È, in molti modi, come può essere illustrato sulla tastiera del pianoforte.
Fra
le molte nuove voci inserite nell'ultima edizione (1996) dell'Enciclopedia
della Musica Garzanti, cerchiamo e troviamo (p. 817!) il termine «sezione aurea».
Estrapoliamo un passo dall'esposizione:
«
L'indagine sulla s.a. costituisce
una branca fortemente sperimentale dell'analisi, nella maggior parte dei casi
posta quasi esclusivamente in relazione alla sfera formale della musica [...]
».
Fortemente
sperimentali o meno che siano, è bene sottolineare che i primi studi
sull'applicazione della S.A. alle strutture formali della musica, risalgono
ormai alla metà del XX secolo. È infatti proprio del 1950 un articolo di J. H.
Douglas Webster (in Music&Letters) che, citando un gran numero di
partiture nelle quali possono essere riscontrate «proporzioni auree», apre
ufficialmente la strada a quest'affascinante settore dell'analisi musicologica.2
Ma
il primo vero specialista in materia è stato certamente il musicologo ungherese
Ernö Lendvai, i cui famosi studi sulla S.A. nelle strutture musicali
bartókiane, hanno il merito, grazie anche alle numerose pubblicazioni e
traduzioni in cui ci sono stati consegnati (dal 1955 in poi), di aver ampiamente
diffuso la conoscenza di una disciplina che fino ai primi anni settanta
risultava ancora appannaggio di pochi iniziati.3
Tra
il 1977 e 1986, Roy Howat — altro musicologo il cui lavoro di ricerca rimarrà
fondamentale per il proseguo degli studi in questo campo —, scandaglierà più
approfonditamente la materia soffermandosi in particolare sull'opera compositiva
di Debussy (Howat 1983a); e tentando, inoltre, una revisione delle analisi
lendvaiane (Howat 1983b), revisione, che susciterà la prevedibile e puntuale
replica del “maestro” (Lendvai 1984).4
Queste
ad oggi, a parer nostro, le tre tappe principali della ricerca musicologica
sulla S.A.. Ma va da sé che la mole di studi matematico-proporzionali
effettuati in campo musicale nel corso della seconda metà del XX secolo, sia
oltremodo notevole.5
Ed è anche chiaro che, in mancanza di tante e precise indagini, oggi, con tutta
probabilità, ci risulterebbe assai difficile immaginare che i compositori, dal
canto loro, avessero già affrontato e studiato il problema relativo alle
«proporzioni matematiche» (in particolare l'applicazione della S.A. alle
strutture architettonico-formali della musica) fin dal Medio Evo. Inoltre, a
riprova del fatto che un'aura esoterica avvolge da sempre la presenza della S.A.
nei più disparati campi del sapere umano, volentieri ricordiamo che, nonostante
la trattatistica medievale in materia di proporzioni e musica sia cospicua, in
nessuno dei testi pervenutici si fa cenno all'aspetto complessivo
architettonico-proporzionale insito nelle strutture formali di una composizione.6
Ma
alla luce delle molte analisi di cui sopra, è ormai più che certo che
personaggi come Machaut e Dufay — solo per citare due fra i casi oggi più
noti tra gli studiosi — conoscessero assai bene le proprietà della S.A. e
tutta la sua “mirabile potenza”.7
Sarà
però all'interno delle strutture della musica composta nel secolo appena
conclusosi che la S.A. troverà terreno fertilissimo propagandosi a dismisura:
Debussy, Stravinsky, Bartók, Xenakis, Stockhausen, Nono, Ligeti, Manzoni,
Gubajdulina; e l'elenco potrebbe continuare ed occupare un'intera pagina;8
ma qui ci limiteremo ai casi più conosciuti, e a quelli in cui la presenza
della S.A. è chiaramente frutto della volontà del compositore, e non
imputabile a semplici coincidenze numeriche o formulazioni inconsce dovute alla
sensibilità individuale dell'artista nei confronti delle «proporzioni auree».
Sussiste
infatti questo non indifferente problema, relativo, appunto, alla comprovabile
ed effettiva presenza di un cosciente “progetto aureo”, rilevabile, in sede
analitico-musicologica, in nuce al processo generativo-creativo di una struttura
musicale. Problema riconducibile al fatto che le proporzioni di S.A. sono di
frequentissimo riscontro in natura, e perciò (sensibilità individuale
permettendo), in un certo qual modo, direttamente congenite ed istintive per
ognuno di noi.
Per
questo motivo, stabilire se «strutture proporzionali auree» siano
effettivamente dovute a progetti razionali volti alla realizzazione mirata di
tali obiettivi, o siano semplice coincidenze, oppure il risultato di uno
straordinario e ancestrale senso della forma, può essere, a volte, impresa
molto ardua.
Ma
fortunatamente per noi (che ci apprestiamo ad analizzare i fatti), la gestione
dei parametri relativi allo scorrere del «tempo musicale» (questo l'ambito che
qui esamineremo in particolare), posti in relazione alle «proporzioni
temporali» di un opera, comporta spesso, in fase creativo-compositiva, una
serie di problemi e complicazioni logistiche di non facile risoluzione e il cui
superamento, specie ad alti livelli di complessità costruttiva, può avvenire
solo ed esclusivamente mediante un consapevole e sapiente progetto
architettonico delle strutture formali. Progetto, che lascerà pur sempre, anche
nel più enigmatico e misterioso dei casi, qualche traccia del processo
cognitivo matematico-intellettuale ivi presente.
*
Entriamo
ora nei dettagli tecnici, evitando il più possibile una vera e propria
trattazione geometrico-matematica che ci
allontanerebbe dai risvolti simbolico-numerologici ed estetico-artistici che
intendiamo affrontare principalmente.9
Per
prima cosa diremo che per S.A. s'intende una porzione di una grandezza
corrispondente a poco meno dei due terzi del suo totale (ca. 5/8 o 13/8);10
più precisamente, se dividiamo un segmento ‘AB’ in un punto ‘C’ in modo
che:
AB
: AC = AC : BC,
la
porzione ‘AC’ verrà denominata S.A. di ‘AB’.
Quindi,
se poniamo ‘AB’ come ‘a’ e ‘AC’ come ‘x’, avremo:
a
: x = x : (a - x);
da
cui:
a(a
- x) = x2,
e:
x2
- a(a - x) = 0.
E
qui mi fermo, anche perché Euclide, primo a trattare in modo esplicito di S.A.
(Elementi, libro II, propos. 11a ), c'invita a risolvere il
seguente problema:
«Dividere
una retta data in modo che il rettangolo compreso da tutta la retta e da una
delle parti sia uguale al quadrato della parte rimanente».11
Proposizione
elegante ed affascinate, ma che per il suo aspetto prettamente geometrico
potrebbe forse risultare di non semplice — o comunque non d'immediata
comprensione — a tutti coloro che non hanno fatto, contemporaneamente alla
musica, anche della matematica e della geometria il proprio pane quotidiano.
Ma
il nostro Euclide — un po' più avanti nel suo trattato — esporrà poi la
famosa «definizione IIIa», la cui formula d'apertura, per i molti
secoli a venire, verrà adottata da tutti gli studiosi come la più autentica
espressione del concetto di S.A. (Elementi, libro VI, defin. 3a):
«Si
dice che una retta risulta divisa in estrema e media ragione, quando tutta
quanta la retta sta alla parte maggiore di essa come la parte maggiore sta a
quella minore».12
Definizione,
questa, che inevitabilmente però ci riconduce alla proporzione « AB : AC = AC
: BC » da noi esemplificata sopra.
A
toglierci dall'imbarazzo della “definizione” sarà il matematico italiano
Leonardo Fibonacci (Leonardo Pisano)13
che, dopo aver “navigato” in lungo e in largo nella cultura
arabo-matematica, nel 1202 ci consegnerà il suo famoso trattato intitolato Liber
Abbaci. Lì, fra le altre migliaia di cose
riportate, in un breve capitoletto e tramite un simpatico quanto efficace “quesito”
(“proposizione” se volete) sulla prolificità dei conigli (letteralmente « Quot
Paria Coniculorum In Uno Anno Ex Uno Pario Germinentur »)14
il Fibonacci esporrà, senza peraltro rivelarci espressamente alcunché, una “magica”
quanto antica serie numerica che solo in tempi più recenti prenderà poi il suo
nome.15
Questi
i primi tredici termini della futura e denominata «Serie di Fibonacci», che
compaiono nel Liber
Abbaci (Fibonacci 1857:284) in relazione a
quell'ipotetico e “curioso” numero progressivo di coppie di conigli
procreate nel corso di un anno (Quot paria...):
1.2.3.5.8.13.21.34.55.89.144.233.377.16
Questa
serie matematica ricorrente possiede numerose ed interessanti proprietà.
Citeremo: 1) la più evidente, cioè che ogni numero è la somma dei due
precedenti; 2) la più straordinaria (al caso nostro), ossia che tre numeri
consecutivi estrapolati in un punto qualsiasi della successione (fatta eccezione
per i primissimi termini) sono, grazie ad una straordinaria approssimazione,
eccellenti valori numerici per la realizzazione di segmenti in proporzione
aurea.
Applicando
ad esempio i valori fibonacciani « 55.89.144 » alla proporzione “euclidea”
precedentemente esposta (« AB : AC = AC : BC » dove AB sarà «144» e AC
sarà «89») avremo una visione lampante del concetto matematico di S.A.:
144
: 89 = 89 : 55
per
cui la S.A. di 144 (AB) sarà 89 (AC).
Succede
però che la relazione:
a(a
- x) = x2
non
viene soddisfatta; questo perché:
144(144-89)
¹ 892;
infatti:
892
- 144(144 - 89) = 1.
Quale
sia la «sequenza aurea» fibonacciana utilizzata, il risultato sarà sempre
identico: ±1 (regolarmente
alterni di pari passo al procedere di grado delle triadi auree estrapolate dalla
serie) invece di ‘0’. Il fatto si spiega facilmente, poiché i numeri
di Fibonacci sono numeri interi e quindi, come accennato, lievemente
approssimati rispetto all'effettivo valore di S.A. di un segmento, quest'ultimo,
al contrario, sempre espresso da un irrazionale.
Per
conoscere l'esatto valore della S.A. di 144 (a) è sufficiente
moltiplicare il nostro numero per 0,618..., coefficiente, questo (Le Nombre
d'Or), ottenuto dalla formula di seguito esposta e a sua volta derivata
dall'equazione iniziale di cui sopra:
(Ö5-1)/2
= 0.6180339...,
per
cui:
x
= a (Ö5-1)/2.
La
nostra ‘x’ sarà quindi corrispondente a 88,99... .17
Ora,
tornando alla musica, a qualsiasi unità di misura tale risultato si riferisca
(durate temporali, numero di battute, quantità di note, etc.) si comprende
facilmente che ai fini “artistici” la differenza è assolutamente
irrilevante; ed è bene ribadire che il nostro occhio (arti visive), ed anche il
nostro orecchio (musica), possono essere soddisfatti da valori assai più
lontani da quelli matematicamente esatti riportati sopra, compresi i numeri di
Fibonacci, che già incorporano un livello di approssimazione tanto eccellente
da risultare praticamente inavvertibile alle nostre comuni capacità di
discriminazione sensoriali.18
La
serie di Fibonacci ci appare pertanto come uno straordinario archivio di
«sequenze auree», non a caso utilizzate in svariati modi — alcuni dei quali
estremamente creativi ed ingegnosi — da quasi tutti i compositori che abbiano
sviluppato un qualche interesse per le virtù della S.A..
Ora,
se dal punto di vista pratico l'applicazione di proporzioni auree nelle arti
visive (pittura e architettura ad esempio) può essere facilmente intuito
(ovvero una suddivisione più o meno elaborata dello spazio in porzioni auree)19
in campo musicale — causa non indifferente il fattore «tempo» — la
faccenda risulta assai più complessa.
Per
fare un primo semplice esempio, immaginiamo l'ascolto di un brano musicale
composto da 144 battute in 4/4, e che all'attacco della mis. 90 sia
contraddistinto da un evento timbrico, dinamico o formale di notevole rilievo, o
comunque tale, da farci percepire nettamente la transizione dal primo segmento
di 89 btt. al successivo di 55. In teoria, in fase di ascolto, dovrebbe aver
luogo una percezione auditiva delle due sezioni del brano in proporzione aurea;
a patto però, che la scansione metronomica del «tempo musicale» sia
sufficientemente regolare, metronomicamente costante cioè, così da garantire
una corrispondenza fra lo scorrere del «tempo cronometrico» e il numero di
battute del brano. Sarebbe infatti sufficiente una diminuzione agogica a metà
dell'esecuzione, per rendere nullo l'effetto di S.A. fra i due “segmenti”;
le cui proporzioni, nel caso della nostra elementare esemplificazione, dipendono
esclusivamente dalla sequenza e durata numerico-temporale delle battute.
Un
secondo esempio, molto più elaborato, lo preleviamo direttamente da una delle
partiture più studiate e discusse in materia di “analisi aurea”.
Si
tratta della sezione «A-B», del terzo tempo della Musica per
strumenti a corda, percussione e celesta (d'ora in poi Musik) di
Béla Bartók.
Il
frammento consta di 15 misure in 4/4, e sono presenti due indicazioni
metronomiche diverse: MM. ca. 56 per semiminima per il primo segmento di 11 mis.
e MM. ca. 46 per semiminima per le rimanenti 4. Consideriamo ora la durata
totale del frammento in 60/4 (15×4), dove i primi 14/4 sono occupati da un
episodio introduttivo, i successivi 30/4 da una esposizione tematica e i
rimanenti 16/4 da un episodio risolutivo di transizione che collega il tema
precedente al seguito della composizione. Calcolando ora, mediante
estrapolazione matematica, le durate in minuti secondi dei singoli frammenti e
considerando, inoltre, il «rallentando» tra il passaggio da una
all'altra indicazione metronomica avremo, rispettivamente, circa 15'' + 34'' +
21''.
Benché
l'esempio di primo acchito possa apparire un poco capzioso, credo sia comunque
straordinariamente illuminante, in quanto dovrebbe bene evidenziare l'importanza
basilare delle indicazioni agogiche e metronomiche ai fini di un'effettiva
determinazione di «proporzioni temporali» prestabilite (“auree” nel nostro
caso poiché « 13.21.34 » sono numeri di Fibonacci!) all'interno di strutture
musicali.
Quanto
alla capziosità, siamo coscienti che potrebbe anche
trattarsi di pura e semplice coincidenza (“faziosità” se volete, per
intenderci, un po' come capita in ambito numerologico quando si rimescolano le
misure della Grande Piramide di Cheope). Ma va da sé, che corrispondenze
numeriche di questo genere — che si presentano con una certa qual piacevole e
“curiosa” insistenza nell'opera bartókiana citata — potrebbero forse
celare qualche ulteriore particolare matematico-simbolico
(leggi “istruzioni per l'uso”) forse non ancora completamente evidenziato
nonostante, nel corso degli ultimi cinquant'anni, il brano sia stato sottoposto
a numerose e dettagliate analisi.
A
tal riguardo, è interessante notare cosa diceva una dozzina di anni addietro la
compositrice Sofia Gubajdulina (1991:29):
«[...]
l'aspetto ritmico della musica di Bartók mi interessa moltissimo, al punto che
vorrei studiare a fondo la sua applicazione della Sezione Aurea ».
Sarebbe
assai interessante conoscere su quali particolari aspetti ritmico-proporzionali
della musica di Bartók si volesse soffermare il genio creativo della
compositrice russa, anche perché, già gli
splendidi esiti di Stimmen... Verstummen... (1986) ci facevano
auditivamente percepire gli enormi progressi compiuti dalla musica contemporanea
(secondo Novecento) in materia di «proporzioni auree» e strutture
«spazio-temporali».
***
Ma
val la pena darsi tanto da fare per costruire strutture formali di questo
genere?
Sul
fascino esercitato dalle «proporzioni auree» sulla percezione visiva
si è indagato, non poco, tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del XX
secolo.
Al
tempo, alcuni studiosi rilevarono che l'occhio umano trae un innato piacere per
qualsiasi forma rispetti, anche se in modo approssimativo, le proporzioni di S.A..
Sarebbe
infatti sufficiente un «rettangolo aureo» (ad es. 233×144, per rimanere su
misure fibonacciane) per attrarre il nostro sguardo su di esso e prediligerlo
rispetto ad altri di misure assortite.20
Sembrerebbe
peraltro che parte della stessa struttura geometrica dell'occhio umano sia
riconducibile alle proporzioni di S.A. (cfr. ad es. Montù 1973).
Ma
ancor più interessante, sempre al caso nostro, ricordare che parte della
struttura interna dell'orecchio (coclea), sia sostanzialmente riconducibile ad
una spirale logaritmica: curva matematica questa, il cui grado di perfezione
geometrico dipende esclusivamente dalle «proporzioni auree» che regolano lo
sviluppo delle sue volute.
Ora,
benché tutto ciò ci possa apparire come molto fantasioso e improbabile,
potrebbe forse però aiutarci ad accettare con più facilità l'ipotesi che
anche la percezione acustica di «segmenti temporali aurei» risulti
particolarmente gradita al nostro orecchio. Prendiamo quindi la faccenda della
“coclea” come una metafora, anche perché qui
non credo sia opportuno tentare di approfondire l'argomento, per ragioni di
spazio ovviamente, ma non solo.21
Per
cui, svicolando problemi e
“misteri” relativi alla psicoanalisi della percezione visiva e acustica,
tentiamo, per quanto possibile, di districarci tra la selva di simbologie varie
che frequentemente celano e al contempo rivelano, l'utilizzo della S.A. in campo
artistico e letterario.22
Abbiamo
detto della spirale logaritmica. E il nostro pensiero va immediatamente a On
Growth and Form di D'Arcy Wentworth
Thompson (1917) e, prima ancora, a On the Geometrical Forms of Turbinated and
Discoid Shells del Rev. H. Moseley (1838);
ma anche alla scrivania di Bartók (Lendvai 1971:29) e a Le Corbusier (Urbanisme
1924). Infine — scorrendo molti altri studi sull'argomento (cfr. bibl.) —
potremmo giungere alle analisi musicologiche, ossia ai già citati Lendvai
(1971:30-34) e Howat.
Quest'ultimo,
in particolare (cfr. ad es. Howat 1983a), ha sistematicamente utilizzato la
spirale logaritmica per evidenziare graficamente le «strutture proporzionali
auree» di alcune composizioni di Debussy: La
Mer ad esempio (tanto per rimanere in
tema!) cosicché, qualche tempo dopo (1988), la Revue Analyse Musicale,
dedicando un numero monografico a Debussy, non si lascia sfuggire l'occasione
per mettere in copertina l'immagine di una conchiglia spiraliforme.
E
dal “simbolismo” «esoterico-impressionistico» potremmo giungere a quello
«cosmico-alchemico»: ossia a Stockhausen, o in altre parole, al fatto che
sulla copertina del catalogo della Stockhausen-Verlag,
campeggia una spirale logaritmica lungo le cui volute sono elencate le opere del
compositore tedesco, da Chöre für Doris a Mittwoch aus Licht.
O per “tacere” di un altro fatto: e cioè che fra tutti gli allievi del
compositore alchimista — effettivi (Eötvös e Grisay per fare due nomi non a
caso) o d'adozione (come ha più volte sostenuto d'esserlo Sciarrino) — ben
pochi sono sfuggiti al fascino del “vortice aureo”.
Ora,
se nel proseguo di questo discorso ormai inevitabilmente intriso di aspetti «magico-esoterici»,
rammentassimo pure l'esistenza di due figure geometriche come «pentagono» e
«stella a cinque punte», ci inoltreremmo in un tale ammasso di simbologie
mistico-filosofico-matematiche che nessuno studioso riuscirà mai a sondare in
modo esaustivo.
Ho
accennato alla stella a cinque punte (figura geometrica costruita unendo le
diagonali di un pentagono regolare ma anche, per alcuni di noi, inconsciamente
riprodotta nell'atto di apporre con penna un asterisco su un foglio, senza poi
dimenticare la sua frequente presenza in Natura); quindi forse val la pena
ricordare che le cinque rette che la compongono si intersecano fra loro dando
origine a segmenti in «proporzioni auree». E
se la serie di Fibonacci ci regalava valori approssimati, qui abbiamo a che fare
con segmenti la cui precisione assoluta è espressa da valori irrazionali, il
che, agli occhi degli antichi, dovette apparire come qualcosa di sbalorditivo ed
inesplicabile.
Non
a caso i pitagorici attribuirono a questa figura geometrica, «pentalfa»,
particolari proprietà magiche e con buona probabilità,
fu per motivi d'imperscrutabilità e potenza incantatoria delle proporzioni lì
e altrove “divinamente” presenti, che le conoscenze relative alla S.A.
furono, fin dai tempi più remoti, severamente e gelosamente custodite
nell'ambito delle «dottrine esoteriche» (o «dottrine non scritte» se
preferite quest'altra espressione).
Ma,
a proposito di pitagorismo, nel 1958, sulla rivista Sophia,
appare uno degli ultimi e straordinari contributi lasciatici da Vincenzo
Capparelli. Trattasi (parlo del lavoro) di uno studio storico sulla S.A.
(peraltro di fattura assai notevole per un ricercatore italiano dell'epoca!) che
ne ripercorre le vicende dall'antichità fino al 1951. Anno da ricordare il
1951, poiché alla Triennale di Milano si tenne il primo Congresso
Internazionale di studi sulle Proporzioni nelle Arti.
E
qui aprirei una “finestra” (in senso formale sciarriniano).
*
Non
abbiamo idea di quanta risonanza il congresso ebbe in campo artistico e in
particolare nel mondo musicale, ma le date parlano chiaro (come dicevamo
precedentemente, fu il secondo Novecento a invaghirsi, in modo particolare,
della S.A.) e forse varrebbe la pena di approfondire la questione. Comunque, in
concomitanza al congresso — a cui peraltro parteciparono tutti i maggiori
esperti del tempo (Ghyka e Le Corbusier in primis) — la Triennale
allestì anche una bella mostra bibliografica sull'argomento (cfr. Marzoli /
Gnecchi Ruscone 1951).23
Assai interessante notare che nei settori della mostra riservati alla musica,
oltre alle immancabili opere di Boezio, Gaffurio, Zarlino, etc. (vetrina 21; cfr.
op. cit. p. 129), venivano esposte (vetrina 31; id. p. 134) partiture di
Schoenberg (Pierrot Lunaire, op. 21), Webern (Passacaglia), Berg (Lulu),
Dalla Piccola (Il Prigioniero), R. Malipiero (Sinfonia).24
*
Chiusa
la “finestra”. Riprendiamo il discorso.
Il
Capparelli (cfr. 1958:208) attira la nostra attenzione sottolineando il fatto
che, tanto nel Timeo di Platone, quanto nel De Architectura di
Vitruvio, non si parla di S.A.:
«
[...] certo fa meraviglia che Platone non faccia cenno nel “Timeo” di un
tale importante, e a dir così, cosmico dato geometrico
».
In
verità ci sarebbe un passo del Timeo che molti studiosi spesso citano
come chiara esplicitazione del concetto di S.A.. Ma, guarda caso, il passo ben
si adatta anche al più semplice concetto (e assai meno esoterico) di
«proporzione geometrica»:
«
Ma che due cose si compongano bene da sole, prescindendo da una terza, in
maniera bella, non è possibile. Infatti, deve esserci in mezzo un legame che
congiunga l'una con l'altra. E il più bello dei legami è quello che di se
stesso e delle cose legate fa una cosa sola in grado supremo. E questo per sua
natura nel modo più bello compie la proporzione [...] ».25
Effettivamente,
però, in un certo qual modo, un'aura di S.A. avvolge gran parte del Timeo;
e l'apice, a parer nostro (tesi sostenuta anche da altri), si tocca quando al
momento di illustrare la struttura del “quinto solido” — il «dodecaedro»
(12 facce pentagonali!) — Platone, dopo essersi prodigato in una
dettagliatissima dissertazione sulla genesi geometrico-strutturale degli altri
quattro solidi regolari, chiude improvvisamente l'argomento liquidandoci con due
righe:
«
Ma essendovi ancora una quinta combinazione, il Dio si servì di essa per
decorare l'universo ».26
Due
righe, ma del tutto sufficienti per capire che in ballo c'è qualcosa di
estremamente importante dal punto di vista «estetico-filosofico» e «mistico-matematico».
Per
quanto riguarda il “silenzio” di Vitruvio rimando a C. J. Moe (1945:69) e
ancora al Capparelli (op. cit.):
«
[...] bisognerebbe credere che
Vitruvio non ne abbia trattato specificamente [della
S.A.], perché le sue applicazioni facevano parte del bagaglio
esoterico che si impartiva segretamente nelle corporazioni di arti e mestieri
».
***
Passa
il tempo, passano i secoli, quelli di Platone, di Euclide, di Vitruvio..., ma la
storia non cambia. Anzi.
Venezia
1509. Il matematico italiano Luca Pacioli fa stampare il suo trattato De
Divina Proportione, portato a termine nel 1498 — con l'aiuto del suo amico
Leonardo da Vinci — e redatto in tre copie manoscritte. Nell'opera
confluiscono gli studi su Platone, Euclide, Campano, Fibonacci, il pensiero di
Piero della Francesca, il sapere di Leon Battista Alberti, i probabili influssi
della filosofia ermetica di Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, i misteriosi
contatti con Albrecht Dürer e molto altro (magia e alchimia comprese): in due
parole, uno spettacolare concentrato di «divina sapienza».
Ecco
la dicitura dell'intestazione originale del capolavoro del Pacioli:
DIVINA
PROPORTIONE
Opera
a tutti glingegni perspi/
caci
e curiosi necessaria Ove
cia/
scun
studioso di Philosophia:/
Prospectiva
Pictura Sculptu/
ra:
Architectura:
Musica:
e/
altre
Mathematice: sua/
vissima:
sottile: e ad/
mirabile
doctrina/
consequira:
e de/
lectarassi:
cõva/
rie
questione/
de
secretissi/
ma
scien/
tia.
Dunque
il Pacioli scrive «secretissima scientia» (cfr. Capparelli 1958:210),
il che non lascia più alcun dubbio sugli aspetti esoterici che potevano
rivestire le trattazioni sulla S.A. nell'antichità, al tempo del Pacioli e
anche oggi.
Il
Pacioli, peraltro, sul frontespizio del suo trattato, pone tra le varie «Mathematice»
anche «architettura e musica». E queste due «arti matematiche», nell'ambito
del discorso che stiamo affrontando, non possono che rimandarci alle ben note
implicazioni esoterico-numerologiche riscontrabili in numerose composizioni
della polifonia vocale del Quattrocento. È sì, stiamo proprio pensando a
Guillaume Dufay e all'architettura del famosissimo e studiatissimo (anche più
della Musik bartókiana) mottetto: Nuper
Rosarum Flores.
Salto
pindarico.
Torniamo
cioè all'inizio del Novecento; e più precisamente a La
Cathédrale Engloutie di Claude Debussy
(magie e alchimie delle cattedrali!).
L'uso
della S.A. nelle opere del compositore francese è stato indagato a fondo, come
più volte abbiamo sottolineato, dal musicologo e pianista inglese Roy Howat.
Vale la pena però soffermarsi sul famoso preludio pianistico, perché, fra le
altre cose, è uno splendido esempio di numerologia applicata alle «proporzioni
auree».
Il
brano consta di 89 misure organizzate su una segnatura di tempo dall'aspetto
sottilmente ambiguo: 6/4 = 3/2. L'interpretazione dell'autore (conservata su
rullo di pianola) risulta in contrasto con le indicazioni dell'edizione a stampa
(Durand 1910), Debussy suona infatti le 68 btt. “identificabili” con la
segnatura 3/2 (btt. 7÷12 e 22÷83) al doppio del tempo iniziale, da cui:
89-68=21; 68:2=34; 34+21=55. Inutile ogni commento, purché si rammentino i
termini (8.13.21.34.55.89) della serie di Fibonacci. E anche se Debussy non si
fosse preoccupato di lasciarci in eredità la sua illuminante incisione su rullo
di pianola, sarebbe stato sufficiente dare un'occhiata al manoscritto (o leggere
le lettere di Debussy o contare le battute), per notare che le dodici crome che
compongono la mis. 70 si sono “trasmutate” in altrettante semicrome, mentre
la barra di divisione della successiva misura s'è dissolta nel nulla: a
delucidazione dell'insolita notazione c'è un appunto sulla destra del foglio
che dice: « ces doubles croches sont des croches ».27
Debussy
è affascinato dalla S.A. e dai suoi aspetti esoterici; tanto da utilizzarla
molto frequentemente nelle sue composizioni; e senza perdere l'occasione per “giocare”
con i numeri o lanciare messaggi criptici: come la copertina della partitura de La
Mer (Durand 1905), che per volontà del compositore porta raffigurata La
grande onda presso la costa di Kanagawa di Katsushika Hokusai.28
Debussy
e Bartók usano deliberatamente la S.A.; e anche se per alcuni studiosi questo
è un fatto ancora discutibile, è assai curioso notare come per i due (benché
appaia chiaramente loro non gradito parlare esplicitamente di S.A.) la
tentazione di lasciare qua e là qualche misteriosa traccia del loro operato
esoterico sia quantomeno irresistibile: questo forse allo scopo di indirizzare
eventuali posteriori tentativi d'interpretazione (ovvero lasciare indicazioni
ermetiche per gli “adepti”) o semplicemente per una sorta di ludico piacere
filosofico-numerologico e cabbalistico (il cui fine è poi sostanzialmente lo
stesso).
Debussy,
peraltro, inviando al suo editore Durand (agosto 1903) le bozze corrette dell' Estampes,
è spudoratamente esplicito:
«
Vous verrez, à la page 8 de “Jardins
sous la Pluie”, qu'il manque une mesure; c'est d'ailleurs un oubli de ma part,
car elle n'est pas dans le manuscrit. Pourtant, elle est nécessaire, quant au
nombre; le divine nombre [...] ».29
Quanto
a Bartók, la “leggenda” vuole che durante un'audizione del terzo tempo
della Musik si rivolgesse al violinista André Gertler confidandogli: «
Lo senti? È il mare! ».30
Prendendo
spunto da questo aneddoto, Howat (1983b:68) sottolinea le forti analogie
presenti fra le strutture proporzionali de La Mer di Debussy e quelle del
brano di Bartók, soffermandosi in particolare sul Dialogue du vent et de la
mer e la sezione «B-C» dell'Adagio della Musik, episodio, quello
bartókiano, che Lendvai (1971:29) chiama «roaring of the wind».
Riguardo
ad ulteriori ipotesi su altri ed eventuali aspetti «esoterico-numerici» insiti
nella Musik di Bartók passeremo oltre per ragioni di spazio. Un appunto
però lo facciamo volentieri, in merito alle disparità e incongruenze
riscontrabili dal confronto fra le durate indicate in minuti e secondi sulle
partiture bartókiane e quelle matematicamente deducibili dai tempi metronomici.
Queste discrepanze sono presenti anche nel I e III tempo della Musik, ma
non sono di rilevanza tale da generare dubbi irrisolvibili a livello
interpretativo-esecutivo; comunque sia: «cinquantacinque» secondi (di durata)
indica Bartók per la sezione sopra citata «il soffiare del vento», in luogo
degli effettivi circa «quarantotto» dedotti dall'indicazione metronomica.31
Correndo
ora il rischio di contagi «ermetico-esoterici» fra i più avventati, citerò
alcune righe di Bruno Cerchio poste come « avvertenza » alla sua
trascrizione delle 50 fughe dell' Atalanta Fugiens di Michael Maier:
«
La trascrizione delle fughe dell'Atalanta pone diversi problemi. L'originale
reca errori e sviste in quantità tale da far supporre non siano tutti
accidentali, ma che alcuni (soprattutto le note dimenticate e gli sbagli
d'intervallo che, in grazia al meccanismo canonico, possono essere facilmente
corretti) conservino più reconditi significati (siano ad esempio sistemati su
parole e in luoghi ove l'autore voglia attirare l'attenzione). »32
È
meno che un'ipotesi. Ma, talvolta, anche un fatto più che comprovabile e di
cui, in ambito di studi esoterici, è sempre bene tener conto quando ci si trova
di fronte ad un «errore».
***
Tornando
ora alle vicende della «divina proporzione», sembrerebbe (questa perlomeno è
la tesi maggiormente sostenuta dagli esperti) che dopo gli studi del Pacioli e
più avanti di Keplero, una sorta di stasi intellettuale s'instauri nei
confronti della S.A. e si protragga, all'incirca, fino alla metà del XIX
secolo.
Sarà
il matematico francese Michel Chasles che, preannunciando una rinascita
d'interessi attorno alla S.A. (cfr. Chasles 1837:512-3), diventerà famoso fra
gli addetti ai mestieri (cfr. ad es. Capparelli 1958:200) e ricordato proprio
grazie all'attenta analisi del fenomeno e alla sua profetica intuizione.33
Infatti, poco tempo dopo, alcuni studiosi tedeschi riprendono le indagini
sull'argomento: Adolf Zeising (1854) è il nome più illustre, ma saranno in
molti altri a pubblicare libri il cui titolo è (o comunque fa riferimento a) «Der
Goldene Schnitt».34
Va
da sé che nel corso della prima metà del XX secolo gli studi sulla S.A. si
intensificheranno ulteriormente e un numero sempre crescente di interessanti
saggi verrà dato alle stampe. Inizia così un processo di divulgazione
esoterica intorno alla S.A. che i secoli precedenti non avevano mai conosciuto e
che neppure lo stesso Chasles avrebbe potuto immaginare.
Alcuni
dei principali esperti del settore rispondono ai nomi di Theodor Andrea Cook,
Jay Hambidge, Gino Severini,35
Matila C. Ghyka, Charles Funck-Hellet, Elisa Maillard, Le Corbusier.
Quest'ultimo, in particolare, nei primi anni cinquanta pubblicherà due manuali
che ben presto diventeranno famosissimi: Le
Modulor (1950) e Le Modulor II
(1955). In questi due testi — contrariamente a Vitruvio — il grande
architetto svizzero tratta diffusamente ed esplicitamente di S.A., tanto da
farne quasi un credo personale; atteggiamento, questo, che non mancherà di
suscitare polemiche e contestazioni.36
Rimandiamo
il nostro lettore al secondo dei due volumi citati — Le Modulor II —
poiché nelle ultime pagine appare uno scritto del compositore greco Iannis
Xenakis, ove, seppur brevemente, il musicista-architetto (peraltro in quegli
anni assistente di Le Corbusier) parla di una sua opera. La composizione è
assai famosa, poiché piacque anche a Hermann Scherchen e fu data in prima
esecuzione sotto la direzione di Hans Rosbaud al Festival di Donaueschingen nel
1955 (cioè l'anno di Le Modulor II), portando così all'attenzione del
mondo musicale contemporaneo l'originalissimo musicista greco. Stiamo parlando
di MetastaseisB (1953-54); e ciò che qui voglio sottolineare
è che Xenakis, nelle pagine del libro di Le Corbusier, “dichiara” la
presenza del Modulor (ossia un sistema codificato per l'applicazione della S.A.
in architettura) come base elaborativo-progettuale della struttura compositiva e
formale del suo brano.37
Ora,
se oltre a queste testimonianze dirette ed esplicite dell'uso della S.A. da
parte di Le Corbusier e Xenakis, consideriamo: 1) che nel 1954 Stockhausen
scrive il Klavierstück IX (brano la cui partitura, come successivamente
molte altre, è ricca di evidentissime segnature di tempo fibonacciane)38;
2) che nel 1964
Krenek scrive Fibonacci
Mobile; 3) che nel 1979 Manzoni scrive Modulor
(chiaro “omaggio” ai due architetti precedenti); considerando, quindi, anche
solo questi tre esempi, sembrerebbe che per
alcuni compositori e artisti in genere,39
la premura di tener in qualche modo celata la presenza della S.A. nelle
strutture delle proprie opere sia in un certo senso svanita. O meglio, a volte,
forse più ingegnosamente mutata nei suoi aspetti reconditi: cioè mutata nei
suoi aspetti tecnico-esoterico-creativi, nell'atto di perseguire un processo
evolutivo e strutturale, orientato verso una ricerca estetica
alchemico-scientifica atta a stimolare una più cosciente appercezione auditiva.40
E ciò è abbastanza comprensibile, non fosse altro per il motivo che il
crescente interesse sviluppatosi nel corso della prima metà del Novecento
attorno agli studi sull'applicazione della S.A. nelle arti, probabilmente “guastò”
un poco l'aspetto esoterico di disciplina per iniziati che tale materia poteva
forse ancora conservare nei primi decenni del secolo.41
Sarà
quindi solo apprestandosi all'analisi delle strutture auree presenti nella
musica contemporanea che ci troveremo di nuovo in campo esoterico riservato a
pochi iniziati.
Per
fare un esempio, l'evidenza grafico-numerico fibonacciana delle segnature di
tempo stockhauseniane è, come dire, inversamente proporzionale alla facilità
di comprensione del processo costruttivo-intellettuale che le ha generate e
organizzate; e non mancano neppure gli “enigmi numerologici”: 142/8 e 87/8
sono le prime due segnature di tempo del Klavierstück IX, entrambe in
difetto (-2) rispetto a F12 (144) e a F11 (89).42
Potremmo
quindi formulare un'ipotesi secondo la quale in tempi moderni l'approccio alla
S.A. in campo artistico musicale sia diventato “più dichiarato”, ma al
contempo, molto più sofisticato ed elaborato nelle sue applicazioni
strutturali, con consequenziali esiti estetico-acustico-percettivi di
straordinaria efficacia.43
Per
cui, possiamo ancor più tranquillamente sostenere che il « gaio fascino
dell'imperscrutabilità del sapere » è ancora una volta salvo.
Non
è questa comunque né una regola né, tanto meno, un atteggiamento che
abbia in qualche modo soppiantato le più antiche e rigorose abitudini di
osservanza del «silenzio ermetico».
Detto
questo, ora dovremmo proprio tacere; come peraltro c'inviterebbe a tacere un
famoso compositore italiano in un suo brano della fine degli anni settanta. Ma
dato che nel sottotitolo di questo scritto si accennava al progressive,
cioè al “rock progressivo” (branca della popular music sviluppatasi
in Inghilterra durante la prima metà degli anni settanta), occorre prepararsi
ad un secondo (e apparente) volo pindarico nel caso siate interessati a
proseguire la lettura.
***
Dunque,
benché il noto compositore italiano del quale dicevamo poco fa, ci rimandi
all'immagine mistico-esoterica di un antico dio egizio che, tramite Plutarco (De
Iside et Osiride), diventa poi (causa un gesto con il quale sembrerebbe “invitarci
al silenzio”)44
simbolo e custode del sapere esoterico, noi non taceremo per quanto riguarda la
musica dei Genesis: i Genesis, ossia uno dei gruppi progressive-rock più
impegnati nel tentativo di dare una svolta epocale al panorama «stagnante»
della popular music inglese nel corso della prima metà degli anni
settanta.45
I
motivi per cui “parleremo” sono fondamentalmente due: 1) perché riteniamo
che il progressive-rock meriti l'attenzione dell'analisi musicologica; 2)
perché chi tira in ballo il dio egizio, o qualsiasi altro simbolo
esoterico-alchemico, sa a priori, che prima o poi qualcuno, compreso l'arcano,
infrangerà il silenzio.46
Orbene,
coincidenza vuole che sulla copertina dell'album più amato e commercialmente
fortunato dei Genesis, Selling England By The Pound (1973),47
appaia un elegante disegno nei cui tratti magico-onirici si può notare un
personaggio chiaramente rappresentato nell'atto di «invitare al silenzio».48
«Silenzio» che noi interpreteremo di natura filosofico-ermetica, dato che le
elaborate strutture matematiche riscontrabili in alcuni brani presenti nel
suddetto album, fanno capo ad architetture auree studiate (ovvero
deliberatamente progettate)49
fin nei minimi particolari.
Ma
non solo. Il contenuto «esoterico-matematico» ivi presente è oltremodo
sottolineato da una foltissima serie di simbologie (giochi di parole presenti
nelle liriche e nei titoli dei brani e degli album, riferimenti numerologici,
dipinti e disegni vari sulle copertine dei dischi di chiara ispirazione
simbolico-ermetica e surrealista) che ci rimandano costantemente all'uso della
S.A. e ai suoi inscindibili aspetti magico-alchemici parzialmente evidenziati
nella prima parte di questo scritto.
Questi
aspetti «mistico-esoterici» riscontrabili in molte composizioni dei Genesis
— basti pensare all'album Foxtrot (1972) e alla lunga suite Supper's
Ready — sono abbastanza noti ai fans del “mitico/mistico” gruppo
inglese, ma non sono mai stati studiati e indagati come meriterebbero. Tra
questi aspetti, quelli «esoterico-matematici», che qui evidenzieremo,
risultano a tutt'oggi, in assoluto, i più affascinanti e del tutto sconosciuti.50
Purtroppo in coda a questo scritto non potremo occuparci in modo
particolareggiato dell'argomento, e ci limiteremo quindi a segnalare solo
qualche significativo dato matematico musicale rimandando il lettore
interessato, in particolare a due altri nostri piccoli interventi pubblicati
sulla rivista Dusk: Italian Genesis Magazine (n. 38feb2002), in cui si è
tentato di esemplificare le strutture compositive genesisiane attraverso una
rappresentazione grafico-matematica di alcune partiture.
Ora,
però, nell'apprestarsi ad analizzare la struttura ritmico-metrico-formale di un
brano di popular music — più precisamente di progressive-rock —51
ci si trova subito a dover far fronte ad un problema non indifferente, ossia la
mancanza di partiture “originali” sulle quali basare le nostre indagini.
Come spesso capita anche per il jazz, non è infatti possibile reperire
partiture di popular music complete di tutte le parti;52
ed è per questo motivo che le nostre analisi si basano esclusivamente su
partiture “arbitrarie”, ossia da
noi stessi «trascritte a orecchio» (annotate su pentagramma per così dire)
dalla fonte audio originale (cioè Lp e/o Cd). In musicologia questo
procedimento non è massimamente obiettivo e può creare qualche problema di
ordine soggettivo-interpretativo; specialmente in un caso, di per sé già
abbondantemente discusso, come quello relativo alle metodologie utilizzate per
determinare l'effettiva presenza della S.A. nelle strutture formali di una
composizione (nel caso nostro per di più di musica rock!). Ma credo non ci
siano alternative, poiché le partiture (diciamo “spartiti”) di popular
music oggi disponibili sul mercato, sono per lo più abbozzi molto
superficiali che non rendono minimamente l'idea della sostanza musicale
effettiva confluita in molta musica progressive.53
Ma
veniamo rapidamente al dunque. I grafici proporzionali pubblicati sulla rivista Dusk
si soffermano in particolare su un brano dei
Genesis del 1973: precisamente il terzo dell'album SEBTP sopra citato
(brano peraltro assai famoso e uno dei più amati dai fans del gruppo inglese)54
ed il cui titolo, apparentemente misterioso e intraducibile, alla luce del suo
probabile recondito significato (cioè agli occhi di un iniziato alle simbologie
“auree”) risulta già di per sé assai eloquente: Firth of Fifth.55
L'analisi
della struttura formale della composizione — benché qui solo sommariamente
esposta nel sottostante prospetto — evidenzia alcuni aspetti e peculiarità
assai originali:
n.
sezione
tonalità
battute
segnatura
mm.ss.
1)
Pf. (preludio)
Si bem. magg.
34 (54+1)
var. (su 390/16)
0:00
2)
Voce (I parte)
Si magg.
31½
4/4
1:07
3)
ponte mod.
-
7
4/4
3:05
4)
Fl. (tema)
Mi min.
13¼
4/4
3:30
5)
Pf. (svil. tema)
Do min.
8½
4/4
4:10
6)
Synth
(solo)
Si bem. magg.
34 (54+1)
var. (su 390/16)
4:34
7)
Chit. el. (solo)
Mi min./magg.
55
4/4
5:46
8)
ponte
mod.
-
2
4/4
8:27
9)
Voce (II p. ripr.)
Si magg.
11
4/4
8:34
10)
Pf. (coda in
dissol.)
Mi magg.
(8)
13/16
9:15
--
-
-
-
9:33
Vedi
ad esempio il numero delle battute, facilmente riconducibile (anche se con
approssimazione) ai valori della serie di Fibonacci (...8.13.21.34.55.etc.);
oppure le durate temporali calcolate al minuto secondo su una tra le più
esoteriche serie matematiche di derivazione fibonacciana e di cui, sul finire,
segnaleremo alcune straordinarie ed imprevedibili coincidenze facilmente
riconducibili alla sua presenza «occulta». Ma, probabilmente, ciò che
maggiormente si rende necessario evidenziare, è la struttura fortemente
asimmetrica dei due assolo tastieristici, organizzati su segnature di tempo del
tutto inusitate per un brano rock; e la cui metrica, in continua variazione fra
binario e ternario, conferisce ai due episodi una tensione dinamico-propulsiva
di grande efficacia. Questa complessa struttura dà così origine ad una sorta
di nucleo generativo sfociante: il primo (pf), nell'attacco della prima sez.
vocale, ed il secondo (synth), nel vasto assolo di chit. el., entrambi, non a
caso, su segnatura 4/4, giusta e distesa risoluzione del
primigenio turbine ritmico precedente.
Questi
due episodi strumentali, dal punto di vista strutturale e metrico-ritmico, sono
assolutamente identici: si tratta di una struttura formale AABCDAA che si
sviluppa su 390/16 di durata complessiva. Cioè 390 semicrome che, in questo
particolare caso, corrispondono anche alle 390 semicrome della linea melodica
conduttrice. Precisazione necessaria quest'ultima, poiché sia il numero
effettivo di note di una melodia, sia quello determinato dalla sommatoria dei
valori grafico-temporali delle segnature di tempo, possono costituire, in
musica, riferimenti simbolico-numerologici. Due casi famosissimi sono, ad
esempio, quello delle 14 e 41 note del tema del corale bachiano BWV 668
(leggenda vuole ghematricamente corrispondenti ai nomi BACH e JSBACH), l'altro,
quello delle 6432 crome della “Sonata per due pianoforti e percussione” di
Bartók (Lendvai 1971:96). Due casi straordinari a cui il tastierista dei
Genesis, Tony Banks, si è evidentemente ispirato.
Ma
ora, per maggiore chiarezza, riportiamo la complessa struttura metrica e ritmica
del brano, anche se la lettura dei dati estrapolati dal contesto della partitura
può risultare disagevole: nell'elenco vengono indicate segnature di tempo,
numero delle battute, scomposizione ritmica e sottoscomposizione metrica dei
blocchi di 13/16, 15/16, 21/16 e 24/16; da quest'ultima hanno poi origine i due
possibili conteggi che alternativamente ci possono consegnare totali
fibonacciani di 34 o 55 (54+1) battute:
sez.
A1 : 2/41 (4+4) + 12/162
(3+3+3+3) + 2/83 (2+2) + 2/44 + 13/16 [9/165
(3+3+3) + 2/86 (2+2)];
sez.
A2 : 2/47 + 12/168 +
2/89 + 2/410 + 13/1612;
sez.
B : 2/413 (4+4) + 13/16 [9/1614 (3+3+3) + 2/815
(2+2)] + 13/1617 + 13/1619 + 13/1621;
sez.
C : 15/16 [9/1622 (3+3+3) + 3/823 (2+2+2)] +
15/1625 + 15/1627 + 15/1629;
sez.
D : 21/16 [2/430 (4+4) + 9/1631 (3+3+3) + 2/832
(2+2)] + 21/1635 + 21/1638 + 24/16 [2/439
(4+4) + 12/1641 (3+3)+(3+3) + 2/842 (2+2)];
sez.
A3 : 2/443 + 12/1644 + 2/845
+ 2/446 + 13/1648;
sez.
A4 : (a) 2/449 + 12/1650
+ 2/851 + (coda) 2/452 (4+4) + 2/453 + 2/454...+4/455.
Con
questi dati alla mano crediamo non sia troppo arduo risalire (calcolando il
numero di semicrome per sezione) ad una serie matematica ricorrente di
derivazione fibonacciana, i cui valori corrispondono appunto, al numero totale
delle semicrome contenute nelle varie sezioni del solo, mentre le sommatorie
parziali, per aggregazione strutturale delle medesime, porta, sempre tramite i
valori della serie che qui andiamo ad indicare, al totale di 390/16:
30.30.60.90.150.240.390.
In
altre parole (numeri se volete!), si tratta dei primi 7 valori della serie di
Fibonacci (1.1.2.3.5.8.13), ma ciascuno moltiplicato per 30 (Fn30).56
Ora,
premettendo che questo particolare tipo di tecnica di applicazione della S.A. è
riscontrabile anche nella polifonia vocale fiamminga — in Dufay ad esempio
(Nosow 1993) —, sarebbe quantomeno assai interessante tentare di capire come,
Tony Banks — ovvero il tastierista dei Genesis e nella fattispecie il
principale responsabile della struttura compositivo-formale di Firth Of Fifth
—, sia arrivato a concepire un progetto architettonico tanto meticoloso
che, peraltro, partendo dal nucleo “centrale” del solo di synth, si estende
poi fino ad abbracciare l'intera struttura formale della composizione.
Quindi
se in Dufay siamo disposti ad ammettere che numerologia e ghemàtria sono, per
così dire, un substrato esoterico-intellettuale della composizione inscindibile
dal valore intrinseco dell'opera, non dovrebbe esser troppo bizzarro ipotizzare
che un gruppo rock dal nome biblico (Genesis), che esordisce nel 1969 con un
album il cui titolo è ancora più esplicito — From Genesis to Revelation
— e che prima di giungere alle elaborate strutture auree presenti in SEBTP
pubblica, nel 1972, un lavoro — Foxtrot (op. cit.) — in cui compare
una lunga suite — Supper's Ready (cit.) — all'interno della quale le
simbologie e riferimenti all'Apocalisse di Giovanni (libro cabbalistico
per eccellenza) non si contano, possiamo ben immaginare, dicevamo, che il numero
«30», coefficiente generatore della serie di derivazione fibonacciana, non sia
capitato lì per caso.
Il
«30», per tradizione cabbalistica, e simbolicamente associabile al numero dei
giorni compresi nell'arco di un mese: solo per fare un “curioso” esempio, il
«390», guarda caso, compare anche nel Libro di Ezechiele (4:9); ossia
in un testo biblico che sprigiona altrettanto fascino esoterico quanto il
precedente, ed il cui contenuto visionario ha interessato, fra gli altri, anche
un compositore “serissimo” come Luciano Berio.
Inoltre,
il «390» — ci piace ancora sottolineare — risulta corrispondente alla
durata in minuti secondi del primo tempo della Musik di Bartók! Ma per
tranquillizzare il mio paziente lettore diremo che sono solo “coincidenze”;57
anche se forse, collegate, o comunque potenzialmente collegabili fra loro, da
una di quelle misteriose e sotterranee connessioni cabbalistico-alchemiche che
tanto affascinavano i compositori medievali (come quella, per fare un'altro
esempio, delle «ruote» di Ezechiele che sono anche le «ruote» degli
alchimisti!).
Potremmo
forse chiamarle «curiose coincidenze». Quindi, continuando su questa strada,
potremmo citare quelle del misterioso titolo del brano, che in origine
probabilmente doveva essere «Firth of Forth»: logica e semplice deduzione
poiché il testo del brano narra del Forth, ossia il fiume scozzese che
forma il grande estuario, «firth» in inglese, sul quale si affaccia la città
di Edimburgo; e che, invece, tramite uno stratagemma (una sorta di «cabbala
fonetica» di tradizione alchemica: cioè dato che Forth, il fiume, si
pronuncia come «fourth» che invece significa “quarto”...)58
si trasforma in Firth Of Fifth, ovvero il titolo del nostro brano. O per
“tacere” dell'ancor più misteriosa e “occulta” «serie degli
evangelisti»,59
il cui dodicesimo (!) fattore (555) corrisponde a quello della durata in minuti
secondi della struttura «aureo temporale» del brano (“coda” esclusa! come
sottolineerà poi un successivo album del gruppo intitolato per l'appunto A
Trick Of The Tail); venendo così a determinare un percorso fra i più
esoterici e cabbalisticamente intricati, come forse solo un Dufay, col suo Nuper
Rosarum Flores, è stato in grado di
partorire. Un magico e “mistico” percorso che dal Vangelo di Matteo
(nella fattispecie dalla parabola dei «pani e dei pesci»)60
ci conduce, attraverso i Genesis ed il loro brano I Know What I Like
(brano il cui testo cantato fa esplicito riferimento al «giardiniere»
rannicchiato su una panchina sulla copertina di SEBTP), a riallacciarci
alla straordinaria prosa logico-matematica e ai giochi di parole di quel Lewis
Carroll, che tanto ispirò la fantasia dei Genesis (vedi ad es. la copertina
dell'album Nursery Crime).61
Ma
Carroll — che insegnava matematica a Oxford e che era uno studioso di Euclide,
oltre che di “paradossi matematici”! —, per una qualche straordinaria
coincidenza (se ancora di «coincidenze» credete si possa parlare), pare abbia
“incuriosito” anche l'autore di quel brano clavicembalistico bizzarramente
intitolato Hungarian rock (la cui metrica asimmetrica, detto per inciso,
è la stessa di quelle utilizzate ed elaborate dal progressive rock).
NOTE:
2
Riferimenti di natura musicale nei molti studi di carattere generale sulla
S.A. pubblicati anteriormente al 1950, sono relativamente pochi, e per lo più
si limitano ad evidenziare le analogie riscontrabili tra la S.A. e le
proporzioni intervallari dei vari sistemi musicali pitagorico,
naturale e temperato. Esiste peraltro un libro Muzikale Vormleer,
pubblicato ad Arnhem nel 1934 da M. A. Brandts Buys,
in cui, stando a quanto si legge in Snijders 1969:65, il musicista olandese
tratterebbe di musica e S.A. in modo più approfondito, con riferimenti
all'architettura e alle strutture formali della musica, il tutto illustrato
con l'ausilio di disegni e grafici.
3
È del 1971 Béla Bartók: An analysis of his music,
ossia la più fortunata fra le pubblicazioni lendvaiane sull'analisi “aurea”
nelle strutture musicali bartókiane. Il libro — dal contenuto assai “esoterico”
— non mancherà di dar vita a numerose critiche e controtesi, influenzando
e promuovendo pertanto una successiva e considerevole mole di studi analoghi
ad opera di altri ricercatori. Lendvai, comunque, prosegue le sue
pubblicazioni su Bartók e la S.A. fino al 1985, e anche oltre (cfr. bibl.).
Peraltro va ricordato che il primo scritto lendvaiano (in ungherese)
sull'argomento, sta in Bartók Stílusa,
Zenemûkiadó, Budapest 1955 (op. cit.
ad es. in: Gillies/1986, questi uno dei più accaniti detrattori delle tesi
lendvaiane); pochi anni dopo seguiranno una versione del lavoro in francese
(Lendvai/1956) e una in tedesco (id./1957); poi altre simili, di cui un paio
in inglese (cfr. bibl.), fino ad arrivare al citato libro del 1971; la cui
traduzione italiana giunge purtroppo solo nel 1982 e solo in: NRMI.
Lendvai/1971 è tuttora reperibile in libreria (Pro Am Music Resources, 1991),
il che conferma la fortuna e la grande notorietà di tale pubblicazione.
4
A Howat, oltre al notevole lavoro su Debussy del 1983, va senz'altro
riconosciuto il merito di esser stato forse l'unico ad argomentare in modo
chiaro e articolato le numerose critiche ad una “presunta superficialità”
delle analisi lendvaiane. Ma il Gillies
(1986:291), di cui abbiamo già detto, rincara pure la dose indicando come « too
kindly » le « inaccuracies » lendvaiane puntualizzate dallo
Howat.
5
Numerose anche le tesi universitarie (cfr. ad es. Condat 1988:183-186 o il
RILM).
6
Cfr. Della Seta 1989:76. Resterebbe peraltro da appurare se i teorici
medievali “sapevano e tacevano” o se semplicemente “ignoravano” la
presenza di strutture aureo-esoteriche nella musica del loro tempo.
7
«
Mirabilis itaque est potentia lineae secundum proportionem habentem
medium duoque extrema divisae » è la
visione “illuminata” (e “illuminante”) che il matematico e astronomo
Campano da Novara (XIII sec.) ebbe nei riguardi della S.A.: un' “aurea”
visione filosofico-matematica, per così dire, che non può esser certo
sfuggita a quanti nel Medio Evo cercavano la sublimazione estetica dell'opera
d'arte nella teoria delle proporzioni e nella mistica del numero. L'
edizione latina degli Elementi di
Euclide curata da Campano (1255-59 ca.), da cui proviene il passo citato,
godette peraltro di grande diffusione e fu una delle più studiate durante
tutto il Medioevo; testimoni sono i numerosi manoscritti dell'opera
pervenutici e le altrettanto numerose edizioni a stampa pubblicate nei secoli
successivi (cfr. Francis S. Benjamin, Jr. and G. J. Toomer, Campanus
of Novara and Medieval Planetary Theory, The University of Wisconsin Press
1971, pp. 12-13); tra queste edizioni — a suo modo “mirabile” — quella
curata da Luca Pacioli per Paganinum de Paganinis, Venezia 1509 (cfr. XIV/10,
c. 137v per la citazione di Campano).
8
Jonathan D.
Kramer (1988:303) fa i nomi di una quarantina di compositori — da Machaut a
Webern — nelle opere dei quali sono state riscontrate (in sede di analisi)
tracce più o meno evidenti di proporzioni auree. Ma rivolgendo la nostra
attenzione alla sola musica composta nella seconda metà del XX secolo, ci si
accorge ben presto che tale numero potrebbe essere di gran lunga più elevato.
9
La più
completa trattazione storico-geometrico-matematica oggi disponibile è Herz-Fischler/1987.
Il nostro scritto, inoltre, non indagherà gli aspetti
concernenti le tesi sulla percezione del «tempo musicale» e la possibilità
di alterare la nostra sensazione di “durata” mediante opportune tecniche
“illusionistiche”. In altre parole il problema relativo alla comparazione
fra lo scorrere del «tempo cronometrico» e i probabili differenti effetti
psicologici di «persistenza temporale» dovuti alla percezione della
scansione metronomico-agogica (cfr.
Stockhausen 1957; Dorfles 1959:167-202; Manzoni 1979/80; Tagg 1983). E neppure
indagheremo l'applicazione della S.A. agli altri parametri musicali quali ad
esempio le proporzioni intervallari o le dinamiche. Ci limiteremo, invece,
alla semplice analisi della effettiva «durata temporale» di una
composizione, con particolare riferimento agli aspetti esoterici, numerologici
e cabbalistici.
10
Cfr. le proporzioni intervallari e quelle degli armonici: la «sesta» e la
nota «LA» in particolare (cfr. Zeising 1854:414ss. e Lalo 1908a:58nt.1),
potrebbero talvolta aver assunto un preciso significato simbolico-compositivo.
11
I passi da Euclide sono tratti da Gli
Elementi di Euclide, a cura di A. Frajese e L. Maccioni, UTET, Torino
1970.
12
Con «divisione in media ed estrema ragione» s'intende il nostro moderno
concetto di suddivisione di una retta in S.A. (Goldener Schnitt o Stetige
Proportionen per i tedeschi, Golden Mean o Golden Section per gli inglesi,
Section d'Or o Le Nombre d'Or per i francesi, etc.); « [...] habentem
medium duoque extrema divisae » diceva
Campano,
come abbiamo visto; poi Luca Pacioli la chiamò Divina Proportione.
Per quanto riguarda l'origine del termine « Sezione Aurea », sembra che sia
apparsa per la prima volta nell'opera Die reine
Elementar-Mathematik di Martin Ohm, Berlin 1835 (cfr. ad es. Enc. It.
Treccani, 1936, XXXI:561
e Herz-Fischler
1987:168). Ma occorre ricordare che già Keplero nel Mysterium
Cosmographicum (1621) aveva usato (qui unitamente al teorema pitagorico)
parole “bellissime”: « Duo
Theoremata infinitae utilitatis, eoque pretiosissima, sed magnum discrimen
tatem est inter utrumque. Nam prius, quod latera rectanguli possint tantum,
quantum subtensa recto, hoc inquam recte comparaueris massae auri: alterum, de
sectione proportionali, Gemmam dixeris » (J. Kepler,
Gesammelte Werke, Bd. VIII, Bearbeitet von F. Hammer, C. H. Beck'sche,
München 1963, p. 74). Matila Ghyka, infine (influenzando un gran
numero di studiosi successivi), fa il nome di Leonardo: « le nom de “section
dorée” lui fut donné par Léonard de Vinci [...]
»; ma non ci dice altro (cfr. Ghyka 1931, II:79).
13
Sull'effettivo cognome di Leonardo da Pisa (o Pisano) è stata fatta un po' di
confusione poiché il Boncompagni nell'Ottocento trascrisse e pubblicò
diversi documenti in
cui il nome del matematico medievale era seguito da indicazioni come « filiorum
bonaccii »
o « filio Bonaccij »
(cfr. Boncompagni 1854:2-3), ma
il nome del padre era Guglielmo e Bonaccio un antenato, per cui al tempo di
Leonardo la cognominizzazione del nome dell'avo era definitivamente avvenuta (M.
Muccillo, Diz. Biogr. degli It., Vol. 47, Ist. della Enc. It., Roma 1997).
14
Il quesito dei conigli Fibonacci è proponibile in una domanda tipo: « Quante
coppie di conigli producono in un anno un paio di conigli posti in un recinto
ammesso e concesso che la coppia di origine produca una nuova coppia ad ogni
mese e che queste ultime diventino similmente produttive dal secondo mese di
vita? ». Si tratta di un problema ludico-matematico vecchio quanto il mondo e
per la risoluzione del quale (se non avete voglia di divertirvi) rimando allo
stesso Fibonacci (1857:283-4), oppure ai seguenti autori moderni: Vorobyov
1961:2; Powell 1979:227-29.
15
La denominazione «Serie di Fibonacci» si deve al matematico francese
Édouard Lucas. Precedentemente questa successione periodica veniva indicata
come «Serie di Lamé», e prima ancora, benché le sue proprietà fossero
alquanto note, è probabile che non venisse affatto “nominata”. Lucas
rivendica la [ri]scoperta della serie al Fibonacci: « mais aucun des
auteurs dont nous venons de parler, n'a attribué à Fibonacci l'honneur de la
découverte de cette série si remarquable
» (Lucas 1877:135);
proseguendo poi (cfr. op. cit.) in un vasto e dettagliatissimo studio
matematico nel corso del quale emerge una nuova serie ricorrente:
1.3.4.7.11.18.29... (id. p. 167), e che in seguito verrà a sua volta
denominata dagli studiosi come «Serie di Lucas» (cfr. Powell, 1979:228).
16
Per maggior correttezza matematica l'inizio della “serie” andrebbe notato:
0.1.1.2.3..., da cui la numerazione dei singoli termini
Fn , ossia F0 = 0, F1
= 1, F2 = 1, F3 = 2, F4 = 3, ... F14
= 377, etc. (cfr. Powell 1979:229); per cui i termini riportati dal Fibonacci
sarebbero i primi quattordici ma con l'elusione del primo e dello “0”.
17
Va notato che 55:89 = 0,6179775...; 89:144 = 0,6180555...; 144:233 =
0,6180257... etc.; cioè mano a mano che ci si eleva nei valori della serie il
coefficiente aureo ottenuto è sempre più vicino al «Numero d'Oro»
0,6180339... .
18
Una dimostrazione efficacissima di quanto affermato risiede in un famoso
«paradosso geometrico» di natura ottico-illusionistica: un quadrato
scomposto in quattro parti mediante tagli diagonali su segmenti di lato
corrispondenti a misure fibonacciane, viene successivamente ricomposto
formando un rettangolo aureo la cui area si vede aumentata (o diminuita) la
superficie di una unità rispetto alla figura di partenza; ossia da un
quadrato 21×21 si ottiene un rettangolo 34×13 (cfr. ad es. Scimone
1997:97-100).
19
Sull'argomento cfr. ad es. Funck-Hellet 1932 e 1950 (pittura), e Scholfield
1958 (architettura).
20
Famosi sono gli studi condotti in questo
campo dallo psicologo tedesco G. T. Fechner (1876) e dal francese C. Lalo
(1908b): sottoponendo ad alcuni soggetti una serie di rettangoli il Fechner
rilevò che le proporzioni risultavano notevolmente più gradite quando il
rapporto tra base e altezza era prossimo a quello aureo di 0,618... (cfr. H.
J. Eysenck, La Psicologia Sperimentale dell'Arte, in « Psicologia
dell'Arte », Enc. Univ. Dell'Arte, Sansoni, Firenze 1963.
21
Un indagine sistematica sul fascino auditivo insito nelle proporzioni auree
potrebbe anche annullare l'effetto acustico-percettivo più naturale.
Sembrerebbe quindi che il motto alchemico « Arcana publicata vilescunt; et
gratiam prophanata amittunt » nasconda una verità molto più “scientifica”
di quanto possa apparire di primo acchito. Se ad esempio la lettura attenta di
Esthétique des Proportions
nell'edizione Le Rocher (cfr. Ghyka 1927) può alterare le nostre capacità
ottico-percettive per un lasso di tempo straordinariamente lungo (immaginiamo
sia possibile fare qualcosa di analogo anche in campo musicale), non è
altrettanto vero che tale “magia” possa “funzionare” sempre e con gli
stessi risultati. Quello relativo alla percezione della S.A. è
sostanzialmente un delicatissimo problema psicologico-alchemico appercettivo
in parte involontariamente adombrato in: A. Ehrenzweig, The
Psychoanalysis of Artistic Vision and Hearing, Julian Press, N.Y. 1953.
22
Letterario nel senso degli scritti dei teorici della S.A. in genere; ma anche
in senso poetico letterale; in altre parole, si veda ad esempio uno dei casi
più straordinari: G. E. Duckworth, Structural Patterns and Proportions in
Vergil's Aeneid, University of Michigan Press 1962.
23
Il nostro interesse specifico nei riguardi della mostra — oltre agli
importanti documenti antichi esposti — si rivolge in particolare alla
struttura modulare della stessa esposizione: opera dell'architetto
Francesco Gnecchi Ruscone e “occultamente” organizzata sulla serie
matematica: 210-335-545-880-1425-2305.
24
Quindi ancora niente Debussy e niente Bartók. Siamo nel 1951, è vero, ma nel
suo studio sulla S.A. il Douglas Webster, l'anno prima, già faceva i nomi di
Bach, Haydn, Mozart, Beethoven, Brahms, fino ad arrivare ai due da noi più
volte citati e aggiungendovene nel mezzo molti altri; ed inoltre, indicando
numero delle battute e pure alcune durate in minuti secondi. Anche la
relazione tenuta al convegno da Hans Kayser — musicologo ted. (1891-1964)
assai impegnato in studi mistico-esoterici-armonicali — non sembrerebbe
entrare nello specifico.
25
Cfr. Platone/Timeo, a cura di G. Reale,
Bompiani, Milano 2000, pp. 92-95. È assai curioso, a tal proposito,
notare che nell'ambito di uno stesso libro — peraltro profondissimo — si
adottino entrambe le posizioni interpretative (G. Reale, Per una
nuova interpretazione di Platone, Vita e Pensiero, Milano 199720,
cfr. pp. 289 e 649).
26
Platone/Timeo/Reale, op. cit., pp. 160-1.
27
I manoscritti sono pubblicati da Dover (cfr. Howat 1985a; ma anche 1985b). Vedi
inoltre: Ch. Burkhart, «Debussy plays “La Cathédrale Engloutie”
and solves metrical mystery», Piano Quarterly, n. 65,
1968, pp. 14-26.
28
“La Grande Onda” è probabilmente l'opera più celebre del grande maestro
giapponese, la cui arte influenzò numerosi pittori francesi di fine
Ottocento: Degas, Manet, Lautrec, Monet, etc.; le opere di Hokusai piacevano
anche a Debussy, ed è abbastanza noto come in esse sia riscontrabile la
presenza della S.A..
29
Cfr. Debussy 1927:10; per un'analisi del brano si veda anche Howat
1983a:136-8.
30
Cfr. Szabolcsi 1961:91; Kárpáti 1994:384. La citazione originale
deriverebbe, come indica lo Szabolcsi, da Agatha Fasset, Béla Bartók's
american years: the naked face of genius , Houghton Mifflin, Boston 1958.
31
Tra i due sistemi di misurazione questa è la maggior discrepanza rilevabile
nell'ambito del terzo tempo della Musik.
Va comunque precisato che fondamentale e basilare punto di partenza
logico-razionale per qualsiasi azzardata ipotesi simbolico-interpretativa di
queste discrepanze, rimane il paragrafo « Tempo, Metronome,
Duration » in: Somfai 1996:252ss.
32
M. Maier, Atalanta Fugiens (1617), vers. moderna a cura di B.
Cerchio, Ed. Mediterranee, Roma 1984, p. 281.
33
Nella sua opera « Aperçu historique sur l'origine et le développement
des Méthodes en Géométrie » (Paris 1837), Chasles cita tutti: da
Pitagora a Campano, dal Fibonacci al Pacioli; Leonardo, Dürer, Boezio,
Keplero, compresi Kircher e Paracelso; spaziando quindi da una geometria
matematico-filosofica ad una geometria matematico-alchemica.
34
La bibliografia tedesca sulla S.A. compresa nel periodo che va dallo Zeising
(1854) al Reis (1990) conta almeno una trentina di titoli specifici, alcuni
più volte ristampati. Peccato che proprio il testo fondamentale dello Zeising
— che, pur nel limite delle conoscenze dell'epoca tratta anche di musica
(cfr. pp. 414-444) — non sia mai stato ristampato.
35
Sul pensiero del pittore italiano si veda: Gino
Severini. Dal cubismo al classicismo e altri saggi sulla divina proporzione e
sul numero d'oro [scritti e doc.
1919-64 in lingua orig. franc.], a cura di G. Pacini, Marchi e Bertolli,
Firenze 1972. A Parigi (città d'adozione del Severini dal 1906) nel periodo
1911-25 nacque e operò un movimento pittorico denominato La Section d'Or (cfr.
Howat 1983a), con relativa e omonima esposizione (Parigi 1912): di assoluto
interesse il fatto che il Severini definì questi pittori (Villon, Duchamp,
Gris, e altri) come “empirici”.
36
« Il Modulor prevede un tal
numero di lunghezze che alla fine ogni composizione
può essere giustificata » (N.
Pevsner), cfr.
Zevi 1957:508. Questo è assolutamente vero. E può capitare qualcosa di
analogo quando ci si ostina nel ricercare proporzioni auree e corrispondenze
numeriche varie in una struttura musicale. Per questo motivo, crediamo
fermamente che occorra farsi attrarre non dal “numero”, ma dall' “estetica
del numero” e dai suoi infiniti significati. In altre parole, non produrre o
cogliere corrispondenze proporzionali mediante il calcolo matematico fine a se
stesso ma farsi guidare dall'istinto musicale e dal senso estetico. Non a caso
poi, Le Corbusier, affermerà: « Le Modulor, je m'en fiche! ».
37
Cfr. anche le note introduttive, sempre di Xenakis, alla partitura di
Metastasis e l'articolo pubblicato sui Gravesaner Blätter
(1957).
38
Cioè segnature dove il numeratore corrisponde ad un valore della serie di
fibonacci (13/8, 21/8, etc.); cfr. anche le molte pagine manoscritte (schizzi,
appunti e studi su partiture) riprodotte nel terzo volume dei Texte
(Stockhausen 1971:44-46,
70, 74, 90, 94-95, 159-163) in cui appaiono frequentemente tracce
grafico-numeriche di sequenze fibonacciane.
39
In pittura, dopo il Severini, Carrà affermerà espressamente di credere
nell'utilizzo della S.A. (cfr. C. Carrà, 12 opere di Carlo Carrà
presentate da S. Catalano con una dichiarazione dell'artista, Ed. del
Milione, Milano 1945).
40
Ma a tal proposito, va inoltre considerato che la S.A. può essere utilizzata
anche come “semplice” metodologia matematico-compositiva, senza prestare
quindi particolare attenzione ai suoi eventuali aspetti magico-esoterici.
41
Il Moe (1945:59), già negli anni in cui scriveva, notava con disappunto che
il tema della S.A. era « ormai completamente logoro
».
42
Dal punto di vista matematico i valori «142» e «87» corrispondono a
sommatorie di sequenze fibonacciane: ossia 1+2+3+5+8+13+...55 (cfr.
Henk 1976 e Kramer 1988:314).
43
Questo indipendentemente che ci si voglia calare o meno nei panni del
compositore «mago-alchimista»: pensiamo ad esempio a due casi estremi come
Stockhausen e Manzoni, dove la purezza delle strutture matematiche di alcune
composizioni di quest'ultimo (il citato Modulor, o anche brani
recentissimi come O Europa! e Il clamoroso non incominciar neppure)
nulla hanno da invidiare alla ricerca alchemica della «bellezza cosmica»
del primo.
44
Il gesto, sotto certi aspetti discutibile, è
quello di un dito, l'indice, avvicinato alla bocca perpendicolarmente al naso;
ovvero questa sarebbe l'immagine più esplicitamente comunicativa, ma agli
effetti poi quasi mai realmente riscontrabile nell'iconografia e nella
scultura antiche pervenuteci.
45
Ho usato la parola «stagnante», perché oltre ad essere il titolo di uno dei
primi brani dei Genesis che fanno capo a strutture formali molto elaborate (Stagnation,
cfr. l'album Trespass del 1970), è anche la parola usata, poco tempo
dopo, da un giovane musicista, Steve Hackett, in un annuncio da lui pubblicato
sul Melody Maker e notato da Peter Gabriel (una delle principali menti
creative dei Genesis), annuncio che gli frutterà l'ingaggio come futuro nuovo
chitarrista della band: «Guitarist/writer
seeks receptive musicians determined to strive beyond existing stagnant music
forms». Gabriel non a caso
risponderà ad Hackett proprio invitandolo ad ascoltare Stagnation
(cfr. A. Gallo, Genesis: I Know What I Like 1998:32, ultima ed. di un
libro intervista già pubblicato, anche in tr. it., nel 1978/80/87).
46
Certo è che dopo aver citato il motto di J. V. Andreae può sembrare una
contraddizione in termini decidere di indagare in modo approfondito là dove
“non dovremmo”; ci appelliamo quindi al nostro primo “buon motivo”.
Inoltre non possiamo ignorare l'evidenza del fatto che l'utilizzo di simboli
ermetici abbia tra i suoi scopi principali quello di lasciare tracce
«occulte».
47
Assolutamente affascinante l'ipotesi che potremmo qui avanzare secondo la
quale l'uso della S.A. potrebbe aver determinato influenze positive sulla
ricezione estetica di questo lavoro e, nella fattispecie, di alcuni brani
contenuti proprio nell'album citato.
48
Il disegno che appare sulla copertina di SEBTP è
opera della pittrice Betty Swanwick (1915-1989). Il caso è molto
interessante poiché il dipinto era preesistente e piacque ai Genesis; ma
questi, però, ne commissionarono poi all'autrice una versione leggermente
modificata da alcune piccole aggiunte, così da renderlo apparentemente
ispirato al testo di un brano dell'album.
49
La dimostrazione dell'intenzionalità non è suffragata dalle sole, sia pur
numerosissime, coincidenze numerico-simboliche, bensì dal processo
costruttivo-creativo che può essere portato alla luce dall'analisi capillare
delle strutture musicali di alcune composizioni.
50
L'unico studio che conosciamo in cui si sia prospettata la possibile presenza
di strutture «aureo-proporzionali» nella musica rock (studio in cui peraltro
non si fa cenno al repertorio genesisiano e si propende in generale più per
la tesi della presenza “casuale” piuttosto che per quella “intenzionale”)
è: Joachim Jacobitz, Steige Proportionen in
Balladen der Rockmusik, in «Musica»,
50/6, 1996, pp. 414-417. Fra i brani sommariamente analizzati
dallo Jacobitz c'è però Child in Time dei
Deep Purple, cioè il più straordinario brano di heavy-metal che ci
sia dato di conoscere: ci bastano le alchimie delle parole e le radici
esoteriche del genere musicale (poi, ahimè, inevitabilmente degenerato!) per
farci intravedere la via ermetica. Esiste infine la fondamentale
testimonianza del musicista e musicologo Franco Fabbri (chitarrista degli
Stormy Six), che ha più volte sottolineato il suo personale interesse per
l'applicazione in musica della S.A. e dei numeri di Fibonacci, e quello,
analogo, del suo collega inglese Fred Frith (chitarrista degli Henry Cow):
maggiori dettagli in F. Fabbri, Album Bianco2,
Arcana, 2002, pp. 183-4.
51
La distinzione è d'obbligo, poiché la differenza riscontrabile fra le
strutture formali e ritmico-compositive di un brano dei Beatles ( popular
music) e uno dei Genesis (progressive),
è quella che potremmo riscontrare dal confronto fra una sonata di Scarlatti e
una sezione de Le Sacre du Printemps.
Nell'azzardato parallelo tra il progressive e il Sacre emergono
inoltre interessanti analogie con le ben note difficoltà di
rappresentazione ritmico-metrico-grafica insite in talune sezioni dell'evento
sonoro stravinskiano (cfr. E. W. White, Stravinskij
Mondadori, Milano 1983, p. 248). Va peraltro aggiunto, che il progressive-rock
deve la stragrande maggioranza delle sue asimmetrie ritmiche e strutturali ad
un Bartók (cfr. ad es. i quartetti IV° e V° o le Six Dances in Bulgarian
Rhythm). Ci sarebbe inoltre da esaminare il caso di Time Out
(1959) di Dave Brubeck e la possibile influenza esercitata da quest'opera
pseudo-jazzistica sui musicisti rock durante gli anni sessanta (cfr. Fabbri,
op. cit. p. 67).
52
In verità non crediamo esistano manoscritti originali, completi di tutte le
parti, delle musiche da noi analizzate. Siamo infatti convinti che se uno
Stravinsky poteva avere dubbi e ripensamenti su come notare la Danse
Sacrale (cfr. White, op. cit.), dal canto loro, molti musicisti progressive
avranno di certo incontrato non poche difficoltà nel tentativo di annotare
correttamente su pentagramma tutto quanto andavano suonando (ossia poliritmie,
polimetrie e rispettive segnature di tempo fortemente irregolari);
soprassedendo quindi, probabilmente, alla stesura completa delle parti, anche
perché non indispensabile per esecuzioni ad opera degli stessi
musicisti-compositori.
53
Negli ultimi anni, in fatto di partiture rock, qualcosa di più interessante
si è iniziato a pubblicare, ma per lo più si tratta, quasi esclusivamente,
di partiture/tabulature per chitarra elettrica (vedi ad es. le performances
hendrixiane, qualcosa dei Pink Floyd, Dream Theater, etc.). Ci sarebbe
peraltro da esaminare il caso assai problematico, e per certi versi forse
rivoluzionario, delle “partiture” trascritte mediante computer, poiché se
da un lato costituiscono un esempio di anti-musicalità per eccellenza,
dall'altro, la precisione matematica che a tratti possono rivelare apre la
strada a infinite possibilità creative.
54
In relazione a quanto riportato dalla nota 47 si possono scorrere con
interesse i risultati di alcuni sondaggi effettuati tra i fans italiani dei
Genesis (Dusk - Genesis Italian Magazine, n. 18, mag. 1996), che
mettono in luce le preferenze di questi nei riguardi dei brani e degli album
del gruppo.
55
« Del quinto suo mirabil
effecto » dice il Pacioli nel Divina
Proportione. “Quinto” dei tredici “effetti”, ossia le peculiarità
“mistico-matematiche” che il Pacioli attribuisce alla S.A. (cfr.
Pacioli 1956:35). Ricordiamo inoltre il pentagono, il pentalfa, la formula
della S.A., la “quinta” di Beethoven (cfr. Haylock 1978), la “quinta”
di Sibelius (cfr. Jalas 1955), Il quinto quartetto di Bartók (cfr. Perle
1967), e così via, senza dimenticare la «E» di Plutarco e il «55» di
Giamblico (cfr. Teologia Aritmetica).
56
Alcune sottosezioni e le successive sommatorie di queste, generano valori di
33, 57, 87, 93 e 147 semicrome; dove le stesse approssimazioni di ± 3
sedicesimi, compensandosi vicendevolmente, evidenziano ulteriormente la
straordinaria natura matematica della costruzione numerico formale del brano.
La serie Fn30
viene peraltro utilizzata
ben oltre al suo settimo termine (...390.630.1020.etc.). Ma
è impossibile rendere un'idea complessiva ed esauriente dell'architettura
dell'intera composizione senza l'ausilio di un grafico proporzionale
dimostrativo, per cui, rimando ancora una volta il lettore interessato a Dusk38
e ss.
57
Considerando anche solo l'aspetto logico matematico della coincidenza, non si
potrà sottovalutare il fatto che chiunque si appresti ad analizzare
capillarmente le durate cronometriche delle sezioni del primo tempo della Musik
(scomponendo cioè il totale di 6 minuti e 30 secondi in «porzioni
temporali auree» per trovare delle corrispondenze con l'effettivo scorrimento
agogico-metronomico della partitura), si troverà, ben presto, a gestire
durate in secondi corrispondenti ai valori della serie Fn30. Val la
pena rammentare che le analisi lendvaiane furono pubblicate a Londra (in
inglese) proprio negli anni in cui i Genesis lavoravano al loro repertorio
(cfr. ancora: Fabbri, op. cit.).
58
Il gioco di parole veniva già in parte
chiarito nel 1973 da Armando Gallo (fotografo e biografo/intervistatore
ufficiale dei Genesis), in una nota posta in calce alla sua traduzione
italiana del testo del brano; traduzione compilata, da quanto si narra, con
l'aiuto e la supervisione dello stesso Peter Gabriel e apparsa nell'interno di
copertina della versione italiana dell'album SEBTP
- Lp Charisma 6369 944 A.
59
Per
maggiori ragguagli sulla Evangelist's Sequence si veda Powell
1979:230ss.
60
Evangelist's
Sequence ossia “Serie degli Evangelisti”,
infatti questa suggestiva denominazione sembrerebbe avere un origine
associativo-numerologica riconducibile al noto passo tratto dai Vangeli che
narra il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci: «Poi prese i
cinque pani e i due pesci [...] » (Mt. 14,19); e di seguito: « [...] degli
avanzi portarono via dodici sporte [...] » (Mt. 14,20); ma anche (passo
fondamentale!): « [...] prese quindi i sette pani [...] » (Mt.
15,36). Abbiamo pertanto il 2, il 5, il 7 e il 12, cioè i primi quattro
termini di questa nuova «serie aurea»: 2.5.7.12.19.31.50.81.etc. Cfr. ancora
il Powell (1979:268n5) che a sua volta ci rimanda a: Georges Arnoux, Musique
Platonicienne - Âme Du Monde, Paris 1960.
61
L'Alice di Carroll, nel famosissimo racconto, incontra un topo la cui “storia”
o “coda” (Tale = Tail in inglese!) ha l'aspetto di una
spirale; poi, al «Mad Tea-Party», incontra il Cappellaio e questi si
lancia in una disquisizione esoterica sul «Tempo» musicale e cronometrico:
« If you knew Time as well as I do... »; poi incontrerà i tre
«giardinieri»... la Regina... e ... il sorriso enigmatico dello Cheshire
Cat che già precedentemente le aveva “rivelato”: «...we're all
mad here. I'm mad. You're mad... You must be, or you wouldn't have come here
».
TOOL. Lateralus.
TRADUZIONE DEL TESTO:
Nero come bianco è tutto ciò che vedo nella mia infanzia.
Rosso e giallo vengono per essere, protesi verso di me.
Lasciatemi vedere.
Come sotto, così sopra ed oltre, immagino
Disegno oltre le linee della ragione.
Spingo la busta. Guarda la curva.
Oltre pensando, oltre analizzando separatamente il corpo dalla mente
Imbiancando la mia intenzione, perdendo opportunità e devo
Imboccare la mia volontà di sentire i miei momenti disegnando strade al di fuori delle linee.
Nero come bianco è tutto ciò che vedo nella mia infanzia.
Rosso e giallo vengono per essere, protesi verso di me.
Lasciatemi vedere che c’è molto di più
E fatemi cenno di vedere attraverso queste infinite possibilità.
Come sotto, così sopra ed oltre, immagino
Disegno oltre le linee della ragione.
Spingo la busta. Guarda la curva.
Oltre pensando, oltre analizzando separatamente il corpo dalla mente
Imbiancando la mia intenzione lascio in dietro tutte le opportunità.
Imbocco la mia volontà di sentire questo momento incalzarmi ad attraversare la linea.
Cercando fuori dall’abbracciare la casualità.
Cercando fuori dall’abbracciare qualunque probabilità giunga.
Abbraccio il mio desiderio
Per sentire il ritmo, per sentirmi connesso
Basta farsi da parte e piangere come una vedova
Per sentirsi ispirato, per sondare il potere,
per testimoniare la bellezza, per fare il bagno nella fontana,
per oscillare sulla spirale
della nostra divinità restando un umano.
Con i piedi per terra perdo me stesso
Tra i suoni e apro ampiamente per succhiarlo.
Lo sento muoversi tra la mia pelle.
Io sono raggiunto e proteso.
Io sto cercando la casualità o ciò che sempre vuole disorientarmi.
E seguendo la nostra volontà ed il vento noi potremo andare dove nessuno è mai stato.
Noi cavalcheremo la spirale verso la fine e potremo andare dove nessuno è mia stato.
Fuori dalla spirale. Andiamo avanti…
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ottimo lavoro! grazie
RispondiEliminasono lieta che ti sia piaciuto!!!
Eliminagrazie a te!!
^_^
Un particolare ambito della successione di Fibonacci è quello che la pone in relazione con la struttura di elementi naturali apparentemente disposti a caso (le nuvole, la forma di una costa, la disposizione dei petali dei fiori) e con la struttura sub-atomica. Questi temi sono affrontati nel mio nuovo romanzo, in uscita il 19 giugno, intitolato IL NUMERO DI DIO (Leone Editore).
EliminaLa successione di Fibonacci prevede appunto che il rapporto tra i numeri che la compongono, man mano che questi crescono, si avvicini tendenzialmente a 1,618.
Questo numero è effettivamente il rapporto che ordina la struttura della materia e che viene spesso iconizzato ricorrendo alla forma di una conchiglia, disposta a spirale.
Nel libro sono riportati numerosi fatti veri, attinti dalla cronaca nazionale ed estera e posti in relazione tra loro.
Se ne ottiene una teoria, certamente oggetto di possibili obiezioni, che se accolta sembra fornire una insidiosa spiegazione circa il "luogo" ove cercare l'origine della materia e il punto di incontro tra scienza e fede.
Ecco un primo aproccio fornito alla trama del romanzo:
RispondiEliminahttp://www.letteraturahorror.it/news/484-prossima-uscita-il-numero-di-dio-di-vincenzo-di-pietro.html
Ti ringrazio per questo imput... sembra un romanzo interessante davvero!!! ^_^
Elimina..inoltre ho visto ke siamo quasi vicini: anke io sono Abruzzese... strana coincidenza!!! Adoro la sincronicità ^_*
A presto!
Ciao. Le coincidenze sono un modo per chiamare quello che non riusciamo ancora a spiegarci. Spero di poterti incontrare in qualche reading in Abruzzo. Poi, se vuoi, fammi sapere che ne pensi del romanzo in uscita, pure su www.ibs.it, dal 19 giugno.
RispondiEliminaA presto.
Non mancherò!!!
Elimina^_^
Bene, da oggi IL NUMERO DI DIO è disponibile su http://www.ibs.it/code/9788863931198/di-pietro-vincenzo/numero-di-dio.html
RispondiEliminaLa speranza è quella di entrare nella top 100 delle prossime 48 ore.