lunedì 22 ottobre 2012

La teoria delle stringhe, La teoria M ...


[Nella fisica moderna], il mondo è stato ora diviso non in diversi gruppi di oggetti ma in diversi gruppi di connessioni… Ciò che può essere distinto è il tipo di connessione che è di primaria importanza in un certo fenomeno… Il mondo così appare come un complicato tessuto di eventi, in cui diverse specie di connessioni si alternano, si sovrappongono e si combinano, determinando la struttura del tutto.
Werner Heisenberg



Albert Einstein dedicò gli ultimi trent’anni della sua vita alla ricerca della cosiddetta “teoria unificata del campo” ossia di quella teoria che avrebbe dovuto unificare le leggi della gravità e dell’elettromagnetismo in modo da consentire una descrizione unitaria dei fenomeni naturali. Il suo progetto fallì, ma in nessun caso avrebbe potuto andare a buon fine perché a quel tempo molte erano le lacune relative alla conoscenza del mondo fisico. Quando Einstein intraprese il suo tentativo di unificazione si conoscevano ad esempio solo tre particelle elementari (l’elettrone, il protone e il fotone) ed erano note due sole interazioni fondamentali (l’elettromagnetismo e la gravitazione).
 
Attualmente le particelle elementari sono oltre cento: un numero perfino eccessivo rispetto a quello necessario a spiegare l’ordine cosmico tanto che quando venne individuato il muone, una particella simile all’elettrone ma 200 volte più pesante di esso, il premio Nobel Isaac Rabi accolse la nuova scoperta con un infastidito: “Chi l’ha ordinato questo?” Le forze fondamentali frattanto sono diventate quattro e la loro unificazione è divenuto l’obiettivo centrale della ricerca di fine secolo. I metodi di indagine che si adottano attualmente sono originali e sembra esserci un netto progresso in questo campo della ricerca anche se in realtà l’unificazione della gravitazione con le altre tre forze non è stata ancora realizzata. I fisici ritengono tuttavia di avere imboccato la strada giusta che porta alla formulazione di quell’unica teoria in grado di spiegare tutto quanto esiste nell’Universo. La nuova teoria sulla quale si sta lavorando si chiama delle superstringhe.

 

1. La teoria delle superstringhe

     Come è noto, due sono i pilastri su cui si fonda la fisica moderna: la relatività generale fondata da Albert Einstein e la meccanica quantistica fondata da Max Planck. La prima svolge a meraviglia il compito di spiegare il comportamento degli oggetti di grandi dimensioni (stelle, galassie, ammassi di galassie, ecc.) presenti nell’Universo; la seconda ci permette di comprendere il mondo atomico e subatomico (molecole, atomi, elettroni, quark, ecc.). Queste due teorie, che hanno consentito un progresso straordinario della fisica dell’ultimo secolo, presentano tuttavia un difetto insuperabile: non sono fra loro compatibili.

    Di questa incompatibilità i fisici non hanno mai tenuto conto perché il campo di indagine delle due teorie è molto diverso e quando vi era la necessità di studiare gli oggetti piccoli e leggeri si faceva ricorso alla meccanica quantistica senza preoccuparsi di quello che afferma la relatività mentre, quando vi era la necessità di studiare oggetti grandi e pesanti, si utilizzavano le leggi della relatività generale senza interessarsi degli enunciati dell’altra teoria: non succedeva mai in passato che fosse indispensabile far ricorso ad entrambe le teorie simultaneamente. Ultimamente però le cose sono cambiate: i buchi neri ad esempio sono oggetti pesanti ma contemporaneamente molto piccoli e lo stesso Universo sarebbe emerso da una particella infinitamente piccola e insieme estremamente pesante e calda. Su questi oggetti servirebbe quindi l’applicazione contemporanea delle due teorie.

    Oggi, come abbiamo accennato, esiste una teoria detta delle superstringhe in grado di mettere d’accordo la meccanica quantistica e la relatività generale. Essa spiegherebbe il comportamento della materia, delle forze che tengono insieme gli oggetti materiali, e forse anche dello spazio e del tempo. Secondo questa teoria tutto ciò che esiste nell’Universo non sarebbe altro che la manifestazione di “energia vibratoria”. Cerchiamo di spiegare di cosa si tratta.

    La nuova teoria prese l’avvio nel 1968 da un’osservazione del fisico italiano Gabriele Veneziano, a quel tempo ricercatore presso il Cern di Ginevra. Egli stava analizzando una serie di dati sperimentali riguardanti la forza nucleare forte quando notò che una formula utilizzata per descrivere una classe di curve geometriche, la cosiddetta “funzione beta”, inventata 200 anni prima dal matematico svizzero Leonhard Euler (meglio noto con il nome latinizzato di Eulero), forniva un’utile sistemazione matematica dell’argomento che stava studiando.

    L’intuizione di Veneziano venne in seguito ampliata e si scoprì che se le particelle elementari venivano assimilate a fili vibranti (detti stringhe o corde, in inglese string) invece che ad enti puntiformi privi di struttura interna come suggeriva il cosiddetto Modello Standard (lo strumento concettuale che è stato utilizzato, nel corso del Novecento, per spiegare il comportamento delle particelle elementari) la funzione beta avrebbe descritto con altrettanta coerenza le interazioni fra particelle.

    Le stringhe (non ci si lasci ingannare dal nome) sono fili infinitamente corti e sottili tanto che risulterebbero invisibili anche se venissero esaminati da strumenti miliardi di volte più potenti di quelli attualmente disponibili: sono lunghi un milionesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di centimetro (miliardi di miliardi di volte più piccoli di un nucleo atomico) e di spessore nullo. Si tratta di strutture le cui dimensioni sono vicine alla cosiddetta lunghezza di Planck (10-33 cm) la più piccola concepibile in fisica, ma che vengono tese con una forza incredibilmente grande: fino a 1039 tonnellate. Sarebbe proprio questa enorme tensione a determinare la frequenza di vibrazione: più essa è grande, maggiore è la massa della particella associata e di conseguenza maggiore è la forza di gravità che questa particella esercita sulle altre. Questo sarebbe l’indizio per il quale la teoria delle superstringhe collegherebbe la gravità descritta dalla relatività generale con la struttura delle particelle elementari descritta dalla meccanica quantistica.

    Vi è una sostanziale differenza fra le teorie della gravità di Newton e di Einstein e quella che scaturisce dalla teoria delle superstringhe. Con le loro teorie Newton ed Einstein spiegano semplicemente un fenomeno di cui già si aveva esperienza diretta; nel caso della teoria delle stringhe la gravità si trova invece direttamente incorporata nel suo nucleo teorico tanto che, anche qualora non ci fosse stata alcuna esperienza precedente di questa forza, essa sarebbe emersa come conseguenza della teoria stessa. In altri termini la teoria delle superstringhe prevede l’esistenza della gravità perché da essa emergono spontaneamente tutte e quattro le particelle mediatrici (o messaggere) delle interazioni fondamentali e la loro unificazione avviene in modo naturale.

    I modi di vibrazione di questi fili sottilissimi e cortissimi spesso chiusi ad anello generano tutte le particelle elementari che costituiscono il nostro Universo un po’ come una corda di violino più o meno tesa (ma mai applicando ad essa forze come quelle previste dalla teoria delle superstringhe!) genera un numero praticamente infinito di toni musicali. Il prefisso super fu aggiunto alla teoria delle stringhe quando si scoprì che la teoria stessa possedeva una supersimmetria, cioè quando ci si rese conto che ad ogni particella di materia corrispondeva una particella di forza e viceversa.

    Per capire di cosa si tratta si deve sapere che le particelle elementari si dividono in due grandi famiglie: “fermioni” (dal nome del fisico italiano Enrico Fermi) e “bosoni” (dal nome del fisico indiano Satyendra Bose). Della prima famiglia fanno parte le particelle di materia come elettroni e quark; della seconda le particelle mediatrici delle forze come fotoni e gravitoni. Ebbene, la supersimmetria afferma che ad ogni particella conosciuta ne corrisponde un’altra di aspetto sconosciuto ma di comportamento simile; a queste particelle, nonostante nessuno le abbia mai viste, è stato peraltro assegnato un nome: per esempio, simmetrica al fotone (la particella mediatrice della forza elettromagnetica) corrisponde il fotino (particella materiale); il partner simmetrico del quark (un fermione) è il bosone s-quark, e così via.

 

2. La M-teoria

     La teoria delle superstringhe comprende ben cinque varianti denominate tipo I, tipo IIA, tipo IIB, eterotica O ed eterotica E, tutte teorie molto simili fra loro ma non identiche. Di simile hanno ad esempio il fatto che tutte quante necessitano di nove dimensioni dello spazio (oltre a quella temporale) entro cui poter agire e non solo delle tre di cui abbiamo percezione diretta. Di queste complessive dieci dimensioni sei sono invisibili, risultando strettamente accartocciate su sé stesse (con termine tecnico si dicono compattificate, un obbrobrio lessicale) perché “strangolate” dalle stringhe che si avvolgono intorno ad esse (come fossero elastici che stringono la camera d’aria di una bicicletta) impedendo loro di espandersi.

    L’aggiunta di dimensioni nascoste a quelle osservabili può apparire una cosa bizzarra e indimostrabile, ma in realtà si tratta di una buona ipotesi: non servono infatti osservazioni sperimentali a confermare un’ipotesi se questa può essere utile per fornire una chiara descrizione del mondo fisico. Qualcosa di simile era già successo in passato quando uno sconosciuto matematico polacco di nome Theodor Kaluza inviò ad Einstein un articolo in cui avanzava il convincimento che l’Universo avrebbe potuto avere una quarta dimensione spaziale oltre a quella temporale già inserita nella sua teoria della relatività. Kaluza notò che la presenza di una dimensione extra dava luogo ad una serie di equazioni aggiuntive a quelle indicate da Einstein che non erano altro che le equazioni formulate da Maxwell per descrivere la teoria elettromagnetica. In altre parole in uno spazio a cinque dimensioni si unificavano gravitazione ed elettricità.

    I cinque sottotipi della teoria delle superstringhe mostrano però anche alcune differenze sostanziali. Differiscono fra l’altro per il modo in cui incorporano la supersimmetria o per la forma delle stringhe: la teoria di tipo I ad esempio, a differenza delle altre, prevede la presenza anche di stringhe aperte, cioè con gli estremi liberi, oltre che di stringhe chiuse ad anello.

    Nel 1995 il fisico teorico Edward Witten scoprì che le cinque teorie di superstringa erano intimamente connesse l’una all’altra tanto da poter essere raggruppate in un unico schema concettuale a cui fu assegnato il nome di M-teoria, dove M starebbe per madre: quindi si tratterebbe della “madre di tutte le teorie”. Questa nuova scoperta potrebbe portare alla tanto agognata Teoria del Tutto (Toe, come la chiamano gli anglosassoni, Theory of everything) ma molte delle sue proprietà non sono state ancora comprese a fondo.

    La M-teoria esibisce alcune caratteristiche aggiuntive rispetto a quelle presenti nelle superstringhe. Innanzitutto essa postula che le dimensioni passino da dieci ad undici: alle nove dimensioni spaziali e a quella temporale presenti nelle teorie delle superstringhe se ne aggiunge quindi un’altra la cui presenza consente di portare a termine calcoli esatti e non solo approssimati come erano quelli che si ottenevano in precedenza. Una seconda caratteristica della M-teoria è quella di contenere, oltre a strutture unidimensionali di cui si è detto, anche altri elementi che si possono estendere in più dimensioni: nell’insieme questi oggetti vengono definiti brane (termine ricavato da mem-brane). Usando questa nuova e originale terminologia le stringhe sono chiamate 1-brane, le 2-brane sono membrane ovvero superfici bidimensionali, ma esistono anche masserelle tridimensionali (tribrane) e altri oggetti a più dimensioni tutti in frenetica e incessante vibrazione. A causa della presenza di oggetti più estesi delle stringhe, l’M-teoria viene anche detta “teoria delle membrane”, ma a questo punto i più maliziosi assegnano alla lettera M della teoria il significato di “mistero”.

 

3. La teoria spiega l'origine dell'universo

    Uno dei problemi che da sempre assilla la mente dell’uomo è quello relativo all’origine dell’Universo. La teoria scientifica attualmente più accreditata, quella del big bang, afferma che l’Universo, nei primi istanti della sua esistenza era di dimensioni incredibilmente esigue ma contemporaneamente estremamente denso e caldo. Per analizzare in termini scientifici condizioni così estreme sarebbe necessario disporre di una teoria quantistica delle gravità; ma, come abbiamo visto, una tale teoria non esiste. Per questo motivo il cosiddetto Modello cosmologico standard è costretto a descrivere l’evoluzione dell’Universo a partire da una particella elementare di dimensioni minime presente al tempo t=10-43 secondi dall’inizio (detto tempo di Planck).

    In realtà, estrapolando all’indietro le equazioni della relatività generale si osserva che l’Universo diventa sempre più piccolo e contemporaneamente sempre più caldo e più denso fino a scomparire del tutto quando si raggiunge il tempo zero, mentre temperatura e densità in quello stesso istante assumono valori infiniti. Ovviamente queste conclusioni lasciano gli astrofisici fondamentalmente insoddisfatti e perplessi.

    Ora, la teoria delle superstringhe sembra poter risolvere queste contraddizioni e dare una risposta più precisa e convincente al problema relativo all’origine dell’Universo anche se per la verità la strada da percorrere non solo è lunga, ma anche accidentata. La modifica più sostanziale che la nuova teoria apporta al Modello cosmologico standard è quella riguardante le dimensioni che avrebbe assunto l’Universo all’inizio dei tempi: esse non avrebbero potuto ridursi al di sotto di un valore minimo. La teoria delle superstringhe in altre parole non prevede la cosiddetta Singolarità cioè il fatto che l’Universo possa ridursi fino ad assumere dimensioni nulle. L’altro aspetto fondamentale della teoria è quello relativo alle dimensioni che non sono più quattro (come previsto dal Modello standard) ma ben undici e ciò comporta la necessità di seguire l’evoluzione nel tempo di tutte quante queste dimensioni.

     Proprio qualora si segua l’evoluzione delle molteplici dimensioni dell’Universo utilizzando le equazioni contenute nella teoria delle superstringhe si osserva che quando queste scendono al di sotto della lunghezza di Planck, anziché diminuire ulteriormente, riprendono a crescere e la temperatura segue di pari passo la variazione delle dimensioni dell’Universo: ovvero, raggiunto un valore massimo, essa inizia a diminuire. 

     Sulla base dei risultati cui conduce la teoria delle stringhe sono stati elaborati alcuni nuovi modelli cosmologici uno dei quali prevede l’esistenza di un Universo ciclico senza un inizio nel tempo e senza una fine, in un alternarsi ininterrotto di contrazioni e di espansioni. Esso sarebbe confinato entro due membrane tridimensionali (possiamo immaginare due spessi cartoncini identici piatti e paralleli) che evolvono nel tempo (cioè nella quarta dimensione) e fluttuano in una quinta dimensione entro la quale si fa sentire la forza di gravità mentre le altre sei, al solito, sarebbero piccole e arrotolate entro la trama spaziale. Le particelle che stanno all’interno delle due membrane evolverebbero in modo indipendente ma potrebbero anche interagire attraverso la particella mediatrice della forza di gravità, il gravitone, il quale oltre che agire all’interno della brana potrebbe passare da un Universo all’altro movendosi a spirale intorno ad una delle tante dimensioni extra. Le particelle di una delle due membrane si comporterebbero come materia oscura per l’altra; inoltre, l’energia oscura (una forma supplementare di materia ignota) che nel modello standard non trovava giustificazione teorica, nel nuovo modello presenta un ruolo fondamentale nel guidare l’espansione accelerata a cui l’Universo sembra essere soggetto.

     Le due membrane possono anche collidere l’una con l’altra alla conclusione della lunga fase di avvicinamento ma subito dopo rimbalzerebbero e si allontanerebbero per ritornare successivamente ad avvicinarsi in un processo senza fine.

     Il problema è ora quello di verificare se il modello si adatta bene alla realtà ma la cosa non sembra semplice anche perché il modello stesso si poggia su teorie che a loro volta necessitano di verifiche sperimentali. Per studiare le superstringhe in laboratorio sarebbe necessario disporre di energie alcuni miliardi di miliardi di volte maggiori di quelle attuali, per creare le quali si dovrebbe costruire un sincrotrone grande quanto la Galassia.



La via orientale della fisica.

Le moderne interpretazioni della realtà dimostrano quanto le leggi della fisica siano divenute talmente complesse da sfuggire ormai alla nostra capacità di comprensione. Si prenda ad esempio il concetto di Universo introdotto dalla Teoria della Relatività dove oltre alle tre dimensioni spaziali se ne considera anche una quarta, il tempo: un’ulteriore dimensione lontana dalla nostra percezione ma fisicamente necessaria per la descrizione della realtà. Oppure si consideri il mondo subatomico dove le regole della fisica classica (per noi ancora intuibili) cessano di essere applicate per lasciare posto ai comportamenti apparentemente illogici delle particelle. Eppure nella meccanica quantistica sembra risiedere la vera essenza di tutto ciò che vediamo: un mondo in continuo movimento, sospinto da legami tra forze fondamentali e da leggi associabili ad intuizioni filosofico-religiose vecchie più di 2000 anni. In meccanica quantistica il comportamento delle particelle risulta essere non solo assai complesso ma anche imprevedibile, tanto da richiedere un’interpretazione probabilistica riguardo la loro posizione e il loro comportamento. Questa considerazione deriva soprattutto dalle ricadute filosofiche e scientifiche del principio di indeterminazione di Heisenberg. Tale principio ci dice, in poche parole, che più conosci il moto di una particella meno puoi conoscere la sua posizione e viceversa; ma non solo, questo principio introduce un aspetto molto interessante: ogni qual volta si effettua una misura di posizione di una particella si influisce sul comportamento di quest’ultima. Ciò significa che ogni evento quantistico viene influenzato dall’osservatore (o come direbbe il fisico John Archibald Wheeler dal «partecipatore»), perché anche in un ambiente apparentemente isolato, come quello di un laboratorio, l’osservatore o il rivelatore incide sul risultato: un po’ come dire che la particella “sente” questa presenza. Estendendo nel generale, si può dire che la fisica moderna tende a considerare in misura sempre maggiore una quantità plurima di elementi che determinano un evento; se dapprima un fenomeno veniva considerato come un qualcosa di a sé stante, oggi essa è costretta a tirare in ballo sempre maggiori correlazioni. Come dice il fisico danese Niels Bohr: «Le particelle materiali isolate sono astrazioni, poiché le loro proprietà sono definibili ed osservabili solo mediante la loro interazione con altri sistemi.»
L’esigenza di interpretare il mondo attraverso le interazioni tra sistemi è stata introdotta anche in astronomia già nell’ottocento attraverso il moto dei pianeti. Ciò che precedentemente veniva interpretato in maniera semplicistica attraverso la legge di gravitazione di Newton è divenuto un sistema complesso di interazioni gravitazionali che modificano il moto e i tempi di rivoluzione dei corpi celesti. Il sistema solare così viene considerato come una sorta di campo gravitazionale interpretabile attraverso le reciproche perturbazioni tra pianeti e corpi minori.

Le religioni e le filosofie orientali da sempre muovono la loro conoscenza verso il concetto di unità delle cose, dove l’uomo oltre ad essere parte dell’Universo ne è direttamente compartecipe; un Universo dove tutto è essenziale, tutto è legato ed unito da un’unica essenza coagulante. Per l’Induismo questa essenza è il Brahman ossia l’unità cosmica da cui tutto procede; nel Taoismo esso prende il nome di Tao mentre nel Buddismo è il Dharmakāya. Nella religione buddista infatti ogni azione che l’uomo compie determina un effetto nel Karman e dunque sull’Universo. Per acquisire la conoscenza del tutto e nel contempo la liberazione dal Karman (che imprigiona l’anima nel ciclo delle reincarnazioni) è necessario liberarsi dal velo del māyā per provare personalmente l’unione col Brahman: un’esperienza di liberazione e conoscenza chiamata mokṣa. Nel buddismo questo stesso concetto è il cosiddetto raggiungimento del Nirvana, ossia l’assenza del dolore e libertà interiore. Il māyā o Avidyā per i buddisti è quella sorta di velo (di ignoranza) che ci impedisce di farci comprendere la realtà per come realmente è. La nostra mente infatti tende a classificare e distinguere le cose dagli eventi, un aspetto che ci permette di vivere (in senso pratico) la nostra esistenza ma che in fondo ci allontana dalla verità. Sicché solo attraverso la meditazione e l’equilibrio mentale si può sperimentare l’unità della realtà e la conoscenza del tutto. Il filosofo e monaco buddista indiano Aśvaghoṣa diceva: «Quando non si riconosce l’unicità nella totalità delle cose, allora nasce l’ignoranza come pure la particolarizzazione, e di conseguenza si sviluppano tutte le fasi della mente corrotta… Tutti i fenomeni del mondo non sono altro che manifestazioni illusorie della mente e non hanno alcuna realtà in se stessi.»

La scienza ci dimostra quanto l’uomo senta la necessità di classificare e distinguere gli oggetti, ciò si manifesta in tutte le scienze umane. In occidente è sorta una netta cesura tra ragione e corpo, tra mente e spirito, allontanando tutta una serie di conoscenze possibili. La realtà quindi (sempre secondo le dottrine orientali) appare come una creazione mentale che l’uomo costruisce per trovare sicurezza in se stesso. In effetti ad ogni nuova scoperta la “proiezione mentale” che l’uomo pone del cosmo viene modificata e tutto prende nuova vita. Si pensi alle rivoluzioni scientifiche e a come si è passati da un universo aristotelico (attraverso il geocentrismo, le sfere dei pianeti, le stelle fisse e il tempo assoluto newtoniano), sino alla relatività del tempo in base all’osservatore e alla sua velocità... La realtà quindi nella sua evoluzione conoscitiva sembra essere illusoria e misteriosa, interpretabile di volta in volta dall’uomo in base alla cultura e alla tecnologia. Ma non solo, l’Universo per gli orientali è in continuo movimento, un movimento che i buddisti chiamano saṃsāra e che si lega al ciclo della vita e alle reincarnazioni. Sia nel microcosmo che nel macrocosmo fisico ciò che regna è il movimento. Dalle particelle subatomiche giungendo sino alle galassie e l’intero Universo in espansione, tutto è un continuo movimento senza sosta. In un testo taoista si afferma che: «La quiete in quiete non è la vera quiete. Soltanto quando c’è quiete in movimento può apparire il ritmo spirituale che pervade cielo e terra.» Un mito indù parla addirittura del ciclo cosmico del Brahaman ossia il Lila, una sorta di gioco ritmico secondo cui Brahman crea l’Universo ad intervalli regolari chiamati Kalpa, attraverso espansioni e contrazioni. Un Kalpa (cioè un giorno di Brahman) dura 4,5 miliardi di anni, che è poi all’incirca l’età stimata della Terra! Nel Lila quindi l’Universo viene creato e poi distrutto, determinando periodicamente un nuovo ciclo.

Uno dei molteplici attributi del dio induista Shiva è quello di “danzatore” o “Signore della danza”, cioè di una divinità la cui danza cosmica simboleggia il ritmo di vita e morte, ma anche i cicli cosmici di creazione e distruzione. Il mito racconta che quando Shiva danza estende una vibrazione in tutto l’Universo intervenendo direttamente nella creazione e nella distruzione; l’Universo così si dissolve nel Bindu un punto dove si concentra tutta l’energia universale e da cui successivamente tornerà a rinascere tramite una grande esplosione. Sicché non può sfuggire come i ritmi di creazione e distruzione appena citati somiglino alla moderna Teoria del Big Bang e del Big Crunch. In esse si affermano che l’Universo sia nato da una singolarità, un punto da cui è avvenuta la grande esplosione che ha creato il tempo e la materia. Per alcuni scienziati inoltre l’Universo non sarebbe destinato ad un’espansione eterna (e accelerata come quella accertata negli ultimi anni) ma ad un futuro rallentamento e a un’inversione del suo moto che lo riporti alla condizione iniziale di singolarità. Il parallelismo con la danza cosmica di Shiva però, si accosta anche a quello delle particelle virtuali che nascono e si annichilano in un tempo brevissimo, e per alcuni aspetti persino alla Teoria delle Stringhe. Nell’interpretazione quantistica della Teoria delle Stringhe le particelle elementari sarebbero in realtà piccolissime stringhe o membrane in vibrazione: in base alla tensione e alla frequenza di vibrazione verrebbero prodotte e sostenute le particelle elementari.

string-theory

Secondo la Teoria delle Stringhe gli atomi (4) e i nuclei atomici (5)
sarebbero in realtà composti da stringhe o brane vibranti (6)


Questa chiave di interpretazione filosofica della scienza, così vicina ad una visione olistica del mondo è contenuta all’interno della Teoria del bootstrap (parola inglese che significa “tirante di stivale”) sostenuta dal fisico statunitense Geoffrey Chew e spiegata molto bene nel coinvolgente libro di Fritjof Capra Il Tao della fisica. Secondo questa teoria la natura non può più essere interpretata secondo i componenti e le leggi elementari della materia, in quanto è il legame stretto tra tutti gli elementi naturali a determinare tutto ciò che esiste. In questo modo cessano di avere importanza le costanti, le leggi e le equazioni matematiche, perché nessuna di esse possiede un’importanza primaria rispetto ad altre; tutta la nostra ricerca verrebbe vanificata dalla presenza delle grandi connessioni tra sistemi che reggono l’intera struttura dell’Universo. Questo approccio radicale alla scienza trova ovviamente molti oppositori in quanto lo studio scientifico verrebbe risucchiato nell’insondabilità del creato. Sicché la Teoria del Bootstrap potrebbe trovare una spiegazione legittima solo attraverso una legge sufficientemente vasta tale da spiegare tutti i fenomeni universali.
Questa “via spirituale” della fisica, per quanto ardua potrebbe contenere un aspetto fondamentale fino ad oggi trascurato, quello secondo cui la ricerca scientifica non andrebbe confinata solo in ambiti di mera conoscenza razionale; essa dovrebbe avviare un processo di valutazione della cosiddetta “coscienza” umana e universale, la cui esclusione potrebbe limitare la comprensione profonda degli eventi alla luce di certi meccanismi come l’entanglement quantistico. D'altronde fa riflettere l’imbarazzante consapevolezza che l’uomo fino ad oggi conosce solo il 10% della massa dell’Universo, mentre il restante 90% (composto da materia ed energia oscura) sembra non essere direttamente rilevabile dai nostri strumenti. Forse se l’uomo fosse in grado di liberarsi dal velo del māyā aprendosi ad una nuova visione della realtà, probabilmente potrebbe giungere persino alla formulazione dell’agognata Teoria del tutto.




Per approfondimenti vedere mese di giugno e luglio 2012.


SEGUICI ANCHE SULLA PAGINA fb: http://www.facebook.com/quantoequantaltro?ref=hl  

  

1 commento: