fibonacci sono numeri interi e quindi, come accennato, lievemente approssimati rispetto all'effettivo valore di S.A. di un segmento, quest'ultimo, al contrario, sempre espresso da un irrazionale.
Per conoscere l'esatto valore della S.A. di 144 (a) è sufficiente moltiplicare il nostro numero per 0,618..., coefficiente, questo (Le Nombre d'Or), ottenuto dalla formula di seguito esposta e a sua volta derivata dall'equazione iniziale di cui sopra:
(Ö5-1)/2 = 0.6180339...,
per cui:
x = a (Ö5-1)/2.

La nostra ‘x’ sarà quindi corrispondente a 88,99... .17
Ora, tornando alla musica, a qualsiasi unità di misura tale risultato si riferisca (durate temporali, numero di battute, quantità di note, etc.) si comprende facilmente che ai fini “artistici” la differenza è assolutamente irrilevante; ed è bene ribadire che il nostro occhio (arti visive), ed anche il nostro orecchio (musica), possono essere soddisfatti da valori assai più lontani da quelli matematicamente esatti riportati sopra, compresi i numeri di Fibonacci, che già incorporano un livello di approssimazione tanto eccellente da risultare praticamente inavvertibile alle nostre comuni capacità di discriminazione sensoriali.18
La serie di Fibonacci ci appare pertanto come uno straordinario archivio di «sequenze auree», non a caso utilizzate in svariati modi — alcuni dei quali estremamente creativi ed ingegnosi — da quasi tutti i compositori che abbiano sviluppato un qualche interesse per le virtù della S.A..
Ora, se dal punto di vista pratico l'applicazione di proporzioni auree nelle arti visive (pittura e architettura ad esempio) può essere facilmente intuito (ovvero una suddivisione più o meno elaborata dello spazio in porzioni auree)19 in campo musicale — causa non indifferente il fattore «tempo» — la faccenda risulta assai più complessa.
Per fare un primo semplice esempio, immaginiamo l'ascolto di un brano musicale composto da 144 battute in 4/4, e che all'attacco della mis. 90 sia contraddistinto da un evento timbrico, dinamico o formale di notevole rilievo, o comunque tale, da farci percepire nettamente la transizione dal primo segmento di 89 btt. al successivo di 55. In teoria, in fase di ascolto, dovrebbe aver luogo una percezione auditiva delle due sezioni del brano in proporzione aurea; a patto però, che la scansione metronomica del «tempo musicale» sia sufficientemente regolare, metronomicamente costante cioè, così da garantire una corrispondenza fra lo scorrere del «tempo cronometrico» e il numero di battute del brano. Sarebbe infatti sufficiente una diminuzione agogica a metà dell'esecuzione, per rendere nullo l'effetto di S.A. fra i due “segmenti”; le cui proporzioni, nel caso della nostra elementare esemplificazione, dipendono esclusivamente dalla sequenza e durata numerico-temporale delle battute.
Un secondo esempio, molto più elaborato, lo preleviamo direttamente da una delle partiture più studiate e discusse in materia di “analisi aurea”.
Si tratta della sezione «A-B», del terzo tempo della Musica per strumenti a corda, percussione e celesta (d'ora in poi Musik) di Béla Bartók.
Il frammento consta di 15 misure in 4/4, e sono presenti due indicazioni metronomiche diverse: MM. ca. 56 per semiminima per il primo segmento di 11 mis. e MM. ca. 46 per semiminima per le rimanenti 4. Consideriamo ora la durata totale del frammento in 60/4 (15×4), dove i primi 14/4 sono occupati da un episodio introduttivo, i successivi 30/4 da una esposizione tematica e i rimanenti 16/4 da un episodio risolutivo di transizione che collega il tema precedente al seguito della composizione. Calcolando ora, mediante estrapolazione matematica, le durate in minuti secondi dei singoli frammenti e considerando, inoltre, il «rallentando» tra il passaggio da una all'altra indicazione metronomica avremo, rispettivamente, circa 15'' + 34'' + 21''.
Benché l'esempio di primo acchito possa apparire un poco capzioso, credo sia comunque straordinariamente illuminante, in quanto dovrebbe bene evidenziare l'importanza basilare delle indicazioni agogiche e metronomiche ai fini di un'effettiva determinazione di «proporzioni temporali» prestabilite (“auree” nel nostro caso poiché « 13.21.34 » sono numeri di Fibonacci!) all'interno di strutture musicali.
Quanto alla capziosità, siamo coscienti che potrebbe anche trattarsi di pura e semplice coincidenza (“faziosità” se volete, per intenderci, un po' come capita in ambito numerologico quando si rimescolano le misure della Grande Piramide di Cheope). Ma va da sé, che corrispondenze numeriche di questo genere — che si presentano con una certa qual piacevole e “curiosa” insistenza nell'opera bartókiana citata — potrebbero forse celare qualche ulteriore particolare matematico-simbolico (leggi “istruzioni per l'uso”) forse non ancora completamente evidenziato nonostante, nel corso degli ultimi cinquant'anni, il brano sia stato sottoposto a numerose e dettagliate analisi.
A tal riguardo, è interessante notare cosa diceva una dozzina di anni addietro la compositrice Sofia Gubajdulina (1991:29):
«[...] l'aspetto ritmico della musica di Bartók mi interessa moltissimo, al punto che vorrei studiare a fondo la sua applicazione della Sezione Aurea ».
Sarebbe assai interessante conoscere su quali particolari aspetti ritmico-proporzionali della musica di Bartók si volesse soffermare il genio creativo della compositrice russa, anche perché, già gli splendidi esiti di Stimmen... Verstummen... (1986) ci facevano auditivamente percepire gli enormi progressi compiuti dalla musica contemporanea (secondo Novecento) in materia di «proporzioni auree» e strutture «spazio-temporali».

***

Ma val la pena darsi tanto da fare per costruire strutture formali di questo genere?
Sul fascino esercitato dalle «proporzioni auree» sulla percezione visiva si è indagato, non poco, tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del XX secolo.
Al tempo, alcuni studiosi rilevarono che l'occhio umano trae un innato piacere per qualsiasi forma rispetti, anche se in modo approssimativo, le proporzioni di S.A..
Sarebbe infatti sufficiente un «rettangolo aureo» (ad es. 233×144, per rimanere su misure fibonacciane) per attrarre il nostro sguardo su di esso e prediligerlo rispetto ad altri di misure assortite.20
Sembrerebbe peraltro che parte della stessa struttura geometrica dell'occhio umano sia riconducibile alle proporzioni di S.A. (cfr. ad es. Montù 1973).
Ma ancor più interessante, sempre al caso nostro, ricordare che parte della struttura interna dell'orecchio (coclea), sia sostanzialmente riconducibile ad una spirale logaritmica: curva matematica questa, il cui grado di perfezione geometrico dipende esclusivamente dalle «proporzioni auree» che regolano lo sviluppo delle sue volute.
Ora, benché tutto ciò ci possa apparire come molto fantasioso e improbabile, potrebbe forse però aiutarci ad accettare con più facilità l'ipotesi che anche la percezione acustica di «segmenti temporali aurei» risulti particolarmente gradita al nostro orecchio. Prendiamo quindi la faccenda della “coclea” come una metafora, anche perché qui non credo sia opportuno tentare di approfondire l'argomento, per ragioni di spazio ovviamente, ma non solo.21
Per cui, svicolando problemi e “misteri” relativi alla psicoanalisi della percezione visiva e acustica, tentiamo, per quanto possibile, di districarci tra la selva di simbologie varie che frequentemente celano e al contempo rivelano, l'utilizzo della S.A. in campo artistico e letterario.22
Abbiamo detto della spirale logaritmica. E il nostro pensiero va immediatamente a On Growth and Form di D'Arcy Wentworth Thompson (1917) e, prima ancora, a On the Geometrical Forms of Turbinated and Discoid Shells del Rev. H. Moseley (1838); ma anche alla scrivania di Bartók (Lendvai 1971:29) e a Le Corbusier (Urbanisme 1924). Infine — scorrendo molti altri studi sull'argomento (cfr. bibl.) — potremmo giungere alle analisi musicologiche, ossia ai già citati Lendvai (1971:30-34) e Howat.
Quest'ultimo, in particolare (cfr. ad es. Howat 1983a), ha sistematicamente utilizzato la spirale logaritmica per evidenziare graficamente le «strutture proporzionali auree» di alcune composizioni di Debussy: La Mer ad esempio (tanto per rimanere in tema!) cosicché, qualche tempo dopo (1988), la Revue Analyse Musicale, dedicando un numero monografico a Debussy, non si lascia sfuggire l'occasione per mettere in copertina l'immagine di una conchiglia spiraliforme.
E dal “simbolismo” «esoterico-impressionistico» potremmo giungere a quello «cosmico-alchemico»: ossia a Stockhausen, o in altre parole, al fatto che sulla copertina del catalogo della Stockhausen-Verlag, campeggia una spirale logaritmica lungo le cui volute sono elencate le opere del compositore tedesco, da Chöre für Doris a Mittwoch aus Licht. O per “tacere” di un altro fatto: e cioè che fra tutti gli allievi del compositore alchimista — effettivi (Eötvös e Grisay per fare due nomi non a caso) o d'adozione (come ha più volte sostenuto d'esserlo Sciarrino) — ben pochi sono sfuggiti al fascino del “vortice aureo”.
Ora, se nel proseguo di questo discorso ormai inevitabilmente intriso di aspetti «magico-esoterici», rammentassimo pure l'esistenza di due figure geometriche come «pentagono» e «stella a cinque punte», ci inoltreremmo in un tale ammasso di simbologie mistico-filosofico-matematiche che nessuno studioso riuscirà mai a sondare in modo esaustivo.
Ho accennato alla stella a cinque punte (figura geometrica costruita unendo le diagonali di un pentagono regolare ma anche, per alcuni di noi, inconsciamente riprodotta nell'atto di apporre con penna un asterisco su un foglio, senza poi dimenticare la sua frequente presenza in Natura); quindi forse val la pena ricordare che le cinque rette che la compongono si intersecano fra loro dando origine a segmenti in «proporzioni auree». E se la serie di Fibonacci ci regalava valori approssimati, qui abbiamo a che fare con segmenti la cui precisione assoluta è espressa da valori irrazionali, il che, agli occhi degli antichi, dovette apparire come qualcosa di sbalorditivo ed inesplicabile.
Non a caso i pitagorici attribuirono a questa figura geometrica, «pentalfa», particolari proprietà magiche e con buona probabilità, fu per motivi d'imperscrutabilità e potenza incantatoria delle proporzioni lì e altrove “divinamente” presenti, che le conoscenze relative alla S.A. furono, fin dai tempi più remoti, severamente e gelosamente custodite nell'ambito delle «dottrine esoteriche» (o «dottrine non scritte» se preferite quest'altra espressione).
Ma, a proposito di pitagorismo, nel 1958, sulla rivista Sophia, appare uno degli ultimi e straordinari contributi lasciatici da Vincenzo Capparelli. Trattasi (parlo del lavoro) di uno studio storico sulla S.A. (peraltro di fattura assai notevole per un ricercatore italiano dell'epoca!) che ne ripercorre le vicende dall'antichità fino al 1951. Anno da ricordare il 1951, poiché alla Triennale di Milano si tenne il primo Congresso Internazionale di studi sulle Proporzioni nelle Arti.
E qui aprirei una “finestra” (in senso formale sciarriniano).
*
Non abbiamo idea di quanta risonanza il congresso ebbe in campo artistico e in particolare nel mondo musicale, ma le date parlano chiaro (come dicevamo precedentemente, fu il secondo Novecento a invaghirsi, in modo particolare, della S.A.) e forse varrebbe la pena di approfondire la questione. Comunque, in concomitanza al congresso — a cui peraltro parteciparono tutti i maggiori esperti del tempo (Ghyka e Le Corbusier in primis) — la Triennale allestì anche una bella mostra bibliografica sull'argomento (cfr. Marzoli / Gnecchi Ruscone 1951).23 Assai interessante notare che nei settori della mostra riservati alla musica, oltre alle immancabili opere di Boezio, Gaffurio, Zarlino, etc. (vetrina 21; cfr. op. cit. p. 129), venivano esposte (vetrina 31; id. p. 134) partiture di Schoenberg (Pierrot Lunaire, op. 21), Webern (Passacaglia), Berg (Lulu), Dalla Piccola (Il Prigioniero), R. Malipiero (Sinfonia).24
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Chiusa la “finestra”. Riprendiamo il discorso.
Il Capparelli (cfr. 1958:208) attira la nostra attenzione sottolineando il fatto che, tanto nel Timeo di Platone, quanto nel De Architectura di Vitruvio, non si parla di S.A.:
« [...] certo fa meraviglia che Platone non faccia cenno nel “Timeo” di un tale importante, e a dir così, cosmico dato geometrico ».
In verità ci sarebbe un passo del Timeo che molti studiosi spesso citano come chiara esplicitazione del concetto di S.A.. Ma, guarda caso, il passo ben si adatta anche al più semplice concetto (e assai meno esoterico) di «proporzione geometrica»:
« Ma che due cose si compongano bene da sole, prescindendo da una terza, in maniera bella, non è possibile. Infatti, deve esserci in mezzo un legame che congiunga l'una con l'altra. E il più bello dei legami è quello che di se stesso e delle cose legate fa una cosa sola in grado supremo. E questo per sua natura nel modo più bello compie la proporzione [...] ».25
Effettivamente, però, in un certo qual modo, un'aura di S.A. avvolge gran parte del Timeo; e l'apice, a parer nostro (tesi sostenuta anche da altri), si tocca quando al momento di illustrare la struttura del “quinto solido” — il «dodecaedro» (12 facce pentagonali!) — Platone, dopo essersi prodigato in una dettagliatissima dissertazione sulla genesi geometrico-strutturale degli altri quattro solidi regolari, chiude improvvisamente l'argomento liquidandoci con due righe:
« Ma essendovi ancora una quinta combinazione, il Dio si servì di essa per decorare l'universo ».26
Due righe, ma del tutto sufficienti per capire che in ballo c'è qualcosa di estremamente importante dal punto di vista «estetico-filosofico» e «mistico-matematico».
Per quanto riguarda il “silenzio” di Vitruvio rimando a C. J. Moe (1945:69) e ancora al Capparelli (op. cit.):
« [...] bisognerebbe credere che Vitruvio non ne abbia trattato specificamente [della S.A.], perché le sue applicazioni facevano parte del bagaglio esoterico che si impartiva segretamente nelle corporazioni di arti e mestieri ».

***

Passa il tempo, passano i secoli, quelli di Platone, di Euclide, di Vitruvio..., ma la storia non cambia. Anzi.
Venezia 1509. Il matematico italiano Luca Pacioli fa stampare il suo trattato De Divina Proportione, portato a termine nel 1498 — con l'aiuto del suo amico Leonardo da Vinci — e redatto in tre copie manoscritte. Nell'opera confluiscono gli studi su Platone, Euclide, Campano, Fibonacci, il pensiero di Piero della Francesca, il sapere di Leon Battista Alberti, i probabili influssi della filosofia ermetica di Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, i misteriosi contatti con Albrecht Dürer e molto altro (magia e alchimia comprese): in due parole, uno spettacolare concentrato di «divina sapienza».
Ecco la dicitura dell'intestazione originale del capolavoro del Pacioli:

DIVINA
PROPORTIONE
Opera a tutti glingegni perspi/
caci e curiosi necessaria Ove cia/
scun studioso di Philosophia:/
Prospectiva Pictura Sculptu/
ra: Architectura: Musica: e/
altre Mathematice: sua/
vissima: sottile: e ad/
mirabile doctrina/
consequira: e de/
lectarassi: cõva/
rie questione/
de secretissi/
ma scien/
tia.

Dunque il Pacioli scrive «secretissima scientia» (cfr. Capparelli 1958:210), il che non lascia più alcun dubbio sugli aspetti esoterici che potevano rivestire le trattazioni sulla S.A. nell'antichità, al tempo del Pacioli e anche oggi.
Il Pacioli, peraltro, sul frontespizio del suo trattato, pone tra le varie «Mathematice» anche «architettura e musica». E queste due «arti matematiche», nell'ambito del discorso che stiamo affrontando, non possono che rimandarci alle ben note implicazioni esoterico-numerologiche riscontrabili in numerose composizioni della polifonia vocale del Quattrocento. È sì, stiamo proprio pensando a Guillaume Dufay e all'architettura del famosissimo e studiatissimo (anche più della Musik bartókiana) mottetto: Nuper Rosarum Flores.
Salto pindarico.
Torniamo cioè all'inizio del Novecento; e più precisamente a La Cathédrale Engloutie di Claude Debussy (magie e alchimie delle cattedrali!).
L'uso della S.A. nelle opere del compositore francese è stato indagato a fondo, come più volte abbiamo sottolineato, dal musicologo e pianista inglese Roy Howat. Vale la pena però soffermarsi sul famoso preludio pianistico, perché, fra le altre cose, è uno splendido esempio di numerologia applicata alle «proporzioni auree».
Il brano consta di 89 misure organizzate su una segnatura di tempo dall'aspetto sottilmente ambiguo: 6/4 = 3/2. L'interpretazione dell'autore (conservata su rullo di pianola) risulta in contrasto con le indicazioni dell'edizione a stampa (Durand 1910), Debussy suona infatti le 68 btt. “identificabili” con la segnatura 3/2 (btt. 7÷12 e 22÷83) al doppio del tempo iniziale, da cui: 89-68=21; 68:2=34; 34+21=55. Inutile ogni commento, purché si rammentino i termini (8.13.21.34.55.89) della serie di Fibonacci. E anche se Debussy non si fosse preoccupato di lasciarci in eredità la sua illuminante incisione su rullo di pianola, sarebbe stato sufficiente dare un'occhiata al manoscritto (o leggere le lettere di Debussy o contare le battute), per notare che le dodici crome che compongono la mis. 70 si sono “trasmutate” in altrettante semicrome, mentre la barra di divisione della successiva misura s'è dissolta nel nulla: a delucidazione dell'insolita notazione c'è un appunto sulla destra del foglio che dice: « ces doubles croches sont des croches ».27
Debussy è affascinato dalla S.A. e dai suoi aspetti esoterici; tanto da utilizzarla molto frequentemente nelle sue composizioni; e senza perdere l'occasione per “giocare” con i numeri o lanciare messaggi criptici: come la copertina della partitura de La Mer (Durand 1905), che per volontà del compositore porta raffigurata La grande onda presso la costa di Kanagawa di Katsushika Hokusai.28
Debussy e Bartók usano deliberatamente la S.A.; e anche se per alcuni studiosi questo è un fatto ancora discutibile, è assai curioso notare come per i due (benché appaia chiaramente loro non gradito parlare esplicitamente di S.A.) la tentazione di lasciare qua e là qualche misteriosa traccia del loro operato esoterico sia quantomeno irresistibile: questo forse allo scopo di indirizzare eventuali posteriori tentativi d'interpretazione (ovvero lasciare indicazioni ermetiche per gli “adepti”) o semplicemente per una sorta di ludico piacere filosofico-numerologico e cabbalistico (il cui fine è poi sostanzialmente lo stesso).
Debussy, peraltro, inviando al suo editore Durand (agosto 1903) le bozze corrette dell' Estampes, è spudoratamente esplicito:
« Vous verrez, à la page 8 de “Jardins sous la Pluie”, qu'il manque une mesure; c'est d'ailleurs un oubli de ma part, car elle n'est pas dans le manuscrit. Pourtant, elle est nécessaire, quant au nombre; le divine nombre [...] ».29
Quanto a Bartók, la “leggenda” vuole che durante un'audizione del terzo tempo della Musik si rivolgesse al violinista André Gertler confidandogli: « Lo senti? È il mare! ».30
Prendendo spunto da questo aneddoto, Howat (1983b:68) sottolinea le forti analogie presenti fra le strutture proporzionali de La Mer di Debussy e quelle del brano di Bartók, soffermandosi in particolare sul Dialogue du vent et de la mer e la sezione «B-C» dell'Adagio della Musik, episodio, quello bartókiano, che Lendvai (1971:29) chiama «roaring of the wind».
Riguardo ad ulteriori ipotesi su altri ed eventuali aspetti «esoterico-numerici» insiti nella Musik di Bartók passeremo oltre per ragioni di spazio. Un appunto però lo facciamo volentieri, in merito alle disparità e incongruenze riscontrabili dal confronto fra le durate indicate in minuti e secondi sulle partiture bartókiane e quelle matematicamente deducibili dai tempi metronomici. Queste discrepanze sono presenti anche nel I e III tempo della Musik, ma non sono di rilevanza tale da generare dubbi irrisolvibili a livello interpretativo-esecutivo; comunque sia: «cinquantacinque» secondi (di durata) indica Bartók per la sezione sopra citata «il soffiare del vento», in luogo degli effettivi circa «quarantotto» dedotti dall'indicazione metronomica.31
Correndo ora il rischio di contagi «ermetico-esoterici» fra i più avventati, citerò alcune righe di Bruno Cerchio poste come « avvertenza » alla sua trascrizione delle 50 fughe dell' Atalanta Fugiens di Michael Maier:
« La trascrizione delle fughe dell'Atalanta pone diversi problemi. L'originale reca errori e sviste in quantità tale da far supporre non siano tutti accidentali, ma che alcuni (soprattutto le note dimenticate e gli sbagli d'intervallo che, in grazia al meccanismo canonico, possono essere facilmente corretti) conservino più reconditi significati (siano ad esempio sistemati su parole e in luoghi ove l'autore voglia attirare l'attenzione). »32
È meno che un'ipotesi. Ma, talvolta, anche un fatto più che comprovabile e di cui, in ambito di studi esoterici, è sempre bene tener conto quando ci si trova di fronte ad un «errore».

***

Tornando ora alle vicende della «divina proporzione», sembrerebbe (questa perlomeno è la tesi maggiormente sostenuta dagli esperti) che dopo gli studi del Pacioli e più avanti di Keplero, una sorta di stasi intellettuale s'instauri nei confronti della S.A. e si protragga, all'incirca, fino alla metà del XIX secolo.
Sarà il matematico francese Michel Chasles che, preannunciando una rinascita d'interessi attorno alla S.A. (cfr. Chasles 1837:512-3), diventerà famoso fra gli addetti ai mestieri (cfr. ad es. Capparelli 1958:200) e ricordato proprio grazie all'attenta analisi del fenomeno e alla sua profetica intuizione.33 Infatti, poco tempo dopo, alcuni studiosi tedeschi riprendono le indagini sull'argomento: Adolf Zeising (1854) è il nome più illustre, ma saranno in molti altri a pubblicare libri il cui titolo è (o comunque fa riferimento a) «Der Goldene Schnitt».34
Va da sé che nel corso della prima metà del XX secolo gli studi sulla S.A. si intensificheranno ulteriormente e un numero sempre crescente di interessanti saggi verrà dato alle stampe. Inizia così un processo di divulgazione esoterica intorno alla S.A. che i secoli precedenti non avevano mai conosciuto e che neppure lo stesso Chasles avrebbe potuto immaginare.
Alcuni dei principali esperti del settore rispondono ai nomi di Theodor Andrea Cook, Jay Hambidge, Gino Severini,35 Matila C. Ghyka, Charles Funck-Hellet, Elisa Maillard, Le Corbusier. Quest'ultimo, in particolare, nei primi anni cinquanta pubblicherà due manuali che ben presto diventeranno famosissimi: Le Modulor (1950) e Le Modulor II (1955). In questi due testi — contrariamente a Vitruvio — il grande architetto svizzero tratta diffusamente ed esplicitamente di S.A., tanto da farne quasi un credo personale; atteggiamento, questo, che non mancherà di suscitare polemiche e contestazioni.36
Rimandiamo il nostro lettore al secondo dei due volumi citati — Le Modulor II — poiché nelle ultime pagine appare uno scritto del compositore greco Iannis Xenakis, ove, seppur brevemente, il musicista-architetto (peraltro in quegli anni assistente di Le Corbusier) parla di una sua opera. La composizione è assai famosa, poiché piacque anche a Hermann Scherchen e fu data in prima esecuzione sotto la direzione di Hans Rosbaud al Festival di Donaueschingen nel 1955 (cioè l'anno di Le Modulor II), portando così all'attenzione del mondo musicale contemporaneo l'originalissimo musicista greco. Stiamo parlando di MetastaseisB (1953-54); e ciò che qui voglio sottolineare è che Xenakis, nelle pagine del libro di Le Corbusier, “dichiara” la presenza del Modulor (ossia un sistema codificato per l'applicazione della S.A. in architettura) come base elaborativo-progettuale della struttura compositiva e formale del suo brano.37
Ora, se oltre a queste testimonianze dirette ed esplicite dell'uso della S.A. da parte di Le Corbusier e Xenakis, consideriamo: 1) che nel 1954 Stockhausen scrive il Klavierstück IX (brano la cui partitura, come successivamente molte altre, è ricca di evidentissime segnature di tempo fibonacciane)38; 2) che nel 1964 Krenek scrive Fibonacci Mobile; 3) che nel 1979 Manzoni scrive Modulor (chiaro “omaggio” ai due architetti precedenti); considerando, quindi, anche solo questi tre esempi, sembrerebbe che per alcuni compositori e artisti in genere,39 la premura di tener in qualche modo celata la presenza della S.A. nelle strutture delle proprie opere sia in un certo senso svanita. O meglio, a volte, forse più ingegnosamente mutata nei suoi aspetti reconditi: cioè mutata nei suoi aspetti tecnico-esoterico-creativi, nell'atto di perseguire un processo evolutivo e strutturale, orientato verso una ricerca estetica alchemico-scientifica atta a stimolare una più cosciente appercezione auditiva.40 E ciò è abbastanza comprensibile, non fosse altro per il motivo che il crescente interesse sviluppatosi nel corso della prima metà del Novecento attorno agli studi sull'applicazione della S.A. nelle arti, probabilmente “guastò” un poco l'aspetto esoterico di disciplina per iniziati che tale materia poteva forse ancora conservare nei primi decenni del secolo.41
Sarà quindi solo apprestandosi all'analisi delle strutture auree presenti nella musica contemporanea che ci troveremo di nuovo in campo esoterico riservato a pochi iniziati.
Per fare un esempio, l'evidenza grafico-numerico fibonacciana delle segnature di tempo stockhauseniane è, come dire, inversamente proporzionale alla facilità di comprensione del processo costruttivo-intellettuale che le ha generate e organizzate; e non mancano neppure gli “enigmi numerologici”: 142/8 e 87/8 sono le prime due segnature di tempo del Klavierstück IX, entrambe in difetto (-2) rispetto a F12 (144) e a F11 (89).42
Potremmo quindi formulare un'ipotesi secondo la quale in tempi moderni l'approccio alla S.A. in campo artistico musicale sia diventato “più dichiarato”, ma al contempo, molto più sofisticato ed elaborato nelle sue applicazioni strutturali, con consequenziali esiti estetico-acustico-percettivi di straordinaria efficacia.43
Per cui, possiamo ancor più tranquillamente sostenere che il « gaio fascino dell'imperscrutabilità del sapere » è ancora una volta salvo.
Non è questa comunque né una regola né, tanto meno, un atteggiamento che abbia in qualche modo soppiantato le più antiche e rigorose abitudini di osservanza del «silenzio ermetico».
Detto questo, ora dovremmo proprio tacere; come peraltro c'inviterebbe a tacere un famoso compositore italiano in un suo brano della fine degli anni settanta. Ma dato che nel sottotitolo di questo scritto si accennava al progressive, cioè al “rock progressivo” (branca della popular music sviluppatasi in Inghilterra durante la prima metà degli anni settanta), occorre prepararsi ad un secondo (e apparente) volo pindarico nel caso siate interessati a proseguire la lettura.

***

Dunque, benché il noto compositore italiano del quale dicevamo poco fa, ci rimandi all'immagine mistico-esoterica di un antico dio egizio che, tramite Plutarco (De Iside et Osiride), diventa poi (causa un gesto con il quale sembrerebbe “invitarci al silenzio”)44 simbolo e custode del sapere esoterico, noi non taceremo per quanto riguarda la musica dei Genesis: i Genesis, ossia uno dei gruppi progressive-rock più impegnati nel tentativo di dare una svolta epocale al panorama «stagnante» della popular music inglese nel corso della prima metà degli anni settanta.45
I motivi per cui “parleremo” sono fondamentalmente due: 1) perché riteniamo che il progressive-rock meriti l'attenzione dell'analisi musicologica; 2) perché chi tira in ballo il dio egizio, o qualsiasi altro simbolo esoterico-alchemico, sa a priori, che prima o poi qualcuno, compreso l'arcano, infrangerà il silenzio.46
Orbene, coincidenza vuole che sulla copertina dell'album più amato e commercialmente fortunato dei Genesis, Selling England By The Pound (1973),47 appaia un elegante disegno nei cui tratti magico-onirici si può notare un personaggio chiaramente rappresentato nell'atto di «invitare al silenzio».48 «Silenzio» che noi interpreteremo di natura filosofico-ermetica, dato che le elaborate strutture matematiche riscontrabili in alcuni brani presenti nel suddetto album, fanno capo ad architetture auree studiate (ovvero deliberatamente progettate)49 fin nei minimi particolari.
Ma non solo. Il contenuto «esoterico-matematico» ivi presente è oltremodo sottolineato da una foltissima serie di simbologie (giochi di parole presenti nelle liriche e nei titoli dei brani e degli album, riferimenti numerologici, dipinti e disegni vari sulle copertine dei dischi di chiara ispirazione simbolico-ermetica e surrealista) che ci rimandano costantemente all'uso della S.A. e ai suoi inscindibili aspetti magico-alchemici parzialmente evidenziati nella prima parte di questo scritto.
Questi aspetti «mistico-esoterici» riscontrabili in molte composizioni dei Genesis — basti pensare all'album Foxtrot (1972) e alla lunga suite Supper's Ready — sono abbastanza noti ai fans del “mitico/mistico” gruppo inglese, ma non sono mai stati studiati e indagati come meriterebbero. Tra questi aspetti, quelli «esoterico-matematici», che qui evidenzieremo, risultano a tutt'oggi, in assoluto, i più affascinanti e del tutto sconosciuti.50 Purtroppo in coda a questo scritto non potremo occuparci in modo particolareggiato dell'argomento, e ci limiteremo quindi a segnalare solo qualche significativo dato matematico musicale rimandando il lettore interessato, in particolare a due altri nostri piccoli interventi pubblicati sulla rivista Dusk: Italian Genesis Magazine (n. 38feb2002), in cui si è tentato di esemplificare le strutture compositive genesisiane attraverso una rappresentazione grafico-matematica di alcune partiture.
Ora, però, nell'apprestarsi ad analizzare la struttura ritmico-metrico-formale di un brano di popular music — più precisamente di progressive-rock —51 ci si trova subito a dover far fronte ad un problema non indifferente, ossia la mancanza di partiture “originali” sulle quali basare le nostre indagini. Come spesso capita anche per il jazz, non è infatti possibile reperire partiture di popular music complete di tutte le parti;52 ed è per questo motivo che le nostre analisi si basano esclusivamente su partiture “arbitrarie”, ossia da noi stessi «trascritte a orecchio» (annotate su pentagramma per così dire) dalla fonte audio originale (cioè Lp e/o Cd). In musicologia questo procedimento non è massimamente obiettivo e può creare qualche problema di ordine soggettivo-interpretativo; specialmente in un caso, di per sé già abbondantemente discusso, come quello relativo alle metodologie utilizzate per determinare l'effettiva presenza della S.A. nelle strutture formali di una composizione (nel caso nostro per di più di musica rock!). Ma credo non ci siano alternative, poiché le partiture (diciamo “spartiti”) di popular music oggi disponibili sul mercato, sono per lo più abbozzi molto superficiali che non rendono minimamente l'idea della sostanza musicale effettiva confluita in molta musica progressive.53
Ma veniamo rapidamente al dunque. I grafici proporzionali pubblicati sulla rivista Dusk si soffermano in particolare su un brano dei Genesis del 1973: precisamente il terzo dell'album SEBTP sopra citato (brano peraltro assai famoso e uno dei più amati dai fans del gruppo inglese)54 ed il cui titolo, apparentemente misterioso e intraducibile, alla luce del suo probabile recondito significato (cioè agli occhi di un iniziato alle simbologie “auree”) risulta già di per sé assai eloquente: Firth of Fifth.55
L'analisi della struttura formale della composizione — benché qui solo sommariamente esposta nel sottostante prospetto — evidenzia alcuni aspetti e peculiarità assai originali:


n.
sezione
tonalità
battute
segnatura
mm.ss.
1)
Pf. (preludio)
Si bem. magg.
34 (54+1)
var. (su 390/16)
0:00
2)
Voce (I parte)
Si magg.
31½
4/4
1:07
3)
ponte mod.
-
7
4/4
3:05
4)
Fl. (tema)
Mi min.
13¼
4/4
3:30
5)
Pf. (svil. tema)
Do min.
4/4
4:10
6)
Synth (solo)
Si bem. magg.
34 (54+1)
var. (su 390/16)
4:34
7)
Chit. el. (solo)
Mi min./magg.
55
4/4
5:46
8)
ponte mod.
-
2
4/4
8:27
9)
Voce (II p. ripr.)
Si magg.
11
4/4
8:34
10)
Pf. (coda in dissol.)
Mi magg.
(8)
13/16
9:15
-
-
-
-
-
9:33

Vedi ad esempio il numero delle battute, facilmente riconducibile (anche se con approssimazione) ai valori della serie di Fibonacci (...8.13.21.34.55.etc.); oppure le durate temporali calcolate al minuto secondo su una tra le più esoteriche serie matematiche di derivazione fibonacciana e di cui, sul finire, segnaleremo alcune straordinarie ed imprevedibili coincidenze facilmente riconducibili alla sua presenza «occulta». Ma, probabilmente, ciò che maggiormente si rende necessario evidenziare, è la struttura fortemente asimmetrica dei due assolo tastieristici, organizzati su segnature di tempo del tutto inusitate per un brano rock; e la cui metrica, in continua variazione fra binario e ternario, conferisce ai due episodi una tensione dinamico-propulsiva di grande efficacia. Questa complessa struttura dà così origine ad una sorta di nucleo generativo sfociante: il primo (pf), nell'attacco della prima sez. vocale, ed il secondo (synth), nel vasto assolo di chit. el., entrambi, non a caso, su segnatura 4/4, giusta e distesa risoluzione del primigenio turbine ritmico precedente.
Questi due episodi strumentali, dal punto di vista strutturale e metrico-ritmico, sono assolutamente identici: si tratta di una struttura formale AABCDAA che si sviluppa su 390/16 di durata complessiva. Cioè 390 semicrome che, in questo particolare caso, corrispondono anche alle 390 semicrome della linea melodica conduttrice. Precisazione necessaria quest'ultima, poiché sia il numero effettivo di note di una melodia, sia quello determinato dalla sommatoria dei valori grafico-temporali delle segnature di tempo, possono costituire, in musica, riferimenti simbolico-numerologici. Due casi famosissimi sono, ad esempio, quello delle 14 e 41 note del tema del corale bachiano BWV 668 (leggenda vuole ghematricamente corrispondenti ai nomi BACH e JSBACH), l'altro, quello delle 6432 crome della “Sonata per due pianoforti e percussione” di Bartók (Lendvai 1971:96). Due casi straordinari a cui il tastierista dei Genesis, Tony Banks, si è evidentemente ispirato.
Ma ora, per maggiore chiarezza, riportiamo la complessa struttura metrica e ritmica del brano, anche se la lettura dei dati estrapolati dal contesto della partitura può risultare disagevole: nell'elenco vengono indicate segnature di tempo, numero delle battute, scomposizione ritmica e sottoscomposizione metrica dei blocchi di 13/16, 15/16, 21/16 e 24/16; da quest'ultima hanno poi origine i due possibili conteggi che alternativamente ci possono consegnare totali fibonacciani di 34 o 55 (54+1) battute:
    sez. A1 : 2/41 (4+4) + 12/162 (3+3+3+3) + 2/83 (2+2) + 2/44 + 13/16 [9/165 (3+3+3) + 2/86 (2+2)];
    sez. A2 : 2/47 + 12/168 + 2/89 + 2/410 + 13/1612;
    sez. B : 2/413 (4+4) + 13/16 [9/1614 (3+3+3) + 2/815 (2+2)] + 13/1617 + 13/1619 + 13/1621;
    sez. C : 15/16 [9/1622 (3+3+3) + 3/823 (2+2+2)] + 15/1625 + 15/1627 + 15/1629;
    sez. D : 21/16 [2/430 (4+4) + 9/1631 (3+3+3) + 2/832 (2+2)] + 21/1635 + 21/1638 + 24/16 [2/439 (4+4) + 12/1641 (3+3)+(3+3) + 2/842 (2+2)];
    sez. A3 : 2/443 + 12/1644 + 2/845 + 2/446 + 13/1648;
    sez. A4 : (a) 2/449 + 12/1650 + 2/851 + (coda) 2/452 (4+4) + 2/453 + 2/454...+4/455.

Con questi dati alla mano crediamo non sia troppo arduo risalire (calcolando il numero di semicrome per sezione) ad una serie matematica ricorrente di derivazione fibonacciana, i cui valori corrispondono appunto, al numero totale delle semicrome contenute nelle varie sezioni del solo, mentre le sommatorie parziali, per aggregazione strutturale delle medesime, porta, sempre tramite i valori della serie che qui andiamo ad indicare, al totale di 390/16:
30.30.60.90.150.240.390.
In altre parole (numeri se volete!), si tratta dei primi 7 valori della serie di Fibonacci (1.1.2.3.5.8.13), ma ciascuno moltiplicato per 30 (Fn30).56
Ora, premettendo che questo particolare tipo di tecnica di applicazione della S.A. è riscontrabile anche nella polifonia vocale fiamminga — in Dufay ad esempio (Nosow 1993) —, sarebbe quantomeno assai interessante tentare di capire come, Tony Banks — ovvero il tastierista dei Genesis e nella fattispecie il principale responsabile della struttura compositivo-formale di Firth Of Fifth —, sia arrivato a concepire un progetto architettonico tanto meticoloso che, peraltro, partendo dal nucleo “centrale” del solo di synth, si estende poi fino ad abbracciare l'intera struttura formale della composizione.
Quindi se in Dufay siamo disposti ad ammettere che numerologia e ghemàtria sono, per così dire, un substrato esoterico-intellettuale della composizione inscindibile dal valore intrinseco dell'opera, non dovrebbe esser troppo bizzarro ipotizzare che un gruppo rock dal nome biblico (Genesis), che esordisce nel 1969 con un album il cui titolo è ancora più esplicito — From Genesis to Revelation — e che prima di giungere alle elaborate strutture auree presenti in SEBTP pubblica, nel 1972, un lavoro — Foxtrot (op. cit.) — in cui compare una lunga suite — Supper's Ready (cit.) — all'interno della quale le simbologie e riferimenti all'Apocalisse di Giovanni (libro cabbalistico per eccellenza) non si contano, possiamo ben immaginare, dicevamo, che il numero «30», coefficiente generatore della serie di derivazione fibonacciana, non sia capitato lì per caso.
Il «30», per tradizione cabbalistica, e simbolicamente associabile al numero dei giorni compresi nell'arco di un mese: solo per fare un “curioso” esempio, il «390», guarda caso, compare anche nel Libro di Ezechiele (4:9); ossia in un testo biblico che sprigiona altrettanto fascino esoterico quanto il precedente, ed il cui contenuto visionario ha interessato, fra gli altri, anche un compositore “serissimo” come Luciano Berio.
Inoltre, il «390» — ci piace ancora sottolineare — risulta corrispondente alla durata in minuti secondi del primo tempo della Musik di Bartók! Ma per tranquillizzare il mio paziente lettore diremo che sono solo “coincidenze”;57 anche se forse, collegate, o comunque potenzialmente collegabili fra loro, da una di quelle misteriose e sotterranee connessioni cabbalistico-alchemiche che tanto affascinavano i compositori medievali (come quella, per fare un'altro esempio, delle «ruote» di Ezechiele che sono anche le «ruote» degli alchimisti!).
Potremmo forse chiamarle «curiose coincidenze». Quindi, continuando su questa strada, potremmo citare quelle del misterioso titolo del brano, che in origine probabilmente doveva essere «Firth of Forth»: logica e semplice deduzione poiché il testo del brano narra del Forth, ossia il fiume scozzese che forma il grande estuario, «firth» in inglese, sul quale si affaccia la città di Edimburgo; e che, invece, tramite uno stratagemma (una sorta di «cabbala fonetica» di tradizione alchemica: cioè dato che Forth, il fiume, si pronuncia come «fourth» che invece significa “quarto”...)58 si trasforma in Firth Of Fifth, ovvero il titolo del nostro brano. O per “tacere” dell'ancor più misteriosa e “occulta” «serie degli evangelisti»,59 il cui dodicesimo (!) fattore (555) corrisponde a quello della durata in minuti secondi della struttura «aureo temporale» del brano (“coda” esclusa! come sottolineerà poi un successivo album del gruppo intitolato per l'appunto A Trick Of The Tail); venendo così a determinare un percorso fra i più esoterici e cabbalisticamente intricati, come forse solo un Dufay, col suo Nuper Rosarum Flores, è stato in grado di partorire. Un magico e “mistico” percorso che dal Vangelo di Matteo (nella fattispecie dalla parabola dei «pani e dei pesci»)60 ci conduce, attraverso i Genesis ed il loro brano I Know What I Like (brano il cui testo cantato fa esplicito riferimento al «giardiniere» rannicchiato su una panchina sulla copertina di SEBTP), a riallacciarci alla straordinaria prosa logico-matematica e ai giochi di parole di quel Lewis Carroll, che tanto ispirò la fantasia dei Genesis (vedi ad es. la copertina dell'album Nursery Crime).61
Ma Carroll — che insegnava matematica a Oxford e che era uno studioso di Euclide, oltre che di “paradossi matematici”! —, per una qualche straordinaria coincidenza (se ancora di «coincidenze» credete si possa parlare), pare abbia “incuriosito” anche l'autore di quel brano clavicembalistico bizzarramente intitolato Hungarian rock (la cui metrica asimmetrica, detto per inciso, è la stessa di quelle utilizzate ed elaborate dal progressive rock).

 
NOTE:
2 Riferimenti di natura musicale nei molti studi di carattere generale sulla S.A. pubblicati anteriormente al 1950, sono relativamente pochi, e per lo più si limitano ad evidenziare le analogie riscontrabili tra la S.A. e le proporzioni intervallari dei vari sistemi musicali pitagorico, naturale e temperato. Esiste peraltro un libro Muzikale Vormleer, pubblicato ad Arnhem nel 1934 da M. A. Brandts Buys, in cui, stando a quanto si legge in Snijders 1969:65, il musicista olandese tratterebbe di musica e S.A. in modo più approfondito, con riferimenti all'architettura e alle strutture formali della musica, il tutto illustrato con l'ausilio di disegni e grafici.
3 È del 1971 Béla Bartók: An analysis of his music, ossia la più fortunata fra le pubblicazioni lendvaiane sull'analisi “aurea” nelle strutture musicali bartókiane. Il libro — dal contenuto assai “esoterico” — non mancherà di dar vita a numerose critiche e controtesi, influenzando e promuovendo pertanto una successiva e considerevole mole di studi analoghi ad opera di altri ricercatori. Lendvai, comunque, prosegue le sue pubblicazioni su Bartók e la S.A. fino al 1985, e anche oltre (cfr. bibl.). Peraltro va ricordato che il primo scritto lendvaiano (in ungherese) sull'argomento, sta in Bartók Stílusa, Zenemûkiadó, Budapest 1955 (op. cit. ad es. in: Gillies/1986, questi uno dei più accaniti detrattori delle tesi lendvaiane); pochi anni dopo seguiranno una versione del lavoro in francese (Lendvai/1956) e una in tedesco (id./1957); poi altre simili, di cui un paio in inglese (cfr. bibl.), fino ad arrivare al citato libro del 1971; la cui traduzione italiana giunge purtroppo solo nel 1982 e solo in: NRMI. Lendvai/1971 è tuttora reperibile in libreria (Pro Am Music Resources, 1991), il che conferma la fortuna e la grande notorietà di tale pubblicazione.
4 A Howat, oltre al notevole lavoro su Debussy del 1983, va senz'altro riconosciuto il merito di esser stato forse l'unico ad argomentare in modo chiaro e articolato le numerose critiche ad una “presunta superficialità” delle analisi lendvaiane. Ma il Gillies (1986:291), di cui abbiamo già detto, rincara pure la dose indicando come « too kindly » le « inaccuracies » lendvaiane puntualizzate dallo Howat.
5 Numerose anche le tesi universitarie (cfr. ad es. Condat 1988:183-186 o il RILM).
6 Cfr. Della Seta 1989:76. Resterebbe peraltro da appurare se i teorici medievali “sapevano e tacevano” o se semplicemente “ignoravano” la presenza di strutture aureo-esoteriche nella musica del loro tempo.
7 « Mirabilis itaque est potentia lineae secundum proportionem habentem medium duoque extrema divisae » è la visione “illuminata” (e “illuminante”) che il matematico e astronomo Campano da Novara (XIII sec.) ebbe nei riguardi della S.A.: un' “aurea” visione filosofico-matematica, per così dire, che non può esser certo sfuggita a quanti nel Medio Evo cercavano la sublimazione estetica dell'opera d'arte nella teoria delle proporzioni e nella mistica del numero. L' edizione latina degli Elementi di Euclide curata da Campano (1255-59 ca.), da cui proviene il passo citato, godette peraltro di grande diffusione e fu una delle più studiate durante tutto il Medioevo; testimoni sono i numerosi manoscritti dell'opera pervenutici e le altrettanto numerose edizioni a stampa pubblicate nei secoli successivi (cfr. Francis S. Benjamin, Jr. and G. J. Toomer, Campanus of Novara and Medieval Planetary Theory, The University of Wisconsin Press 1971, pp. 12-13); tra queste edizioni — a suo modo “mirabile” — quella curata da Luca Pacioli per Paganinum de Paganinis, Venezia 1509 (cfr. XIV/10, c. 137v per la citazione di Campano).
8 Jonathan D. Kramer (1988:303) fa i nomi di una quarantina di compositori — da Machaut a Webern — nelle opere dei quali sono state riscontrate (in sede di analisi) tracce più o meno evidenti di proporzioni auree. Ma rivolgendo la nostra attenzione alla sola musica composta nella seconda metà del XX secolo, ci si accorge ben presto che tale numero potrebbe essere di gran lunga più elevato.
9 La più completa trattazione storico-geometrico-matematica oggi disponibile è Herz-Fischler/1987. Il nostro scritto, inoltre, non indagherà gli aspetti concernenti le tesi sulla percezione del «tempo musicale» e la possibilità di alterare la nostra sensazione di “durata” mediante opportune tecniche “illusionistiche”. In altre parole il problema relativo alla comparazione fra lo scorrere del «tempo cronometrico» e i probabili differenti effetti psicologici di «persistenza temporale» dovuti alla percezione della scansione metronomico-agogica (cfr. Stockhausen 1957; Dorfles 1959:167-202; Manzoni 1979/80; Tagg 1983). E neppure indagheremo l'applicazione della S.A. agli altri parametri musicali quali ad esempio le proporzioni intervallari o le dinamiche. Ci limiteremo, invece, alla semplice analisi della effettiva «durata temporale» di una composizione, con particolare riferimento agli aspetti esoterici, numerologici e cabbalistici.
10 Cfr. le proporzioni intervallari e quelle degli armonici: la «sesta» e la nota «LA» in particolare (cfr. Zeising 1854:414ss. e Lalo 1908a:58nt.1), potrebbero talvolta aver assunto un preciso significato simbolico-compositivo.
11 I passi da Euclide sono tratti da Gli Elementi di Euclide, a cura di A. Frajese e L. Maccioni, UTET, Torino 1970.
12 Con «divisione in media ed estrema ragione» s'intende il nostro moderno concetto di suddivisione di una retta in S.A. (Goldener Schnitt o Stetige Proportionen per i tedeschi, Golden Mean o Golden Section per gli inglesi, Section d'Or o Le Nombre d'Or per i francesi, etc.); « [...] habentem medium duoque extrema divisae » diceva Campano, come abbiamo visto; poi Luca Pacioli la chiamò Divina Proportione. Per quanto riguarda l'origine del termine « Sezione Aurea », sembra che sia apparsa per la prima volta nell'opera Die reine Elementar-Mathematik di Martin Ohm, Berlin 1835 (cfr. ad es. Enc. It. Treccani, 1936, XXXI:561 e Herz-Fischler 1987:168). Ma occorre ricordare che già Keplero nel Mysterium Cosmographicum (1621) aveva usato (qui unitamente al teorema pitagorico) parole “bellissime”: « Duo Theoremata infinitae utilitatis, eoque pretiosissima, sed magnum discrimen tatem est inter utrumque. Nam prius, quod latera rectanguli possint tantum, quantum subtensa recto, hoc inquam recte comparaueris massae auri: alterum, de sectione proportionali, Gemmam dixeris » (J. Kepler, Gesammelte Werke, Bd. VIII, Bearbeitet von F. Hammer, C. H. Beck'sche, München 1963, p. 74). Matila Ghyka, infine (influenzando un gran numero di studiosi successivi), fa il nome di Leonardo: « le nom de “section dorée” lui fut donné par Léonard de Vinci [...] »; ma non ci dice altro (cfr. Ghyka 1931, II:79).
13 Sull'effettivo cognome di Leonardo da Pisa (o Pisano) è stata fatta un po' di confusione poiché il Boncompagni nell'Ottocento trascrisse e pubblicò diversi documenti in cui il nome del matematico medievale era seguito da indicazioni come « filiorum bonaccii » o « filio Bonaccij » (cfr. Boncompagni 1854:2-3), ma il nome del padre era Guglielmo e Bonaccio un antenato, per cui al tempo di Leonardo la cognominizzazione del nome dell'avo era definitivamente avvenuta (M. Muccillo, Diz. Biogr. degli It., Vol. 47, Ist. della Enc. It., Roma 1997).
14 Il quesito dei conigli Fibonacci è proponibile in una domanda tipo: « Quante coppie di conigli producono in un anno un paio di conigli posti in un recinto ammesso e concesso che la coppia di origine produca una nuova coppia ad ogni mese e che queste ultime diventino similmente produttive dal secondo mese di vita? ». Si tratta di un problema ludico-matematico vecchio quanto il mondo e per la risoluzione del quale (se non avete voglia di divertirvi) rimando allo stesso Fibonacci (1857:283-4), oppure ai seguenti autori moderni: Vorobyov 1961:2; Powell 1979:227-29.
15 La denominazione «Serie di Fibonacci» si deve al matematico francese Édouard Lucas. Precedentemente questa successione periodica veniva indicata come «Serie di Lamé», e prima ancora, benché le sue proprietà fossero alquanto note, è probabile che non venisse affatto “nominata”. Lucas rivendica la [ri]scoperta della serie al Fibonacci: « mais aucun des auteurs dont nous venons de parler, n'a attribué à Fibonacci l'honneur de la découverte de cette série si remarquable » (Lucas 1877:135); proseguendo poi (cfr. op. cit.) in un vasto e dettagliatissimo studio matematico nel corso del quale emerge una nuova serie ricorrente: 1.3.4.7.11.18.29... (id. p. 167), e che in seguito verrà a sua volta denominata dagli studiosi come «Serie di Lucas» (cfr. Powell, 1979:228).
16 Per maggior correttezza matematica l'inizio della “serie” andrebbe notato: 0.1.1.2.3..., da cui la numerazione dei singoli termini Fn , ossia F0 = 0, F1 = 1, F2 = 1, F3 = 2, F4 = 3, ... F14 = 377, etc. (cfr. Powell 1979:229); per cui i termini riportati dal Fibonacci sarebbero i primi quattordici ma con l'elusione del primo e dello “0”.
17 Va notato che 55:89 = 0,6179775...; 89:144 = 0,6180555...; 144:233 = 0,6180257... etc.; cioè mano a mano che ci si eleva nei valori della serie il coefficiente aureo ottenuto è sempre più vicino al «Numero d'Oro» 0,6180339... .
18 Una dimostrazione efficacissima di quanto affermato risiede in un famoso «paradosso geometrico» di natura ottico-illusionistica: un quadrato scomposto in quattro parti mediante tagli diagonali su segmenti di lato corrispondenti a misure fibonacciane, viene successivamente ricomposto formando un rettangolo aureo la cui area si vede aumentata (o diminuita) la superficie di una unità rispetto alla figura di partenza; ossia da un quadrato 21×21 si ottiene un rettangolo 34×13 (cfr. ad es. Scimone 1997:97-100).
19 Sull'argomento cfr. ad es. Funck-Hellet 1932 e 1950 (pittura), e Scholfield 1958 (architettura).
20 Famosi sono gli studi condotti in questo campo dallo psicologo tedesco G. T. Fechner (1876) e dal francese C. Lalo (1908b): sottoponendo ad alcuni soggetti una serie di rettangoli il Fechner rilevò che le proporzioni risultavano notevolmente più gradite quando il rapporto tra base e altezza era prossimo a quello aureo di 0,618... (cfr. H. J. Eysenck, La Psicologia Sperimentale dell'Arte, in « Psicologia dell'Arte », Enc. Univ. Dell'Arte, Sansoni, Firenze 1963.
21 Un indagine sistematica sul fascino auditivo insito nelle proporzioni auree potrebbe anche annullare l'effetto acustico-percettivo più naturale. Sembrerebbe quindi che il motto alchemico « Arcana publicata vilescunt; et gratiam prophanata amittunt » nasconda una verità molto più “scientifica” di quanto possa apparire di primo acchito. Se ad esempio la lettura attenta di Esthétique des Proportions nell'edizione Le Rocher (cfr. Ghyka 1927) può alterare le nostre capacità ottico-percettive per un lasso di tempo straordinariamente lungo (immaginiamo sia possibile fare qualcosa di analogo anche in campo musicale), non è altrettanto vero che tale “magia” possa “funzionare” sempre e con gli stessi risultati. Quello relativo alla percezione della S.A. è sostanzialmente un delicatissimo problema psicologico-alchemico appercettivo in parte involontariamente adombrato in: A. Ehrenzweig, The Psychoanalysis of Artistic Vision and Hearing, Julian Press, N.Y. 1953.
22 Letterario nel senso degli scritti dei teorici della S.A. in genere; ma anche in senso poetico letterale; in altre parole, si veda ad esempio uno dei casi più straordinari: G. E. Duckworth, Structural Patterns and Proportions in Vergil's Aeneid, University of Michigan Press 1962.
23 Il nostro interesse specifico nei riguardi della mostra — oltre agli importanti documenti antichi esposti — si rivolge in particolare alla struttura modulare della stessa esposizione: opera dell'architetto Francesco Gnecchi Ruscone e “occultamente” organizzata sulla serie matematica: 210-335-545-880-1425-2305.
24 Quindi ancora niente Debussy e niente Bartók. Siamo nel 1951, è vero, ma nel suo studio sulla S.A. il Douglas Webster, l'anno prima, già faceva i nomi di Bach, Haydn, Mozart, Beethoven, Brahms, fino ad arrivare ai due da noi più volte citati e aggiungendovene nel mezzo molti altri; ed inoltre, indicando numero delle battute e pure alcune durate in minuti secondi. Anche la relazione tenuta al convegno da Hans Kayser — musicologo ted. (1891-1964) assai impegnato in studi mistico-esoterici-armonicali — non sembrerebbe entrare nello specifico.
25 Cfr. Platone/Timeo, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2000, pp. 92-95. È assai curioso, a tal proposito, notare che nell'ambito di uno stesso libro — peraltro profondissimo — si adottino entrambe le posizioni interpretative (G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone, Vita e Pensiero, Milano 199720, cfr. pp. 289 e 649).
26 Platone/Timeo/Reale, op. cit., pp. 160-1.
27 I manoscritti sono pubblicati da Dover (cfr. Howat 1985a; ma anche 1985b). Vedi inoltre: Ch. Burkhart, «Debussy plays “La Cathédrale Engloutie” and solves metrical mystery», Piano Quarterly, n. 65, 1968, pp. 14-26.
28 “La Grande Onda” è probabilmente l'opera più celebre del grande maestro giapponese, la cui arte influenzò numerosi pittori francesi di fine Ottocento: Degas, Manet, Lautrec, Monet, etc.; le opere di Hokusai piacevano anche a Debussy, ed è abbastanza noto come in esse sia riscontrabile la presenza della S.A..
29 Cfr. Debussy 1927:10; per un'analisi del brano si veda anche Howat 1983a:136-8.
30 Cfr. Szabolcsi 1961:91; Kárpáti 1994:384. La citazione originale deriverebbe, come indica lo Szabolcsi, da Agatha Fasset, Béla Bartók's american years: the naked face of genius , Houghton Mifflin, Boston 1958.
31 Tra i due sistemi di misurazione questa è la maggior discrepanza rilevabile nell'ambito del terzo tempo della Musik. Va comunque precisato che fondamentale e basilare punto di partenza logico-razionale per qualsiasi azzardata ipotesi simbolico-interpretativa di queste discrepanze, rimane il paragrafo « Tempo, Metronome, Duration » in: Somfai 1996:252ss.
32 M. Maier, Atalanta Fugiens (1617), vers. moderna a cura di B. Cerchio, Ed. Mediterranee, Roma 1984, p. 281.
33 Nella sua opera « Aperçu historique sur l'origine et le développement des Méthodes en Géométrie » (Paris 1837), Chasles cita tutti: da Pitagora a Campano, dal Fibonacci al Pacioli; Leonardo, Dürer, Boezio, Keplero, compresi Kircher e Paracelso; spaziando quindi da una geometria matematico-filosofica ad una geometria matematico-alchemica.
34 La bibliografia tedesca sulla S.A. compresa nel periodo che va dallo Zeising (1854) al Reis (1990) conta almeno una trentina di titoli specifici, alcuni più volte ristampati. Peccato che proprio il testo fondamentale dello Zeising — che, pur nel limite delle conoscenze dell'epoca tratta anche di musica (cfr. pp. 414-444) — non sia mai stato ristampato.
35 Sul pensiero del pittore italiano si veda: Gino Severini. Dal cubismo al classicismo e altri saggi sulla divina proporzione e sul numero d'oro [scritti e doc. 1919-64 in lingua orig. franc.], a cura di G. Pacini, Marchi e Bertolli, Firenze 1972. A Parigi (città d'adozione del Severini dal 1906) nel periodo 1911-25 nacque e operò un movimento pittorico denominato La Section d'Or (cfr. Howat 1983a), con relativa e omonima esposizione (Parigi 1912): di assoluto interesse il fatto che il Severini definì questi pittori (Villon, Duchamp, Gris, e altri) come “empirici”.
36 « Il Modulor prevede un tal numero di lunghezze che alla fine ogni composizione può essere giustificata » (N. Pevsner), cfr. Zevi 1957:508. Questo è assolutamente vero. E può capitare qualcosa di analogo quando ci si ostina nel ricercare proporzioni auree e corrispondenze numeriche varie in una struttura musicale. Per questo motivo, crediamo fermamente che occorra farsi attrarre non dal “numero”, ma dall' “estetica del numero” e dai suoi infiniti significati. In altre parole, non produrre o cogliere corrispondenze proporzionali mediante il calcolo matematico fine a se stesso ma farsi guidare dall'istinto musicale e dal senso estetico. Non a caso poi, Le Corbusier, affermerà: « Le Modulor, je m'en fiche! ».
37 Cfr. anche le note introduttive, sempre di Xenakis, alla partitura di Metastasis e l'articolo pubblicato sui Gravesaner Blätter (1957).
38 Cioè segnature dove il numeratore corrisponde ad un valore della serie di fibonacci (13/8, 21/8, etc.); cfr. anche le molte pagine manoscritte (schizzi, appunti e studi su partiture) riprodotte nel terzo volume dei Texte (Stockhausen 1971:44-46, 70, 74, 90, 94-95, 159-163) in cui appaiono frequentemente tracce grafico-numeriche di sequenze fibonacciane.
39 In pittura, dopo il Severini, Carrà affermerà espressamente di credere nell'utilizzo della S.A. (cfr. C. Carrà, 12 opere di Carlo Carrà presentate da S. Catalano con una dichiarazione dell'artista, Ed. del Milione, Milano 1945).
40 Ma a tal proposito, va inoltre considerato che la S.A. può essere utilizzata anche come “semplice” metodologia matematico-compositiva, senza prestare quindi particolare attenzione ai suoi eventuali aspetti magico-esoterici.
41 Il Moe (1945:59), già negli anni in cui scriveva, notava con disappunto che il tema della S.A. era « ormai completamente logoro ».
42 Dal punto di vista matematico i valori «142» e «87» corrispondono a sommatorie di sequenze fibonacciane: ossia 1+2+3+5+8+13+...55 (cfr. Henk 1976 e Kramer 1988:314).
43 Questo indipendentemente che ci si voglia calare o meno nei panni del compositore «mago-alchimista»: pensiamo ad esempio a due casi estremi come Stockhausen e Manzoni, dove la purezza delle strutture matematiche di alcune composizioni di quest'ultimo (il citato Modulor, o anche brani recentissimi come O Europa! e Il clamoroso non incominciar neppure) nulla hanno da invidiare alla ricerca alchemica della «bellezza cosmica» del primo.
44 Il gesto, sotto certi aspetti discutibile, è quello di un dito, l'indice, avvicinato alla bocca perpendicolarmente al naso; ovvero questa sarebbe l'immagine più esplicitamente comunicativa, ma agli effetti poi quasi mai realmente riscontrabile nell'iconografia e nella scultura antiche pervenuteci.
45 Ho usato la parola «stagnante», perché oltre ad essere il titolo di uno dei primi brani dei Genesis che fanno capo a strutture formali molto elaborate (Stagnation, cfr. l'album Trespass del 1970), è anche la parola usata, poco tempo dopo, da un giovane musicista, Steve Hackett, in un annuncio da lui pubblicato sul Melody Maker e notato da Peter Gabriel (una delle principali menti creative dei Genesis), annuncio che gli frutterà l'ingaggio come futuro nuovo chitarrista della band: «Guitarist/writer seeks receptive musicians determined to strive beyond existing stagnant music forms». Gabriel non a caso risponderà ad Hackett proprio invitandolo ad ascoltare Stagnation (cfr. A. Gallo, Genesis: I Know What I Like 1998:32, ultima ed. di un libro intervista già pubblicato, anche in tr. it., nel 1978/80/87).
46 Certo è che dopo aver citato il motto di J. V. Andreae può sembrare una contraddizione in termini decidere di indagare in modo approfondito là dove “non dovremmo”; ci appelliamo quindi al nostro primo “buon motivo”. Inoltre non possiamo ignorare l'evidenza del fatto che l'utilizzo di simboli ermetici abbia tra i suoi scopi principali quello di lasciare tracce «occulte».
47 Assolutamente affascinante l'ipotesi che potremmo qui avanzare secondo la quale l'uso della S.A. potrebbe aver determinato influenze positive sulla ricezione estetica di questo lavoro e, nella fattispecie, di alcuni brani contenuti proprio nell'album citato.
48 Il disegno che appare sulla copertina di SEBTP è opera della pittrice Betty Swanwick (1915-1989). Il caso è molto interessante poiché il dipinto era preesistente e piacque ai Genesis; ma questi, però, ne commissionarono poi all'autrice una versione leggermente modificata da alcune piccole aggiunte, così da renderlo apparentemente ispirato al testo di un brano dell'album.
49 La dimostrazione dell'intenzionalità non è suffragata dalle sole, sia pur numerosissime, coincidenze numerico-simboliche, bensì dal processo costruttivo-creativo che può essere portato alla luce dall'analisi capillare delle strutture musicali di alcune composizioni.
50 L'unico studio che conosciamo in cui si sia prospettata la possibile presenza di strutture «aureo-proporzionali» nella musica rock (studio in cui peraltro non si fa cenno al repertorio genesisiano e si propende in generale più per la tesi della presenza “casuale” piuttosto che per quella “intenzionale”) è: Joachim Jacobitz, Steige Proportionen in Balladen der Rockmusik, in «Musica», 50/6, 1996, pp. 414-417. Fra i brani sommariamente analizzati dallo Jacobitz c'è però Child in Time dei Deep Purple, cioè il più straordinario brano di heavy-metal che ci sia dato di conoscere: ci bastano le alchimie delle parole e le radici esoteriche del genere musicale (poi, ahimè, inevitabilmente degenerato!) per farci intravedere la via ermetica. Esiste infine la fondamentale testimonianza del musicista e musicologo Franco Fabbri (chitarrista degli Stormy Six), che ha più volte sottolineato il suo personale interesse per l'applicazione in musica della S.A. e dei numeri di Fibonacci, e quello, analogo, del suo collega inglese Fred Frith (chitarrista degli Henry Cow): maggiori dettagli in F. Fabbri, Album Bianco2, Arcana, 2002, pp. 183-4.
51 La distinzione è d'obbligo, poiché la differenza riscontrabile fra le strutture formali e ritmico-compositive di un brano dei Beatles ( popular music) e uno dei Genesis (progressive), è quella che potremmo riscontrare dal confronto fra una sonata di Scarlatti e una sezione de Le Sacre du Printemps. Nell'azzardato parallelo tra il progressive e il Sacre emergono inoltre interessanti analogie con le ben note difficoltà di rappresentazione ritmico-metrico-grafica insite in talune sezioni dell'evento sonoro stravinskiano (cfr. E. W. White, Stravinskij Mondadori, Milano 1983, p. 248). Va peraltro aggiunto, che il progressive-rock deve la stragrande maggioranza delle sue asimmetrie ritmiche e strutturali ad un Bartók (cfr. ad es. i quartetti IV° e V° o le Six Dances in Bulgarian Rhythm). Ci sarebbe inoltre da esaminare il caso di Time Out (1959) di Dave Brubeck e la possibile influenza esercitata da quest'opera pseudo-jazzistica sui musicisti rock durante gli anni sessanta (cfr. Fabbri, op. cit. p. 67).
52 In verità non crediamo esistano manoscritti originali, completi di tutte le parti, delle musiche da noi analizzate. Siamo infatti convinti che se uno Stravinsky poteva avere dubbi e ripensamenti su come notare la Danse Sacrale (cfr. White, op. cit.), dal canto loro, molti musicisti progressive avranno di certo incontrato non poche difficoltà nel tentativo di annotare correttamente su pentagramma tutto quanto andavano suonando (ossia poliritmie, polimetrie e rispettive segnature di tempo fortemente irregolari); soprassedendo quindi, probabilmente, alla stesura completa delle parti, anche perché non indispensabile per esecuzioni ad opera degli stessi musicisti-compositori.
53 Negli ultimi anni, in fatto di partiture rock, qualcosa di più interessante si è iniziato a pubblicare, ma per lo più si tratta, quasi esclusivamente, di partiture/tabulature per chitarra elettrica (vedi ad es. le performances hendrixiane, qualcosa dei Pink Floyd, Dream Theater, etc.). Ci sarebbe peraltro da esaminare il caso assai problematico, e per certi versi forse rivoluzionario, delle “partiture” trascritte mediante computer, poiché se da un lato costituiscono un esempio di anti-musicalità per eccellenza, dall'altro, la precisione matematica che a tratti possono rivelare apre la strada a infinite possibilità creative.
54 In relazione a quanto riportato dalla nota 47 si possono scorrere con interesse i risultati di alcuni sondaggi effettuati tra i fans italiani dei Genesis (Dusk - Genesis Italian Magazine, n. 18, mag. 1996), che mettono in luce le preferenze di questi nei riguardi dei brani e degli album del gruppo.
55 « Del quinto suo mirabil effecto » dice il Pacioli nel Divina Proportione. “Quinto” dei tredici “effetti”, ossia le peculiarità “mistico-matematiche” che il Pacioli attribuisce alla S.A. (cfr. Pacioli 1956:35). Ricordiamo inoltre il pentagono, il pentalfa, la formula della S.A., la “quinta” di Beethoven (cfr. Haylock 1978), la “quinta” di Sibelius (cfr. Jalas 1955), Il quinto quartetto di Bartók (cfr. Perle 1967), e così via, senza dimenticare la «E» di Plutarco e il «55» di Giamblico (cfr. Teologia Aritmetica).
56 Alcune sottosezioni e le successive sommatorie di queste, generano valori di 33, 57, 87, 93 e 147 semicrome; dove le stesse approssimazioni di ± 3 sedicesimi, compensandosi vicendevolmente, evidenziano ulteriormente la straordinaria natura matematica della costruzione numerico formale del brano. La serie Fn30 viene peraltro utilizzata ben oltre al suo settimo termine (...390.630.1020.etc.). Ma è impossibile rendere un'idea complessiva ed esauriente dell'architettura dell'intera composizione senza l'ausilio di un grafico proporzionale dimostrativo, per cui, rimando ancora una volta il lettore interessato a Dusk38 e ss.
57 Considerando anche solo l'aspetto logico matematico della coincidenza, non si potrà sottovalutare il fatto che chiunque si appresti ad analizzare capillarmente le durate cronometriche delle sezioni del primo tempo della Musik (scomponendo cioè il totale di 6 minuti e 30 secondi in «porzioni temporali auree» per trovare delle corrispondenze con l'effettivo scorrimento agogico-metronomico della partitura), si troverà, ben presto, a gestire durate in secondi corrispondenti ai valori della serie Fn30. Val la pena rammentare che le analisi lendvaiane furono pubblicate a Londra (in inglese) proprio negli anni in cui i Genesis lavoravano al loro repertorio (cfr. ancora: Fabbri, op. cit.).
58 Il gioco di parole veniva già in parte chiarito nel 1973 da Armando Gallo (fotografo e biografo/intervistatore ufficiale dei Genesis), in una nota posta in calce alla sua traduzione italiana del testo del brano; traduzione compilata, da quanto si narra, con l'aiuto e la supervisione dello stesso Peter Gabriel e apparsa nell'interno di copertina della versione italiana dell'album SEBTP - Lp Charisma 6369 944 A.
59 Per maggiori ragguagli sulla Evangelist's Sequence si veda Powell 1979:230ss.
60 Evangelist's Sequence ossia “Serie degli Evangelisti”, infatti questa suggestiva denominazione sembrerebbe avere un origine associativo-numerologica riconducibile al noto passo tratto dai Vangeli che narra il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci: «Poi prese i cinque pani e i due pesci [...] » (Mt. 14,19); e di seguito: « [...] degli avanzi portarono via dodici sporte [...] » (Mt. 14,20); ma anche (passo fondamentale!): « [...] prese quindi i sette pani [...] » (Mt. 15,36). Abbiamo pertanto il 2, il 5, il 7 e il 12, cioè i primi quattro termini di questa nuova «serie aurea»: 2.5.7.12.19.31.50.81.etc. Cfr. ancora il Powell (1979:268n5) che a sua volta ci rimanda a: Georges Arnoux, Musique Platonicienne - Âme Du Monde, Paris 1960.
61 L'Alice di Carroll, nel famosissimo racconto, incontra un topo la cui “storia” o “coda” (Tale = Tail in inglese!) ha l'aspetto di una spirale; poi, al «Mad Tea-Party», incontra il Cappellaio e questi si lancia in una disquisizione esoterica sul «Tempo» musicale e cronometrico: « If you knew Time as well as I do... »; poi incontrerà i tre «giardinieri»... la Regina... e ... il sorriso enigmatico dello Cheshire Cat che già precedentemente le aveva “rivelato”: «...we're all mad here. I'm mad. You're mad... You must be, or you wouldn't have come here ».


 TOOL. Lateralus.


TRADUZIONE DEL TESTO:

Nero come bianco è tutto ciò che vedo nella mia infanzia.
Rosso e giallo vengono per essere, protesi verso di me.
Lasciatemi vedere.
Come sotto, così sopra ed oltre, immagino
Disegno oltre le linee della ragione.
Spingo la busta. Guarda la curva.

Oltre pensando, oltre analizzando separatamente il corpo dalla mente
Imbiancando la mia intenzione, perdendo opportunità e devo
Imboccare la mia volontà di sentire i miei momenti disegnando strade al di fuori delle linee.

Nero come bianco è tutto ciò che vedo nella mia infanzia.
Rosso e giallo vengono per essere, protesi verso di me.
Lasciatemi vedere che c’è molto di più
E fatemi cenno di vedere attraverso queste infinite possibilità.
Come sotto, così sopra ed oltre, immagino
Disegno oltre le linee della ragione.
Spingo la busta. Guarda la curva.

Oltre pensando, oltre analizzando separatamente il corpo dalla mente
Imbiancando la mia intenzione lascio in dietro tutte le opportunità.

Imbocco la mia volontà di sentire questo momento incalzarmi ad attraversare la linea.
Cercando fuori dall’abbracciare la casualità.
Cercando fuori dall’abbracciare qualunque probabilità giunga.

Abbraccio il mio desiderio
Per sentire il ritmo, per sentirmi connesso
Basta farsi da parte e piangere come una vedova
Per sentirsi ispirato, per sondare il potere,
per testimoniare la bellezza, per fare il bagno nella fontana,
per oscillare sulla spirale
della nostra divinità restando un umano.

Con i piedi per terra perdo me stesso
Tra i suoni e apro ampiamente per succhiarlo.
Lo sento muoversi tra la mia pelle.
Io sono raggiunto e proteso.
Io sto cercando la casualità o ciò che sempre vuole disorientarmi.
E seguendo la nostra volontà ed il vento noi potremo andare dove nessuno è mai stato.
Noi cavalcheremo la spirale verso la fine e potremo andare dove nessuno è mia stato.

Fuori dalla spirale. Andiamo avanti… 

 
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8 commenti:

  1. Risposte
    1. sono lieta che ti sia piaciuto!!!
      grazie a te!!
      ^_^

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    2. Un particolare ambito della successione di Fibonacci è quello che la pone in relazione con la struttura di elementi naturali apparentemente disposti a caso (le nuvole, la forma di una costa, la disposizione dei petali dei fiori) e con la struttura sub-atomica. Questi temi sono affrontati nel mio nuovo romanzo, in uscita il 19 giugno, intitolato IL NUMERO DI DIO (Leone Editore).
      La successione di Fibonacci prevede appunto che il rapporto tra i numeri che la compongono, man mano che questi crescono, si avvicini tendenzialmente a 1,618.
      Questo numero è effettivamente il rapporto che ordina la struttura della materia e che viene spesso iconizzato ricorrendo alla forma di una conchiglia, disposta a spirale.
      Nel libro sono riportati numerosi fatti veri, attinti dalla cronaca nazionale ed estera e posti in relazione tra loro.
      Se ne ottiene una teoria, certamente oggetto di possibili obiezioni, che se accolta sembra fornire una insidiosa spiegazione circa il "luogo" ove cercare l'origine della materia e il punto di incontro tra scienza e fede.

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  2. Ecco un primo aproccio fornito alla trama del romanzo:

    http://www.letteraturahorror.it/news/484-prossima-uscita-il-numero-di-dio-di-vincenzo-di-pietro.html

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    Risposte
    1. Ti ringrazio per questo imput... sembra un romanzo interessante davvero!!! ^_^
      ..inoltre ho visto ke siamo quasi vicini: anke io sono Abruzzese... strana coincidenza!!! Adoro la sincronicità ^_*
      A presto!

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  3. Ciao. Le coincidenze sono un modo per chiamare quello che non riusciamo ancora a spiegarci. Spero di poterti incontrare in qualche reading in Abruzzo. Poi, se vuoi, fammi sapere che ne pensi del romanzo in uscita, pure su www.ibs.it, dal 19 giugno.
    A presto.

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  4. Bene, da oggi IL NUMERO DI DIO è disponibile su http://www.ibs.it/code/9788863931198/di-pietro-vincenzo/numero-di-dio.html
    La speranza è quella di entrare nella top 100 delle prossime 48 ore.

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