n.d.a. per avere approfondimenti sui concetti espressi nel seguente aricolo vedere gli articoli precedenti del blog; essendoci troppi riferimenti ho ritenuto superfluo ed inopportuno fare collegamenti, lascio così a voi il piacere e la libertà della ricerca!!!
Un'indicazione però vorrei comunque darvela:
* "PSICOLOGIA & SCIENZA... PSI, GROF, JUNG E IL VUOTO QUANTISTICO!!!" ... novembre 2012.
PSICOLOGIA & SCIENZA... PSI, GROF, JUNG E IL VUOTO...
Sintropia e realtà (Tratto da: "La funzione d'onda della Realtà")
L’approccio quantistico
Nel 1994 usciva in contemporanea nelle librerie inglesi ed americane un volume scritto da un famoso fisico dell' Università di Oxford R. Penrose
e intitolato "Le Ombre della Mente". Questo libro, per le tesi che
prospettava nonché per l'autorevolezza del suo autore, mise in subbuglio
il mondo medico-scientifico dell'epoca. La tesi principale sostenuta da
Penrose ruotava attorno all'inadeguatezza dei modelli interpretativi
dei "processi cognitivi"
e sulla possibilità di trovare strade alternative per spiegare le
dinamiche degli "atti mentali". Rifacendosi ad alcune pionieristiche
ricerche dell'anestesiologo S. Hameroff e del neurofisiologo B. Libet,
Penrose ipotizzò che i processi cerebrali come la coscienza o la
consapevolezza dovessero essere direttamente collegati al fenomeno
fisico noto col nome di "coerenza
quantistica". La "coerenza quantistica" è quel meccanismo fisico per
cui i metalli portati a bassa temperatura manifestano il fenomeno della superconduttività.
A temperature molto basse infatti, alcuni metalli possono condurre
l'elettricità senza opporre resistenza. Una corrente immessa in una
spira superconduttrice scorrerebbe per un tempo infinito. Il segreto di
questo fenomeno è che gli elettroni
che trasportano la corrente elettrica si muovono tutti insieme in modo
coerente, come se fossero una unica gigantesca particella. La
conseguenza di questa "pan-armonia" è che la corrente elettrica scorre
praticamente senza ostacoli. Una situazione simile -seppur in condizioni
ambientali decisamente diverse- avviene, secondo Penrose, anche a
livello cerebrale (al livello dei tubuli). Il cervello umano è
costituito da miliardi di neuroni (il neurone è la cellula fondamentale del sistema nervoso) che a loro volta sono costituiti da migliaia di microtubuli
i quali sono composti da enti ancor più piccoli chiamati tubuli. Ora, a
parere di Penrose, l'evento cosciente nell'uomo, il passaggio cioè
dallo stato di pre-coscienza allo stato di coscienza, avviene al
raggiungimento da parte dei tubuli dello stato di massima "eccitazione
coerente". Come gli elettroni nella superconduttività (i quali
muovendosi all'unisono permettono alla corrente di fluire senza
ostacoli) così la globalizzazione della coerenza tra i tubuli cerebrali
permette il verificarsi del processo cognitivo.Il tempo di transizione
dalla fase pre-cosciente alla fase cosciente con la conseguente
attivazione del segnale motore che consente ad esempio di muovere un
braccio, dura circa mezzo secondo. Il susseguirsi delle transizioni dal
livello minimo al livello massimo di coerenza dei tubuli, costituisce il
"corso della coscienza" ; lo scorrere del tempo.
I
fenomeni di coerenza quantistica oltre a spiegare razionalmente le
dinamiche dei processi cognitivi, darebbero conto anche di quello che
Penrose chiama "Senso Unitario" della mente. Il processo cosciente non
può mai essere frutto dell'attivazione di una singola area del cervello
ma deve scaturire dalla azione concertata in un gran numero di zone
della mente. L'oscillazione coerente dei tubuli, la quale interessa la
maggior parte del cervello, provvederebbe egregiamente a quel
collegamento globale essenziale per l'estrinsecazione dell'atto mentale.
Una delle più singolari conseguenze dell'applicazione della coerenza
quantistica alla mente, è che i processi cerebrali non potranno mai
essere pienamente simulati da un calcolatore. Infatti, un computer per
quanto evoluto possa essere, deve pur sempre ragionare seguendo una
logica deterministica, ad ogni azione deve sempre corrispondere una
reazione. Uno più uno deve sempre dare due. La coerenza quantistica alla
base dei processi cerebrali invece, dovendo sottostare alle leggi della
Meccanica Quantistica
(le quali prevedono che qualsiasi sistema a loro soggetto debba sempre
manifestare un certo grado di indeterminazione, di imprevedibilità),
sfugge a questa logica. In altre parole l'aumento del grado di coerenza
dei tubuli che deve condurre dallo stato di pre-coscienza allo stato di
coscienza, può, seppur con probabilità molto bassa, fermarsi o
accelerare spontaneamente, con tutte le conseguenze che ne derivano. Il
filo conduttore delle teorie di Penrose ruota attorno all'inadeguatezza
dei modelli interpretativi dei processi cognitivi e sulla possibilità di
trovare strade alternative per spiegare le dinamiche degli atti
mentali. Lo studioso britannico indica nella "coerenza quantistica" la
causa dei processi più intimi dell'attività cerebrale. La coerenza
quantistica è quel processo fisico per cui un gran numero di particelle
agisce coralmente assumendo le caratteristiche e le qualità di una unica
macro-entità, consentendo il verificarsi di fenomeni quali l'emissione
Laser o la Superconduttività. Le caratteristiche peculiari della
coerenza quantistica sono essenzialmente due : l'evoluzione dei suoi
processi dinamici secondo una logica non deterministica (non esprimibile
cioè attraverso semplici meccanismi di causa ed effetto o
"razionalizzabili") e l'estensione immediata e globale del fenomeno
quantistico a tutti gli enti che partecipano al processo coerente. Tali
caratteristiche ben si adattano al controllo dei processi mentali come
gli "stati emozionali" (per loro natura non razionalizzabili) o
"l'unicità dei processi cognitivi". Per quanto concerne quest'ultimo
aspetto delle caratteristiche della mente, recenti studi di
neurobiologia hanno dimostrato la non veridicità delle ipotesi secondo
cui si avrebbe nel cervello una localizzazione ben definita delle
funzioni deputate alla coscienza o al controllo dell'attività sensitiva.
Tali funzioni andrebbero invece attribuite al cervello nel suo insieme,
il quale, attraverso una fitta rete di sistemi interconnessi,
controllerebbe ogni attività. Alle aree tradizionalmente ritenute sede
delle funzioni cerebrali andrebbe soltanto riconosciuto il compito di
originare il primo impulso per l'attivazione dell'atto mentale o
sensitivo.
Comparando i risultati dei diversi
studiosi che nel tempo si sono occupati di coerenza quantistica
applicata ai sistemi biologici (Fröhlich 1975, Grundler e Keilmann 1983,
Marshall 1990, Penrose 1994), unitamente a specifici studi di meccanica
ondulatoria (Rossi e Cantalupi 1995), si evince che esiste una
frequenza di eccitazione coerente per i neuroni cerebrali ed i suoi
sub-componenti comune a tutti i lavori di coloro i quali si sono
occupati di queste ricerche. Questa oscillazione, di cui nessuno prima
d'ora aveva enfatizzato l'importanza o aveva notato la sistematica
ricorrenza nei lavori sull'argomento, copre frequenze che vanno da dieci
a cento miliardi di cicli al secondo (dove un ciclo al secondo
rappresenta il tempo impiegato da un sistema eccitato per compiere
un'oscillazione completa). Ora, queste frequenze non devono essere
confuse con le oscillazioni che normalmente si registrano durante le
sedute elettroencefalografiche (le quali, per altro, hanno frequenze
molto basse) ; esse in teoria assumerebbero le caratteristiche di una
vera e propria vibrazione dei processi profondi del cervello, una
oscillazione dei nostri stessi pensieri. Se risultasse verificata
sperimentalmente questa potente "pulsazione cerebrale", si potrebbe
aprire la strada verso nuove forme di cura dei disturbi cerebrali.
Scienza,
filosofia e religione cercano da secoli di rispondere alla classica
domanda :” Che cos'è la mente?”, ma le diverse soluzioni proposte sono
sempre state parziali e spesso in contrasto reciproco: in pratica mai
nessuna spiegazione è risultata davvero valida ed esauriente. Gli stessi
psicologi sono poco soddisfatti delle teorie e delle tecniche
sviluppate dalla loro disciplina nel corso degli ultimi decenni. Vediamo
allora di partire da qualche punto fermo.Al di là delle convinzioni
personali e religiose, oggi la scienza ci informa con ragionevole
certezza che il processo del pensiero è dovuto a fenomeni chimici e
fisici che avvengono nel cervello e nel sistema nervoso a livello
microscopico, ovvero a livello molecolare ed atomico. Il funzionamento
della natura a livello atomico e sub-atomico è governato dalle leggi
della cosiddetta "meccanica quantistica", una teoria fisica sviluppata
agli inizi del secolo ventesimo, che risulta molto valida e precisa ma
che presenta risvolti molto strani o perfino paradossali.
A livello sub-atomico la materia perde le familiari proprietà...
"materiali" e si manifesta invece come un gioco di forze e di onde. Chi
ha studiato un po' di chimica sa che l'atomo è molto stabile e può
essere considerato una pallina "solida". Il modello fondato su
particelle "dure" però fallisce quando si analizza la struttura interna
dell'atomo: la "solidità" dell'atomo è creata in realtà da un gioco di
forze che si crea al suo interno tra gli elettroni, i quali non si
comportano come vere e proprie "particelle" o "corpuscoli" materiali ma
si distribuiscono spazialmente in determinate "nuvole elettroniche" o "orbitali".
In realtà la questione è più complessa di quanto si può dedurre da
questa semplice descrizione: tali orbitali in realtà sono delle "onde
risonanti" che obbediscono alle leggi della meccanica quantistica, le
quali presentano diversi aspetti paradossali. E'
vero che il "capriccio" di voler accostare il funzionamento della mente
alla meccanica quantistica sembra una specie di "moda", diffusa
specialmente tra gli scienziati con propensioni “new age", ma vi sono
diverse conferme scientifiche a riguardo .Se la mente umana è veramente
capace di agire a livello quantistico, essa può avere delle grandi
potenzialità inespresse (nettamente superiori a quanto generalmente si
ritiene). Centinaia di ricerche scientifiche (pubblicate fin dal 1970,
per esempio su Le Scienze n.45 del Maggio 1972) hanno dimostrato che una
certa tecnica mentale molto semplice, chiamata TM, è capace di
"ripulire" il sistema nervoso stesso da stress e tensioni, apportando
effetti benefici di grande portata sull'organismo, sia a livello
fisiologico che psicologico. Alcuni scienziati sostengono che la TM
agisce sul sistema nervoso a livello quantistico e riesca portarlo al
suo stato di "minima eccitazione". Si tratta di una "tecnica-gioiello"
che implica e riassume in sé le conoscenze di varie scienze, dalla
fisica alla psicologia, dalla neurologia alla filosofia... E quindi
presuppone anche un'integrazione ed una sintesi di varie discipline,
oltre ad avere di per sé una straordinaria utilità pratica.
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Piccola parentesi:
Solo
pochi scienziati nutrono ancora dei dubbi sul fatto che la meccanica
quantistica giochi effettivamente un ruolo determinante nel processo del
pensiero, ma per contro molti altri (a partire da Bohr, Eddington e Wigner negli anni '20, per arrivare a Wheeler e Penrose) hanno fortemente sostenuto questa tesi ed oggi vi sono fortissimi indizi a suo favore ed anche alcune conferme.
Occorre ribadire che la meccanica quantistica, nonostante le sue
apparenti stravaganze, ha sempre dimostrato una straordinaria validità
(nell'ambito di sua pertinenza). Senza voler considerare i controversi
risultati ottenuti dalla fisica nucleare, la teoria quantistica ha
permesso di creare tecnologie importantissime ed oggi familiari, dal
laser ai semiconduttori
(che hanno permesso uno sviluppo enorme dell'elettronica, specialmente
in ambito digitale, con la conseguente rivoluzione informatica degli
ultimi decenni).
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Quello che il Teorema di Bell
sembra accertare, poiché si basa su fatti sperimentali, corrisponde al
modello delle menti unificate: menti che trascendono spazio, tempo e
persone individuali; anche questo modello si basa su fatti. Anche se la
teoria quantistica viene sostituita da un'altra teoria, e se le nostre
teorie sulla psicologia e sulla mente sono rimpiazzate da altre, questi
fatti rimangono. Essi ci dicono che il mondo è non localizzato e che, se
guardiamo abbastanza attentamente, possiamo vedere chiaramente prove di
questa non localizzazione nelle nostre vite quotidiane. La visione
popolare della mente e del sé conscio di una persona come di un quid
localizzato, che occupa uno spazio preciso, dà naturalmente luogo alla
nostra convinzione di essere osservatori situati in un corpo da cui
guardiamo la realtà a esso esterna. Questa teoria ha avuto una forza
poderosa nell'intera storia della nostra cultura ed è alla base della
scienza classica, secondo cui noi possiamo osservare e misurare da un
punto di osservazione esterno, e poi riflettere sul possibile
significato di tutto quanto; tuttavia nella fisica moderna, essa è
andata in frantumi. Attualmente la maggior parte dei fisici ritiene che
sia semplicemente impossibile spiegare le scoperte della loro scienza
attenendosi a questa ipotesi. La maggioranza della comunità scientifica
aderisce alla cosiddetta «interpretazione di Copenaghen» della fisica
moderna (così chiamata perché Niels Bohr, il suo primo ideatore, era
danese). Secondo quest'ottica, a livello atomico, un mondo reale
semplicemente non esiste fintanto che non viene compiuta una misurazione
o un'osservazione. Prima che ciò si determini, c'è soltanto una varietà
di possibili esiti per ciascun evento successivo, ciascuno con la sua
possibilità di realizzarsi una volta che l'osservazione venga
effettuata. L'osservatore (o, secondo alcuni fisici, uno strumento di
misurazione che funga da suo agente) compie l'atto decisivo di far
«collassare» tutte le possibilità consistenti in un singolo esito
coerente che solo allora può essere definito evento. Prima di questo
momento non siamo autorizzati a parlare di un mondo reale di cose ed
eventi, ma solo di possibilità con il potenziale di essere
realizzate.Solo combinando fra loro in un'unità singola l'osservatore e
quanto viene osservato la visione del mondo può avere senso. Qui abbiamo
una delle più radicali differenze fra la concezione moderna del mondo
alla luce delle scoperte della Meccanica quantistica e quella classica.
L'idea di una realtà eterna e fissa che segua il suo corso del tutto
indipendente da un osservatore è stata superata nella fisica moderna da
una concezione che fondamentalmente incorpora umanità in tale realtà.
La
Meccanica quantistica nacque al principio del secolo e crebbe come una
teoria completamente rivoluzionaria che rovesciò le idee prevalenti fra i
fisici dell'epoca Vittoriana. Il modello classico sosteneva che l'atomo
fosse composto di un nucleo attorno al quale orbitavano gli elettroni,
come un sistema solare in miniatura. Si sapeva che gli elettroni hanno
una massa pari a circa un millesimo di quella del protone
(uno dei costituenti del nucleo) e che possiedono una carica negativa
in grado di bilanciare quella del protone, che è positiva. Durante i
primi decenni del secolo, però, si capì che questo modello non poteva
funzionare. Tanto per cominciare, i matematici dimostrarono che gli
elettroni non avrebbero potuto mantenere la propria orbita stabilmente
come fossero stati pianeti, e si sarebbero fusi coi protoni del nucleo.
Poiché era chiaro che nell'universo in cui viviamo ciò non accade, si
assunse, correttamente, che il modello fino ad allora accettato doveva
essere sbagliato. Grazie all'opera pionieristica di fisici come Planck, Bohr e Schrödinger,
emerse un modello che descriveva la natura del regno subatomico in modo
di gran lunga più sofisticato; questo nuovo modello portò con sé un
certo numero di conseguenze apparentemente astruse che da allora come
abbiamo più volte ripetuti, hanno gettato non solo i profani nella
confusione. Uno dei padri della Meccanica quantistica, Niels Bohr,
giunse persino ad affermare che «chiunque non resti scioccato dalla
teoria dei quanti non l'ha capita». I problemi cominciarono davvero
quando i fisici delle particelle si resero conto che l'elettrone non era
una sferula di materia carica negativamente, ma poteva essere descritto
solo in termini probabilistici. In altre parole, esiste un'elevata
probabilità che un elettrone si trovi a una determinata distanza dal
nucleo e una bassa probabilità che sia molto più distante o molto più
vicino a esso. Legato a questo concetto è il Principio di indeterminazione annunciato da Werner Heisenberg
nel 1927. Esso dimostra che esistono dei limiti all'accuratezza con cui
possono essere misurate delle coppie di quantità fisiche. Ad esempio,
se cerchiamo di misurare la posizione e la quantità di moto di una
particella subatomica, lo stesso atto disturberà la particella a tal
punto che non sarà possibile attribuire un valore preciso a entrambe le
quantità nello stesso istante. Questa nebulosità è descritta dalla funzione d'onda
- in altre parole, si tratta di una descrizione basata unicamente sulle
probabilità. Ora, di primo acchito, questa potrebbe sembrare una
faccenda da poco - che mai potrebbe accadere se non riuscissimo a
definire con precisione l'esatta posizione delle particelle subatomiche?
In realtà, questa è l'essenza stessa della Meccanica quantistica e sta
alla radice di tutti i problemi che essa crea alla mente del profano.
D'altra parte, questa è anche la ragione stessa per cui la Meccanica
quantistica potrebbe plausibilmente aiutarci a spiegare alcuni fenomeni
attualmente non spiegati.
Che cos'e` la "realta`"
del mondo per la fisica quantistica? Sfortunatamente quella che noi
percepiamo come realta` si scopre essere semplicemente una serie di
incidenti di percorso. Se crediamo alla fisica quantistica, il mondo e`
nelle mani di queste onde di probabilita`. Ogni tanto una di queste onde
"collassa", e allora, e soltanto allora, succede qualcosa (le quantita`
fisiche assumono dei valori osservabili). La sequenza di quei
"qualcosa" costituisce la realta` che percepiamo noi. Fu Von Neumann
a chiarire gli estremi del problema. A far collassare la funzione
d'onda e`, secondo la fisica quantistica, l'interferenza di un altro
sistema. Per esempio, se cerco di misurare una quantita` di un sistema
(la sua velocita`, per esempio), faccio collassare la funzione d'onda
del sistema, e pertanto leggo un valore per quella quantita` che prima
era semplicemente una delle tante possibilita`. E` il mio atto di
osservare a causare la "scelta" di quel particolare valore della
velocita` fra tutti quelli possibili. Ma "quando" si verifica quel
collasso? C'e` una catena di eventi che porta dalla particella al mio
cervello: la particella e` a contatto con qualche strumento, che e` a
contatto con qualche altro strumento, che e` a contatto con il
microscopio, che e` a contatto con il mio occhio, che e` a contatto con
la mia coscienza... dove avviene di preciso il collasso? A che punto la
particella smette di essere una funzione d'onda e diventa un oggetto con
una velocita` ben precisa?
Il problema puo`
essere riformulato cosi`: che cosa causa il collasso di una funzione
d'onda? Basta la semplice presenza di un'altra particella nei dintorni
del sistema? Oppure dev'essere un oggetto di grandi dimensioni? Oppure
dev'essere per forza un oggetto in grado di osservare? Oppure dev'essere
per forza una mente umana? Sappiamo che un uomo e` in grado di far
collassare una funzione d'onda, in quanto gli scienziati possono
misurare le particelle. Ma un insetto? Un insetto-scienziato sarebbe in
grado di compiere le stesse osservazioni? Sarebbe in grado di far
collassare una funzione d'onda? E un virus? Una pietra? Un albero? Un
soffio di vento?...
Von Neumann
si domandava cosa promuove un oggetto a "collassatore". La fisica
quantistica concede questo privilegio: i sistemi classici (come gli
strumenti di misurazione o gli esseri umani, oggetti che hanno una
posizione, una forma e un volume ben definiti) sono capaci di far
collassare la funzione d'onda di sistemi quantistici (che sono invece
pure onde di probabilita`) e pertanto di misurarli. Ma cosa determina se
un sistema e` classico o quantistico? Anzi, come fa la natura a sapere
quale dei due sistemi e` quello che misura e quale e` quello da
misurare, in maniera tale che possa far collassare quello da misurare e
non quello che misura? Perche', quando misuro un elettrone, collassa
l'elettrone e non collasso io? Intuitivamente, i fisici rispondono che
un sistema per essere classico deve essere "grande", in quanto
l'indeterminatezza e` tanto maggiore quanto piu` ci si avvicina alle
dimensioni della Costante di Planck.
Ma questo significa semplicemente che gli oggetti "grandi" hanno
un'immunita` dalle leggi quantistiche che e` basata soltanto sulla loro
dimensione. Quantomeno bizzarro. Roger Penrose ha proposto che sia la
gravita` a concedere quella immunita` speciale. Gli oggetti "grandi"
deformano lo spazio-tempo e cio` in qualche modo causa il collasso
spontaneo del sistema in una possibilita` ben precisa. Ecco perche' i
sistemi "grandi" hanno una posizione e una forma ben definita.
Analogamente, quando il mio campo gravitazionale entra in contatto con
quello di un sistema "piccolo" (che si comporta come un sistema
quantistico), lo fa diventare parte di un sistema "grande" e pertanto di
un sistema classico. E pertanto lo posso misurare.
Il
fatto rimane che nulla nella fisica quantistica spiega cosa realmente
accada quando un sistema quantistico "collassa": il collasso corrisponde
a un cambiamento nello stato del sistema, oppure corrisponde
semplicemente a un cambiamento nella conoscenza che io ho di quel
sistema? Naturalmente, viene subito la tentazione di puntare il dito
verso la coscienza. Forse il collasso e` dovuto al fatto che un essere
senziente compie la misurazione. Forse la mente entra nel mondo
attraverso il pertugio lasciato aperto dal principio di indeterminazione
di Heisenberg. Forse la fisica quantistica ci sta dicendo che la mente
umana "deve" esistere affinche' il resto dell'universo possa esistere,
altrimenti non ci sarebbe nessuno ad osservarlo e cio` significa che
resterebbe in eterno nel limbo delle possibilita`. La realta` e` il
contenuto della nostra coscienza, come scrisse poco prima di morire Eugene Wigner.
Un'altra possibilita` e` quella di negare semplicemente che si
verifichi questo misterioso "collasso" della funzione d'onda. Invece di
ammettere che il futuro venga scelto a caso ogni volta che la funzione
collassa, uno puo` decidere che tutti i possibili futuri si verificano
tutti insieme. In ogni secondo l'universo si divide in miliardi di altri
universi, uno corrispondente a ogni possibile valore di ogni possibile
quantita` che uno potrebbe misurare. E` questa la teoria di Hugh Everett:
se qualcosa puo` succedere, allora succede... in qualche universo. Una
copia di me esiste in ogni universo. Io osservo tutti i possibili
risultati di una misurazione, ma lo faccio in universi diversi. Fra
coloro che credono in questa ipotesi si contano luminari come David Deutsch e Stephen Hawking.
Wojciech Zurek
pensa che tutto contribuisca al collasso, e che il collasso possa
avvenire per gradi successivi. L'ambiente distrugge quella che Zurek
chiama "coerenza quantistica". E per "ambiente" intende proprio tutto,
dalla singola particella che transita per caso fino al microscopio.
L'ambiente causa "decoerenza" e la decoerenza causa una sorta di
selezione naturale alla Darwin: lo stato classico che emerge da uno
stato quantistico e` quello che meglio si "adatta" all'ambiente. Non
sorprende pertanto che, studiando questo fenomeno, Zurek stia pervenendo
a intriganti paralleli con il fenomeno della vita (l'altro grande
mistero della natura e`, ovviamente, quello di come la materia vivente
emerga dalla materia non vivente). Come fa il mondo classico, fatto di
oggetti e forme e confini e pesi e altezze, ad emergere da un mondo
quantistico, fatto soltanto di onde e di probabilita`?
Una
coerente teoria della mente, basata da un lato sulle posizioni
ontologiche di Heisenberg appena descritte, e dall'altro su quelle
psicologiche di William James (1842-1910), è stata sviluppata da Henry Stapp in una serie di saggi, raccolti nel 1993 in Mente, materia e meccanica quantistica . Nella sua opera principale, I principi di psicologia del
1890, William James aveva enunciato alcune posizioni pragmatiche (in
accordo con la sua generale filosofia). Anzitutto, una teoria della
mente degna di questo nome non può soltanto dissolverla nella
descrizione di meccanismi comportamentali o neurofisiologici, ma deve
essere in grado di rendere conto delle azioni più apparenti e costanti
della coscienza: la libera scelta fra varie alternative, e il controllo
del comportamento. Inoltre, poichè tutto ciò che possiamo sperimentare
sono percezioni, l'universo deve essere riducibile ad un'unica sostanza
(esperienza pura), di cui la coscienza è solo una parte. Infine, il
riduzionismo psicologico non può basarsi esclusivamente sulla fisica
classica, perchè essa non è in grado di assegnare ad un sistema
complesso proprietà che non siano riducibili a quelle delle sue
costituenti: l'introspezione mostra invece che i pensieri e la
coscienza, nonostante la presenza di componenti, sono sistematicamente
percepiti come sostanzialmente unitari.
Le
ingiunzioni di James sono state sistematicamente disattese dalle teorie
psicologiche dominanti del secolo, dal comportamentismo di Watson al darwinismo neurale di Edelman:
esse rimuovono tutte il problema della coscienza, limitandosi a
descrivere in maniera puramente classica le sue manifestazioni a vari
livelli, dal sociologico al neurofisiologico. La fisica quantistica ha
maturato i tempi di un cambiamento, ritrovandosi in perfetta sintonia
con le posizioni di James: il collasso della funzione d'onda esibisce le
stesse caratteristiche di scelta e determinazione della realtà
attribuite alla coscienza, l'interpretazione di Copenaghen riduce
l'intera realtà all'osservazione, e gli eventi quantistici rivelano un
carattere olistico che non permette di ridurli al comportamento
individuale delle loro parti. Mentre von Neumann e Wigner cercavano però
di costruire una teoria mentale della meccanica quantistica,
attribuendo ad una indefinita coscienza la causa del collasso della
funzione d'onda, Stapp ribalta il loro approccio e costruisce una teoria
quantistica della mente, definendo la coscienza come la manifestazione
del collasso. In altre parole, nel cervello gli eventi si mantengono in
inconscia sovrapposizione di stati fino a quando essi vengono resi
psicologicamente coscienti dal collasso fisico della funzione d'onda, e
la coscienza è quindi la controparte macroscopica del processo di
fissazione delle strutture microscopiche del cervello (così come le
sensazioni sono la controparte macroscopica del funzionamento
dell'organismo).
A causa di un risultato di von
Neumann , non ha importanza in che punto della catena di osservazione si
suppone che il collasso avvenga, perchè i risultati sono largamente
indipendenti da dove esso si situi: la precedente definizione è dunque
compatibile con svariate ipotesi, in particolare che la coscienza sia un
fenomeno di basso o di alto livello cerebrale (cioè, neuronale o
integrato). Ciò che invece ha importanza è la relazione fra la struttura
degli eventi cerebrali da un lato, e di quelli psicologici dall'altro:
ed una volta postulata una corrispondenza fra gli eventi, è naturale
estenderla anche alle loro strutture. Stapp propone dunque la seguente
definizione: la coscienza è l'immagine isomorfa del collasso della funzione d'onda degli eventi cerebrali .
Più precisamente un evento cosciente, cioè l'attualizzazione di una
potentia cerebrale, crea una configurazione neuronale temporaneamente
stabile detta simbolo , a sua volta costituita da componenti: in
tal modo si genera una disposizione per l'attivazione di tutti gli altri
simboli che hanno componenti in comune con quello, e si crea quindi una
nuova potentia che attende di essere attualizzata da un successivo
evento cosciente. La tendenza dei simboli a svanire crea la sensazione
del fluire del tempo , l'insieme dei simboli attuali in un dato momento costituisce uno schema corpo-mondo che
viene continuamente aggiornato, l'insieme dei simboli che persistono e a
cui le sensazioni momentanee vengono riferite costituisce il senso del sè (un'esperienza
cerebrale come tutto il resto), e l'integrazione quantistica degli
eventi cerebrali viene percepita psicologicamente come l' unità della coscienza .
Poichè la realtà è costituita dalle attualità, che a loro volta sono
determinate dalle potenzialità, ma non tutte le attualità sono eventi di
natura cerebrale o umana, si può dire più generalmente che la mente è la manifestazione del processo di attualizzazione delle potentia ,
di cui la coscienza umana è dunque solo un aspetto particolare. Si
arriva così per via fisica ad una teoria che ha vari aspetti in comune
con quella filosofica esposta da Whitehead ne “Il processo e la realtà” .
Tutto ciò che esiste, cioè la totalità delle attualità, si manifesta
dunque come un atto creativo della mente universale, una scelta che allo
stesso tempo è delimitata dallo spazio delle possibilità preesistenti, e
restringe lo spazio delle possibilità future. E gli atti creativi della
mente universale sono linearmente ordinati, poichè essi corrispondono a
cambiamenti nello stato potenziale dell'universo, che è unico in ogni
istante: dunque il tempo mentale è lineare , in accordo con
l'esperienza, e in contrasto con il tempo fisico (in altre parole,
l'evoluzione deterministica della funzione d'onda e il suo collasso si
riferiscono a due tempi distinti, locale e relativistico l'uno, e
globale e classico l'altro). Ma come si spiega il carattere unitario e
globalmente coerente dell’attività mentale? James giunse al punto di
mettere in dubbio il determinismo delle leggi fisiche, ciò che al suo
tempo suonava ancora come una bestemmia, e aveva perfettamente ragione.
Henry Stapp ritiene di aver trovato la risposta nella meccanica
quantistica: lo stato fisico del cervello a un certo istante non è la
collezione dei microstati delle parti del cervello ma l’onda
interfenomenica quantistica che, a dispetto della causalità
spaziotemporale, correla tra loro sincronicamente tutti gli stati locali
della materia e veicola la probabilità delle transizioni di fase
globali del cervello. In altri termini, la realizzazione fenomenica del
mondo sarebbe pilotata e determinata dalla riduzione dei pacchetti
d’onda quantistici che costituiscono gli stati fisici del cervello. Il
fatto è che nell’universo di cervelli ne esistono tanti e, se le cose
andassero come dice Stapp, si ricadrebbe nella solita tesi solipsista:
che ognuno determina lo stato fenomenico del suo proprio mondo compresi
gli stati mentali di tutti gli altri esseri coscienti dell’universo.Di
fatto questa è l’unica visione concessa dalla meccanica quantistica dei
sistemi finiti e coincide sostanzialmente con quella proposta da von
Neumann nel 1931. Ma la meccanica quantistica dei sistemi infiniti,
fondata dallo stesso von Neumann tra il 1936 e il 1946, fa giustizia di
questo tipo di interpretazioni perché introduce una nuova dimensione
nella rappresentazione del mondo fisico: l’emergenza fenomenica del
mondo macroscopico come processo termodinamico-informazionale. La vera
"mente" rivelatrice della sostanza interfenomenica del mondo fisico è la
catena causale, ma non deterministica, degli eventi di condensazione
bosonica e rottura spontanea delle simmetrie causate dall’espansione
termodinamica del cosmo macroscopico, indipendentemente dall’esistenza
di esseri viventi. È sul terreno dei processi termodinamici non in
equilibrio che si trova la risposta. Da questo punto di vista Ilya Prigogine
ha ragione.Dove Prigogine ha torto è nel trascurare, se non ignorare,
che i processi informazionali che generano la complessità del vivente
non sono quelli descritti nella termodinamica dei sistemi non in
equilibrio, di cui è il massimo sostenitore e propugnatore, ma nei
processi algoritmici basati sulla formazione dei linguaggi a elementi
strutturali discreti. I sistemi termodinamici di Prigogine sono volatili
e incapaci di raggiungere livelli di organizzazione paragonabili a
quelli che si riscontrano nel vivente.La questione che allora si pone è
questa: è la teoria dei processi algoritmici in grado di spiegare
l’emergenza della coscienza? In linea di principio sì: sulla base delle
teorie degli algoritmi autoreferenziali di Gödel
e degli automi capaci di autoriprodursi di von Neumann. Queste modelli
sono in grado di dire molto circa le condizioni strutturali e funzionali
che permettono la generazione di un processo informazionale capace di
interpretare sé stesso. Solo un processo capace di "interpretazione
universale", nel senso della teoria degli algoritmi,
è in grado di essere autoreferenziale. Luce, suoni e azioni fisiche sul
mondo esterno veicolano informazione connettendo in un processo
informazionale universale tutte le cose esistenti. Per un interprete
universale particolare, i segnali fisici sono equivalenti a fibre
nervose che trasmettono e ricevono informazioni; in questo modo, esso
stesso diventa centro integrante di un processo informazionale che si
estende enormemente al di fuori del suo organismo fisico. Questo
processo globale comprende altri interpreti universali. Tutte le cose
visibili, udibili e trasformabili che esistono in natura costituiscono
per ogni interprete universale una sorta di gigantesca memoria esterna
che alimenta la sua attività di interpretazione universale. La teoria di
Stapp lascia aperti i problemi del libero arbitrio e del determinismo,
perchè non decide se il collasso della funzione d'onda sia frutto del
caso o di qualche scelta ad un livello più profondo. Presentando però la
coscienza umana ad un tempo come la manifestazione di un processo
naturale e la localizzazione di un processo universale, essa reintegra
l'uomo nella natura e nell'universo, e contrasta in tal modo le nefaste e
tuttora influenti visioni di Bacone e Descartes,
che vedevano da un lato la natura come terra di conquista scientifica e
tecnologica dell'uomo, e dall'altro la mente come un fenomeno estraneo
alla natura.
I quanti e la PSI
La scoperta del paradosso EPR (la sigla è data dalle iniziali dei nomi degli scopritori,ossia Einstein, Podolsky e Rosen),nacque
da un intento polemico. Il criterio per cui Einstein ne elaborò il
principio era dettato dal ricorrente proposito di evidenziare
l'insensatezza della concezione indeterministica (addirittura
"indeterminata" secondo la tesi più radicale) dei microfenomeni
implicita nell'interpretazione classica di Bohr e Heisemberg. Possiamo
evidenziarne il significato con un esempio semplice. Tra le dinamiche
che caratterizzano il comportamento di una microparticella c'è quella
del poter decadere in due altre particelle le quali, automaticamente, si
allontanano l'una dall'altra secondo due diverse direzioni. Ora, tali
due particelle, così scaturite da una comune origine, debbono mantenere,
anche dopo il distacco, certi specifici rapporti di proprietà
quantiche. Prendiamo, ad esempio, la proprietà chiamata spin,
facilmente rappresentabile con il modello di un movimento a trottola
che la particella compie attorno a un certo asse. Per una legge - detta
di "conservazione del momento angolare" -, imposta sempre dall'esser
originate dalla stessa particella, se una delle due ha l'asse del
movimento a trottola orientato verso l'alto, l'altra deve
necessariamente averlo rivolto verso il basso. Anche il valore numerico
deve esser perfettamente complementare. Ad esempio, se lo spin della
prima particella ha valore 1/2 (secondo l'immagine semplificata della
trottola, compie mezzo giro su se stessa nell'unità di tempo), quello
dell'altra deve avere valore -1/2. Orbene, per il principio di indeterminazione
di Heisenberg, finché nessuna delle due particelle è osservata/misurata
da uno sperimentatore, non ha lo spin (come ogni altra caratteristica
fisica misurabile) in uno stato specifico. Si trova, in base allo stesso
principio, in uno stato di indeterminazione quantica, o di
sovrapposizione potenziale di stati. Solo l'atto della misura gli
conferisce uno spin reale e determinato. Supponiamo ora di compiere
proprio questa operazione fatidica della misura e che si trovi lo spin
di una delle due particelle "ridotto", o "collassato", nello stato di
1/2. Il che provocherà istantaneamente anche la riduzione dello stato
dello spin della seconda particella al valore di -1/2. Come dire che,
determinando la realtà specifica di un oggetto posto qui davanti ai miei
occhi, automaticamente determino la realtà di un altro ben distante da
me e su cui non posso influire causalmente in alcun modo. La palese
assurdità deriva dal fatto che la seconda particella è ora un sistema
fisico del tutto separato e può trovarsi anche all'altra estremità della
galassia al momento della misura della prima. Il carattere istantaneo
dell'effetto violerebbe inoltre quel limite assoluto della propagazione
degli effetti fisici che è la velocità della luce. Da tener presente
anche l'eventualità che, non esistendo nell'universo una particella che
non abbia interagito con altre, il paradosso E.P.R. prospetterebbe
un’amplificazione a cascata del fenomeno di interconnessione quantica
configurando l'impossibilità dell'esistenza di un oggetto microfisico
realmente e totalmente separato dagli altri. Abbiamo detto che Einstein
considerò l'ipotesi di questa strana "telepatia" tra sistemi
microfisici come una prova di impossibilità, un'implicazione assurda che
confutava evidentemente la tesi dell'interpretazione di Bohr e
Heisenberg. Quando tuttavia, diversi anni dopo, grazie agli studi di un
fisico irlandese, John S. Bell, fu possibile sottoporre a verifica
sperimentale l'effetto E.P.R., ciò che emerse suonò di nuovo come
un'amara beffa per la teoria di Einstein: quell'effetto fantasma di
contatto istantaneo tra sistemi microfisici separati esisteva davvero.
Flussi di coppie di particelle originate nel modo anzidetto, una volta
divenute sistemi indipendenti, mostravano accordi statistici delle
proprietà prese in esame che non potevano essere dovuti al caso. E'
proprio questa interconnessione universale degli enti fisici che
costituisce un motivo di interesse per la parapsicologia, tenuto conto
che la psi, la facoltà oggetto del nostro studio, è, abbiamo visto,
sostanzialmente un annullamento delle separazioni, delle distanze, sia
spaziale che temporale. Vedremo ora specificatamente come si colleghi al
fenomeno il nostro problema.
Occorre a questo punto una
precisazione. La teoria della meccanica quantistica che abbiamo esposto
fin qui non è l'unica esistente (anche se è quella ufficialmente
accettata dalla scienza). Esiste almeno una scuola alternativa, il cui
iniziatore fu Einstein, che non accetta l'interpretazione della natura
indeterminata, soggettivista e a-causale dei microfenomeni come
elaborata da Bohr e Heisenberg. E' una teoria che rivendica la completa
realtà dei microfenomeni indipendentemente dall'osservatore e la loro
evoluzione del tutto deterministica nel tempo. La distinzione è
importante per inquadrare organicamente il rapporto con la
parapsicologia. Ci sono infatti almeno due criteri per cui la facoltà
paranormale, se esiste, può essere collegata all'apparato concettuale
della meccanica quantistica. Si tratta per la verità di due criteri
strettamente collegati tra loro, ma è opportuno distinguerli per
cogliere meglio l'articolazione del problema. La distinzione è imposta
dal fatto che tali due criteri si collegano proprio ai due diversi modi
di interpretare la meccanica quantistica che abbiamo esposto. Ora, se il
primo gruppo, quello ortodosso dominante, era genericamente favorevole
alla possibilità dell'esistenza delle facoltà paranormali, quello
dell'interpretazione alternativa era, possiamo dire, genericamente
contrario.
Lo stesso Einstein, abbiamo visto,
associava i paradossi della meccanica quantistica a possibili effetti
paranormali proprio per evidenziarne l'assurdità. Un fisico italiano,
seguace della scuola di Einstein, Franco Selleri, riferisce il seguente
aneddoto. Durante una breve conversazione avuta da Einstein con un
importante fisico teorico della scuola di Bohr, mentre quello dichiarava
di essere portato a credere nella telepatia, Einstein suggerì a titolo
di provocazione: ""E' una cosa che probabilmente riguarda più la fisica
che la psicologia". La risposta, riferiva ironicamente Einstein, fu un
semplice "sì"" . Ma qual'era il motivo di fondo per cui i teorici della
concezione ortodossa della quantistica erano o potevano essere
favorevoli alla parapsicologia? La risposta è semplice: era il principio
della forte supremazia della mente sulla materia che evidentemente
scaturiva dal concetto del ruolo fondamentale dell'osservatore nel
determinare la realtà del fenomeno osservato. E' un elemento concettuale
che è stato designato in molti modi. Si è parlato di "mentalismo", di
"idealismo", di "psicologismo" della meccanica quantistica. L'elemento
che, in ogni caso, veniva a fungere da supporto all'ipotesi della psi
erano le potenzialità di applicazione del principio. Se era la mente
dell'osservatore ad essere così decisiva nel determinare la realtà dei
fenomeni osservati, appariva possibile che in condizioni eccezionali
tale supremazia si amplificasse fino a produrre fenomeni eccezionali,
impossibili in base alla logica dell'esperienza quotidiana. E' una
fruibilità teorica che è messa in evidenza anche dal Selleri: "Si
tratta evidentemente (...) di una descrizione assai vicina alla
"parapsicologia" per via dell'azione diretta del pensiero sul mondo
materiale" . Veniamo ora alla scuola antagonista rispetto a quella di
Bohr e Heisenberg. Ovviamente per costoro, propugnando una visione della
microrealtà integralmente determinista e priva di ogni influsso
"mentalista", non c'era alcuno spazio per una qualche forma di
misticismo o di paranormalità.Considerando ora i punti significativi di
questo indirizzo di pensiero vediamo come possa legarvisi il secondo
criterio di connessione dell'ipotesi della psi alla meccanica
quantistica.
E' ora importante notare che vi
fu chi escogitò un espediente concettuale per risolvere il rompicapo
della natura indeterminata dei microfenomeni: quello di ipotizzare
l'esistenza di alcuni elementi incogniti - le "variabili nascoste"
(hidden variables) - una volta conosciute le quali (almeno in teoria),
si sarebbe potuto constatare una relazione perfettamente causale e
integralmente determinata tra l'evento sub-atomico e il sistema
macroscopico di rilevamento. Il processo di collassamento, cioè, per cui
il ventaglio di particelle virtuali si riduceva di colpo a una sola
particella reale all'atto dell'osservazione, appariva del tutto
probabilistico perché non eravamo a conoscenza di un certo parametro di
comportamento, diciamo difficilmente accessibile, del fenomeno. Il primo
a proporre questa idea fu Von Neumann, uno dei maggiori matematici del
secolo che, assieme ad altri fisici, tutti della scuola di Bohr,
come Eugene Wigner, dette alle variabili nascoste quel significato
mentalista tipico di quell'indirizzo, avanzando l'ipotesi che fossero da
identificarsi addirittura con la "coscienza" dell'osservatore.
Ebbene
i seguaci della scuola di Einstein si dettero da fare per cercare di
individuare e definire queste variabili nascoste in base a un criterio
del tutto diverso, contando cioè sulla possibilità che fossero qualcosa
di specificatamente fisico e di - almeno in via di principio -
caratterizzato da valori misurabili. Tra tutti i tentativi di ottenere
un'individuazione specificatamente fisica delle variabili nascoste,
nonché di dare un volto causale alla meccanica quantistica, spiccano
gli studi di un fisico americano, David Bohm.
Tutti i membri della scuola di Einstein danno un ruolo centrale alla
sua teoria. Secondo Bohm la variabile nascosta condizionante le
operazioni di misura del microfenomeno era semplicemente la posizione
della microparticella, posizione all'atto pratico inconoscibile, ma in
teoria realmente definita da valori precisi. Bohm compì inoltre il passo
impegnativo - lo riferiamo senza entrare in dettagli - di dare alla
funzione d'onda (che per i teorici ortodossi, ricordiamo, era solo una
pura astrazione matematica) un significato fisico, intendendola come la
descrizione di una sorta di campo di forza in grado di influire
sull'evoluzione dello stato della particella (intesa questa, si badi
bene, come un ente del tutto reale e determinato). Formulò in tal modo
la teoria della cosiddetta "onda pilota", una conformazione ondulatoria
la cui intensità nei diversi punti determinava la probabilità di trovare
in tali stessi punti la particella.
Ma
la teoria di Bohm conteneva una caratteristica alquanto poco gradita ai
seguaci della scuola di Einstein: era una teoria prettamente
non-locale. In altri termini proprio quell'effetto fantasma a distanza,
quella strana "telepatia" tra oggetti del mondo microfisico, sulla cui
assurdità Einstein contava di confutare la concezione di Bohr,
veniva a costituire giusto il cuore della teoria. L'immagine del
vecchio, familiare mondo della separabilità, in cui le cose e gli
individui sono ben isolati l'uno dall'altro, era messo in discussione e
al suo posto subentrava quella di un mondo tutto percorso da una fitta
rete di interconnessioni quantiche che in modo sottile finiva per
collegare tutti gli enti o oggetti dell'universo.
I seguaci di Einstein cercarono subito di eliminare l'inconveniente. Primo tra tutti John Bell (che pur ammirava la teoria di Bohm)
provò in ogni modo di depurarla dalle implicazioni non-locali. Ma non
vi riuscì, come non vi riuscirono altri animati dallo stesso istintivo
rifiuto. Del resto i nuovi esperimenti che, via via, andavano
dimostrando l'esistenza dell'effetto E.P.R., fornivano anche un sostegno
sperimentale alla tesi della non-località. Quello che è interessante
osservare dal nostro punto di vista parapsicologico è che con i
tentativi di contestazione della teoria quantistica di Bohr veniva
reintrodotto dalla finestra giusto quello che si era tentato di cacciare
dalla porta. Bohm approdò, infatti, tramite il suo universo
integralmente unitario, alla stessa concezione mistica più o meno
propria dei membri della scuola di Copenhagen-Goettingen, con le stesse
ampie concessioni alla filosofia orientale. Naturalmente, nel cercar di
giustificare l'esistenza della psi con la visione unitaria e
interconnessa del cosmo proposta da Bohm, poteva esserci qualche
difficoltà nell'applicare il principio al mondo umano cui
sostanzialmente si riferisce la parapsicologia (la "telepatia"
presupposta nell'effetto E.P.R. è solo una "telepatia" tra particelle).
Ma il fenomeno accertato appariva indubbiamente un ragionevole sostegno
all'ipotesi della facoltà.
Dobbiamo tuttavia
osservare che alle straordinarie possibilità dell'effetto E.P.R., ancora
i seguaci della scuola di Einstein, riuscirono a porre dei limiti, e
questo sempre nell'obbiettivo di costruire teorie causali della
meccanica quantistica, alternative alla concezione classica. Spicca in
questa direttiva il lavoro di tre fisici italiani: Gian Carlo Ghirardi, Alberto Rimini
e Tullio Weber, che pubblicarono una dimostrazione giudicata
ineccepibile e apprezzata anche a livello internazionale, della non
trasmissibilità di alcun messaggio tramite l'effetto E.P.R.. Senza
entrare in dettagli diremo che punto centrale della dimostrazione era
l'assoluta casualità, all'atto della misura, del processo di riduzione
del vettore di stato, l'impossibilità, cioè, di far collassare la
particella nello stato specifico "voluto" tra quelli possibili. Ad
esempio, nel caso dello spin, non c'era alcun modo di far collassare nei
valori +1/2 o -1/2 la sua misurazione nella particella direttamente
osservata. Era quindi del tutto impossibile alterare in modo voluto lo
spin dell'altra particella, separata tramite il processo di decadimento.
Non era, ancora, possibile quindi utilizzare l'effetto per inviare da
una sistema microfisico all'altro (ovvero da un punto all'altro
dell'universo) una sequenza di segnali in grado di veicolare un
qualunque messaggio. Sembrerebbe a questo punto di essere di fronte a
un insieme di dati del tutto contraddittorio. Abbiamo la prova
dell'esistenza di un effetto con tutte le caratteristiche potenzialmente
attribuibili alla psi e tuttavia, a chiosa della promettente scoperta,
spunta una dimostrazione che vieta indissolubilmente la trasmissione di
qualunque tipo di comunicazione tramite quello stesso effetto. E' un
problema irrisolvibile? Cerchiamo di capirlo nei particolari.
Innanzitutto analizziamone meglio le caratteristiche. Abbiamo detto, i fisici chiamano "non-località"
- o "non-separabilità" - la natura interconnessa del cosmo implicata
nel paradosso E.P.R.. Designano inoltre con il termine difficilmente
traducibile di entanglement ("impiccio", "groviglio", "garbuglio") lo
strano legame che unisce le coppie di particelle separate
nell'esperimento classico del decadimento da una particella "madre".
Possiamo capire lo sconcerto comunicabile a chi ne intraprende lo studio
con l'ovvia constatazione che tutta l'esperienza del nostro rapporto
con la realtà è basata sulla certezza che oggetti ed eventi sono ben
demarcati l'uno dall'altro. Se, per un tracollo finanziario, uno
speculatore in borsa si suicida a New York, la mia coscienza è per
fortuna ben schermata dal percepire il suo disagio. E considerato tutto
quel che di traumatico accade nel mondo la separabilità è in fondo anche
una garanzia per la tranquillità della nostra "privacy" individuale.
Ma
che cosa si trasmette attraverso la non-località? Un'intuizione? Un
pensiero? Un significato? Un'emozione? Appare innanzitutto difficoltoso
capire come si struttura il fenomeno. "Questa correlazione quantistica -
afferma Roger Penrose - è una cosa misteriosa che sta tra la
comunicazione diretta e la separazione completa e che non ha alcuna
analogia con qualcosa di classico di qualunque tipo" . Ricordiamo che
Einstein l'aveva definita "azione spettrale a distanza". Shimony
preferisce quella di "passione a distanza" . Per chiarire i termini del
possibile rapporto con la psi è importante a questo punto elencare
alcune caratteristiche fondamentali della non-località.
E' un compito che svolge Ghirardi in una parte di un suo libro .
Secondo il fisico milanese, l'incomprensibilità (dal punto vista fisico)
degli effetti della non-località
è ascrivibile a tre caratteristiche: a) non variano con la distanza (un
millimetro o una distanza intergalattica non comportano alterazioni
nell'efficacia della comunicazione); b) sono assai selettivi (la
connessione tra i due componenti di un sistema entangled è molto
specifica nelle caratteristiche); c) comportano una trasmissione di
effetti assolutamente istantanea, non implicante cioè in alcun modo una
durata temporale (violerebbero cioè uno dei presupposti essenziali della
relatività che vieta a qualunque fenomeno fisico una velocità di
propagazione superiore a quella della luce).
E'
un elenco che, anche a prima vista, non può non colpire un
parapsicologo perché si tratta esattamente delle caratteristiche
essenziali che, dopo un secolo di ricerca, risultano attribuibili
all'ipotetica facoltà paranormale. Discutiamo ora brevemente le tre
caratteristiche in rapporto a tale secondo punto di vista
parapsicologico. L'indipendenza dalla distanza della psi è un dato che
ci deriva dalla valutazione di ampia casistica sia spontanea che
sperimentale. E' vero che non sono mancati ricercatori come F.
Cazzamalli che hanno ritenuto di individuare, sul piano sperimentale,
un'affinità della ESP con le onde elettromagnetiche, ma è una tesi
ampiamente smentita da una vasta massa di dati e di relazioni. Essa, se
esiste, funziona altrettanto bene a pochi metri di distanza quanto da un
continente all'altro.
La psi, inoltre, è
evidentemente selettiva. Anche se può essere improprio parlare in
termini di emittente e di ricevente, c'è in essa qualcosa che, pur
sporadicamente, mette in collegamento due o più soggetti - o un soggetto
e un evento - specifici sulla base di particolare significato, ricordo o
esperienza. Ad esempio, un ricercatore, come N. Marshall, ha elaborato
una complicata teoria detta “influenza eidopica” proprio per
giustificare questo carattere altamente selettivo della ESP.
Naturalmente c'è da tener presente la trasposizione di campo. Gli esseri
umani, abbiamo detto, non sono le microparticelle. Uno dei dati
emergenti è che la psi, se esiste, avviene probabilmente da inconscio a
inconscio (anche se infinite possono essere le modalità) e comporta
quindi il problema di un'elaborazione, almeno in parte, inconsapevole.
Il che a sua volta comporta, quasi inevitabilmente, distorsioni e
inesattezze. Ma il nodo simbolico che sta al centro della comunicazione è
per lo più facilmente individuabile e riconoscibile. La stessa
considerazione vale per la presunta istantaneità dell'effetto.
L'elaborazione inconscia può comportare, oltre alle distorsioni, dei
ritardi per la manifestazione della psi. La percezione paranormale può,
cioè, impiegare del tempo per affiorare alla soglia della coscienza.
Ma
tutto della casistica lascia credere che tali ritardi non siano dovuti a
una vera durata temporale della trasmissione. La psi, se esiste, di per
sé è istantanea, non comporta intervalli resi necessari da una presunta
velocità-limite dei suoi processi interattivi. Ma un’altra
caratteristica della non-località,
facilmente deducibile dalle tre elencate da Ghirardi, che la rende
ancor più affine alla psi, è il carattere a-causale dei suoi effetti.
Particolarmente il fatto che i suoi processi viaggiano a velocità
superluminale elimina ogni ipotesi di causalità in senso fisico. Il
problema fu già messo in rilievo da Bohr quando, preso per la prima
volta in considerazione il paradosso E.P.R., parlò della necessità di
"una rinuncia definitiva all'idea classica di causalità" . "Questi
effetti quantistici non locali - nota anche Paul Davies - sono in verità una forma di sincronicità
nel senso che stabiliscono un legame (...) fra eventi per i quali
qualunque forma di legame causale è proibita" . Parlare di a-causalità
nell'ambito della parapsicologia richiama istintivamente alla mente Jung e la sua teoria della sincronicità
(e in effetti Davies nella sua citazione si riferisce proprio
all'illustre psicanalista svizzero). I fenomeni paranormali secondo Jung
sono eventi associativi, "sincronici", prodotti da dei simboli
archetipi (appartenenti a un inconscio molto profondo di natura
collettiva) e attuantesi secondo una dinamica del tutto a-causale,
indipendente dallo spazio e dal tempo. Certamente è per questa
implicazione di fondo che si instaurò tra Jung e un fisico come W. Pauli, anch'egli tra i fondatori della quantistica, un intenso dialogo. Paul Davies
nota che per comprendere alcuni fenomeni o problemi di natura
prettamente fisica, ma inspiegabili secondo le leggi fisiche quali il
caos o il "principio antropico"
(basato sulla possibilità - di nuovo senza entrare in dettagli - che
tra la presenza dell'uomo nell'universo e il ciclo evolutivo
dell'universo stesso vi sia un particolare legame di natura a-causale), è
necessario ricorrere a un principio abbastanza vicino al concetto
Junghiano di sincronicità.
Qualcuno potrebbe
obbiettare che la sincronicità è solo una delle molte teorie della psi.
In realtà è facile evidenziare che quasi tutte le teorie
parapsicologiche escogitate in tempi lontani e recenti, con quegli
strani nomi esotici che abiamo sentito - L'"io subliminale" di Meyers e
Tyrrel, il "sistema cosmico di leggi psichiche" di Murphy Gardner, la
"shin" di Thoules e Wiesner, e ancora quella del "serbatorio cosmico" di
William James, del "livello psi" dell'inconscio di Ehrenwald, le teorie
"osservazionali" di Walker e Schmidt, tanto per citarne alcune -
ruotano sostanzialmente attorno agli stessi concetti di base della
sincronicità: extra-causalità, indipendenza dallo spazio e dal tempo,
funzione attiva di unità o strutture simboliche più o meno inconsce.
Torniamo ora alla dimostrazione di Ghirardi, Rimini, Weber che comporta
la scomoda - per noi - proprietà di vietare nel modo più assoluto
l'utilizzo di processi non-locali per trasmettere un qualunque messaggio
e ripetiamo la domanda: quale beffarda convergenza di indizi fa sì che
un fenomeno, che avrebbe tutti i connotati per fornire un'indiscussa
base teorica alla psi, riveli poi un limite indiscutibile per tale
impiego?
L'equivoco sta tutto, ritengo, nella
parola "messaggio". Riflettiamo con attenzione su che cosa intendiamo
normalmente con tale termine: una sequenza di segni codificati che viene
trasmessa, attraverso un canale, da un emittente a un destinatario il
quale, per parte sua, compie l'operazione di decodifica. Qualunque sia
la modalità del processo, quella dell' alfabeto Morse,
o la voce umana, o i gesti di uno sbandieratore, la logica che lo rende
efficiente è sempre la stessa. Si tratta di un fenomeno che richiede
una spesa energetica (per quanto minima) e che si attua secondo una
modalità intrinsecamente causale. C'è anche un limite relativistico che
lo condiziona: deve propagarsi sempre a velocità non superiore a quella
della luce. A questo punto è doverosa la domanda: è così che avviene,
se esiste, la comunicazione extrasensoriale? La risposta apparirà, a
questo punto, abbastanza scontata: assolutamente no. La psi non implica,
come abbiamo visto poc’anzi, alcuna forma di codifica-decodifica del
messaggio, non implica alcuna causalità, non implica alcuna spesa
energetica, non implica alcun limite di propagazione fisica. Si è
ricorso a varie formule e definizioni per giustificare questo strano
tipo di contatto comunicativo, alcune orientate più in senso
psicologico, altre più in senso spiritualista. Si è parlato di
“simpatia”, di “co-sensibilità” (G. Murray), di “gravitazione universale
tra le anime” (Myers), di “coniugazione psichica”, di “mimetismo
mentale” (Talamonti) (si pensi al concetto quantistico di Shimony della
“passione a distanza”). Forse una delle più felici definizioni della
facoltà (che compendia questo suo agire fondamentalmente a-causale) è
quella di Harry Price, secondo il quale la telepatia "è più simile a un
contagio che a una conoscenza" . Curiosamente il concetto di "contagio",
di reciproca "simpatia" tra le cose, sta alla base di tutto il
simbolismo della magia, come osserva lo stesso Selleri avvalendosi della
notazione di un celebre antropologo, J. Frazer
. La presenza di una logica compartecipatoria simile a quella presente
nella non-località è evidente. Si deduce da tali osservazioni che la psi
non manifesta alcuna attinenza con il limite imposto dalla teoria di
Ghirardi, Rimini, Weber, oggetto del cui divieto appare invece proprio
la modalità tradizionale del processo di trasmissione dell'informazione
che comporta sempre, in ultima analisi, l’azione su un qualche sistema
fisico (si tratti della scarica di un neurone o dell’attivazione di un
micro-chip). La non-località, nota Ghirardi, è in effetti tale “da non
consentire una sua utilizzazione per produrre effetti istantanei a
distanza tra sistemi fisici” . Occorre purtroppo riconoscere che non è
facile concepire una forma di percezione o conoscenza che non comporti
alcun tipo tradizionale di trasmissione di informazione quale richiede
la psi. Per darne una inquadramento organico occorrerebbe esaminare
altri elementi concettuali derivati dalla non-località quali la teoria
quantistica della mente, l'eventuale fattore soggettivo implicato -
secondo alcune teorie - nei processi quantistici come processi operanti a
livello delle funzioni cerebrali (in sintesi, quale aiuto possono
offrire per capire quel fenomeno sfuggente e ineffabile che è la
coscienza). In via molto schematica potremmo affermare che proprio il
modello dell'entanglement, della strana comunione di stati (se
solo fisici, o anche psichici è il problema da risolvere) implicato nel
paradosso E.P.R. offre per la psi un modello interpretativo
interessante. Molto probabilmente è in gioco nella comunicazione
paranormale il contrasto tra le due categorie operative del comunicare e
dell'essere. Un soggetto che ha una qualche percezione extrasensoriale
di qualcosa che è nella mente di un altro individuo, verosimilmente non
riceve né trasmette niente. C'è una parte della sua personalità che
letteralmente viene ad essere qualcosa dell'altro individuo, che
instaura con lui una qualche perfetta unione di stati psichici.
Ricapitolando dunque gli elementi di apporto della quantistica alla tesi
della psi, se accettiamo l'interpretazione ufficiale ortodossa possiamo
avvalerci dei concetti di base della scuola di Copenhagen-Goettingen la
cui visione "mentalista", abbiamo visto, offre ampi sostegni
all'esistenza della facoltà. Se accettiamo la tesi alternativa, di cui
fu capostipite Einstein, finiamo col dover fare i conti con la visione
unitaria del cosmo proposta da Bohm, o in ogni caso, con l'onnipresenza
degli effetti non-locali che di nuovo concedono ampi spazi teorici alla
facoltà paranormale.
Naturalmente non
possiamo assumere sic et simpliciter la tesi della non-località come una
prova indiscussa della psi. Quello che possiamo rivendicare, nella
relazione generale con teoria della meccanica quantistica, è nondimeno
l'insensatezza di un luogo comune cui indulgono i critici più radicali:
l'inconciliabilità tra i fenomeni paranormali e i concetti della scienza
in generale. In realtà i legami, abbiamo visto, esistono e hanno una
loro coerenza, una loro ragionevolezza. Se la non-località non può
essere considerata una prova assoluta della psi, certamente è una prova
della sensatezza dell'ipotesi, del fatto che la psi è un argomento
suscettibile di una costruttiva attività di ricerca.
Mente,causalità e psicocinesi
“L’inquietudine
che tiene in moto perenne l’orologio della metafisica,è il pensiero che
la non esistenza del mondo sia possibile quanto la sua esistenza”.
William James
Tutti
noi sappiamo bene che non basta il pensiero per accendere il fornello
sotto la caffettiera, o per portare fuori la spazzatura; dobbiamo
muovere i muscoli e svolgere fisicamente il nostro compito.Eppure
ciascuno di noi ha provato, in qualche momento della propria vita, ad
influenzare il comportamento delle persone o delle cose mediante la sola
forza del pensiero. Forse che nessuno ha mai lanciato dei dadi,
"desiderando" l'uscita di un certo numero? Forse che nessuno ha mai
osservato intensamente una persona di spalle, cercando di farla voltare?
Questi sono dei comportamenti abbastanza naturali, dato che nel corso
della crescita dobbiamo imparare a conoscere i limiti delle nostre
capacita', e dobbiamo apprendere i concetti che riguardano la
causalita'.I bambini non nascono con la comprensione dei rapporti di
causa-effetto. Il pensiero naturale e' quello MAGICO. Il pensiero magico
consiste nella percezione di una relazione causale tra due eventi,
senza pero' capire i legami causali fra questi stessi eventi. Esprimete
un desiderio sotto una stella cadente, ed il vostro desiderio si
avverera'. Incrociate le dita affinche' la sorte vi sia propizia.
Pregate per ottenere aiuto.I bambini sono apertamente "magici". Come ha
detto il grande psicologo svizzero Jean Piaget,
un bambino che vede la luna, prima dalla finestra della sua cameretta e
poi dalla finestra della camera dei suoi genitori, pensera' che la luna
lo stia seguendo. Questa deduzione non e' poi cosi' ingiustificata se
uno non sa nulla di astronomia, o circa la natura della luna, o della
tendenza degli oggetti naturali a non piegarsi alla nostra volonta'.Come
facciamo a sapere che cosa causa che cosa? Se vi trovate in una sala
riunioni e osservate qualcuno di spalle, e costui si gira e vi guarda in
viso, sara' stato forse il vostro sguardo a farlo voltare? Molta gente
pensa che sia cosi', perche' cio' e' quanto l'esperienza dice loro. Una
tale semplice convinzione, supportata da successi occasionali dovuti a
coincidenze, oppure al fatto che una persona, mentre viene guardata
intensamente, si e' voltata per vedere come mai nella sala e' calato il
silenzio, e' sufficiente per convincere diversa gente che i poteri
psichici esistono. Per ragioni analoghe, una buona dose di pensiero
"magico" e' presente, sotto forma di rituali superstiziosi, all'interno
delle sale da gioco o dei campi sportivi.
Cosa possiamo dire di
tutti quei casi in cui fissate lo sguardo su di una persona, ma questa
non si volta affatto, oppure desiderate fare dodici ai dadi ma il
risultato del lancio e' diverso? Siete proprio sicuri che, se NON vi e'
alcuna forma di controllo mentale in gioco, sperimenterete una tale
quantita' di fallimenti, per cui un successo occasionale non vi
impressionera' piu' di tanto?E' qui il nocciolo del problema. Il nostro
sistema nervoso non e' predisposto per svolgere accurate analisi di
covarianza fra due variabili, ma per aiutarci a sopravvivere. Esso e' strutturato affinche' un'importante o evidente coincidenza fra due eventi (fisso la tua nuca e tu ti volti; desidero un doppio sei ai dadi e lo ottengo)
lasci una forte impressione, mentre le non coincidenze fra le stesse
due variabili siano largamente ignorate. Scottatevi la mano su di un
fornello, ed il vostro cervello imparera' che i fornelli sono
pericolosi. Toccate poi il fornello piu' volte senza scottarvi, ma il
timore non svanira' del tutto. L'asimmetria di questi effetti e'
importante per la sopravvivenza. Un animale che venisse aggredito da una
volpe, e successivamente venisse lasciato in pace da un'altra volpe,
non vivrebbe a lungo se la lezione tratta dalla prima esperienza venisse
poi cancellata dalla seconda.Dunque vi e' un'asimmetria nel modo in cui
gli eventi influenzano il nostro sistema nervoso. Pochi episodi - a
volte uno solo - di corrispondenza fra due avvenimenti sono sufficienti
per controbilanciare un insieme molto numeroso di mancate
corrispondenze, almeno per quanto riguarda la sensazione che un evento
sia causa dell'altro. Certamente, coloro che credono che il fissare
intensamente una persona alle spalle abbia un qualche effetto, sono
anche convinti che questo non sempre si verifichi. Per questo motivo la
loro credenza e' molto resistente alle smentite. La scienza e'
essenzialmente un mezzo per cercare di fare in modo piu' accurato cio'
che tutti noi tentiamo di fare nella vita quotidiana: capire che cosa
causa che cosa. Solo la scienza cerca sistematicamente di eliminare
spiegazioni alternative circa gli eventi concomitanti.
Voi guardate, e
qualcuno si volta. Lo scienziato vuole stabilire se il fatto di
voltarsi abbia qualche legame con lo sguardo e, se cosi', in quale modo i
due eventi siano fra loro connessi. Potrebbe forse trattarsi di una
semplice coincidenza? Dopo tutto, ci sara' capitato spesso di stare
seduti dietro ad altre persone, aspettandoci di vedere ogni tanto
qualcuno girarsi per motivi suoi. O non sara' piuttosto che
l'osservatore e' improvvisamente rimasto zitto ed immobile, e che questo
repentino silenzio ha indotto l'altra persona a voltarsi per vedere che
cosa e' successo?
La psicocinesi si riferisce al movimento (la
cinesi) di oggetti dovuto all'influenza della mente (la psiche). Sia che
si consideri o meno come psicocinesi il fatto di osservare la nuca di
qualcuno e di farlo voltare, il successo nell'influenzare il lancio dei
dadi verrebbe sicuramente attribuito alla psicocinesi stessa.Alla fine
del secolo scorso, le indagini circa la possibilita' della psicocinesi
non erano poi una cosa tanto inconsueta. Dopo tutto, quelli erano tempi
di grandi scoperte: immaginate lo stupore per essere in qualche modo
capaci di inviare suoni attraverso l'etere o dei fili, o per la
possibilita' di rivelare delle emanazioni provenienti da certi pezzi di
roccia, o per essere in grado di osservare l'interno di un corpo umano
tramite una radiazione invisibile.Aggiungete a tutto questo il fatto che
c'erano in giro molte persone, presumibilmente dotate, le quali
affermavano di essere in grado di muovere degli oggetti dentro una
stanza, se non con il loro potere mentale, almeno tramite l'intervento
di una qualche entita' immateriale.Ne consegui' che, all'inizio di
questo secolo, sia in Europa che negli USA, eminenti psicologi presero
in seria considerazione la psicocinesi, insieme ad una sua cugina, la
percezione extrasensoriale. La mancanza di prove relative ai fenomeni
studiati indusse poi la maggior parte di loro ad abbandonare le ricerche
in questo settore.La ricerca nel campo della psicocinesi puo' essere
divisa in tre fasi (Stanford, 1977).
- Dal 1934 al 1950, la scena era dominata da Joseph Banks Rhine,
ed il principale banco di prova sperimentale era costituito dal lancio
dei dadi. Tuttavia, come evidenziato da Stanford, queste sperimentazioni
non venivano controllate con l'accuratezza che sarebbe stata
necessaria. Malgrado il fatto che Rhine avesse alla fine optato per un
lanciatore meccanico, molti studi vennero svolti lanciando i dadi a
mano. Per giunta, i dadi stessi contengono un grosso artefatto: le facce
con i numeri piu' alti sono le piu' leggere, per via delle concavita'
dei puntini, e quindi sono anche quelle che hanno maggiori probabilita'
di emergere. Questo problema veniva generalmente trascurato.
Attualmente, a causa degli errori empirici, i parapsicologi non danno
piu' molta importanza ai primi studi effettuati con i dadi, anche se vi
e' un recente rinnovato interesse.
- Attorno alla meta' degli
anni quaranta, si scopri' l'effetto del "declino del quartile": ci si
accorse che, se si esaminavano i risultati di una sessione sperimentale,
la quantita' di successi era solitamente maggiore nel primo quarto
della sessione che non durante l'ultimo, e questo fatto venne
considerato come una proprieta' della psicocinesi. Le ricerche e le
analisi vennero dirette sempre piu' verso questo ed altri effetti
"interni", interpretati come segni della realta' della psicocinesi
stessa.
- Dal 1951 al 1969, in cio' che Stanford chiamo' il
"periodo di mezzo", il metodo dei dadi cadde in relativo disuso, e
l'enfasi venne posta sul metodo dello "spostamento".Lo scopo consisteva
nell'influenzare un dado od una pallina, in modo da farli muovere in una
certa direzione mentre rotolavano lungo un piano inclinato. Tuttavia,
come nel caso del lancio dei dadi, neppure qui emersero dei dati
convincenti.
Nella terza fase di Stanford, l'uso di generatori
elettronici di eventi casuali forni' cio' che i parapsicologi sperarono
essere un elemento decisivo: d'ora in poi sarebbe stato possibile
studiare l'influenza della mente su eventi davvero casuali, mediante
l'uso di apparati automatici, del tutto obiettivi. Beloff ed Evans
(1961) furono i primi a cercare gli effetti della psicocinesi sul
fenomeno del decadimento radioattivo, ma non ebbero alcun successo.
Helmut Schmidt fu il pioniere degli studi di psicocinesi condotti con
l'aiuto di generatori di eventi casuali.Un tipico esempio di apparecchio
e di paradigma di Schmidt richiede quattro lampade connesse ad un
circuito elettronico. Il circuito aziona in sequenza ciclica quattro
interruttori, uno per ogni lampada. Quando un annesso contatore geiger
rivela l'emissione di una particella da una sorgente radioattiva, il
circuito si ferma, qualunque sia l'interruttore attivato in quel
momento, e mantiene quindi stabilmente accesa una lampada. Lo scopo del
soggetto e' di indurre una particolare lampada a rimanere accesa il piu'
frequentemente possibile. Naturalmente, l'unico modo per sapere se il
soggetto ha avuto successo consiste nel paragonare la frequenza delle
accensioni della lampada prescelta con quanto ci si puo' attendere dal
caso.Con questo ed altri paradigmi simili, Schmidt sostenne di aver
trovato prove convincenti a sostegno della psicocinesi. Fu lui a
dimostrare successivamente che un gatto in un locale freddo poteva
mantenere accesa una lampada, azionata casualmente, per un tempo totale
maggiore di quanto consentito dal caso, e che degli scarafaggi subivano
una quantita' di scariche elettriche maggiore di quanto ci si potesse
aspettare (forse a causa dei poteri psicocinetici dello stesso Schmidt e
della sua ripugnanza per gli scarafaggi), e che le uova fecondate
potevano mantenere accesa una lampada riscaldante per un tempo maggiore
del previsto.Il lavoro di Schmidt si fece ancora piu' notevole, poiche'
giunse apparentemente a dimostrare che la psicocinesi poteva estendere i
propri effetti nel tempo, sia nel passato che nel futuro. Per esempio,
Schmidt (1976) uso' un generatore casuale binario per produrre una serie
di scelte casuali, le quali venivano tradotte in suoni impulsivi
inviati agli auricolari di una cuffia stereofonica. La sequenza di suoni
venne registrata su nastro magnetico in duplice copia, e uno dei due
nastri venne messo al sicuro per i futuri controlli. L'altro nastro
venne poi fatto ascoltare ad un soggetto, il cui compito era quello di
indurre un aumento della frequenza degli impulsi che giungevano
all'orecchio destro. Successivamente, Schmidt conto' il numero di
impulsi che si erano verificati nel canale destro, e trovo' un evidente
aumento statistico nella direzione voluta. Ma la cosa piu' importante,
come da lui detto, fu che quando egli stesso paragono' la sequenza di
impulsi del nastro sperimentale a quella registrata nella copia che era
stata messa da parte, scopri' che erano identiche! Concluse quindi
dicendo che il soggetto aveva influenzato ambedue i nastri,
presumibilmente mediante il collasso di una funzione d'onda quantistica
nel momento dell'osservazione (influenzando percio' in maniera identica i
due nastri, tramite una qualche stravaganza della meccanica
quantistica), oppure andando a ritroso nel tempo per alterare le serie
nel momento in cui venivano generate.Lo scettico sarebbe rimasto molto
piu' impressionato, se nel nastro ascoltato dal soggetto fossero state
invece trovate delle differenze rispetto al contenuto del nastro di
controllo!
Il margine di successo che Schmidt otteneva nei suoi
lavori e' molto piccolo, anche se statisticamente significativo. Il
valore medio dei successi nella sua ricerca era solo di poco superiore a
quanto ci si puo' aspettare dal c1;0caso (per esempio: 50.53%, rispetto
ad una probabilita' puramente casuale del 50.00%. (Palmer,1985)).
Robert Jahn e' l'ex preside della facolta' di ingegneria all' Universita' di Princeton,
dove continua ad insegnare ed a svolgere attivita' di ricerca. Egli si
e' convinto dell'esistenza della psicocinesi in base delle proprie
ricerche, e accetta il fatto che essa possa trascendere non solo lo
spazio, ma anche il tempo. Come Schmidt, anche lui cerca di interpretare
le sue scoperte secondo i termini della meccanica quantistica. Grazie
alla sua posizione di prestigio e alla sua reputazione, i suoi lavori e
le sue conclusioni hanno sollevato molto piu' interesse di quelle di
Schmidt, almeno al di fuori del settore della parapsicologia.Jahn ha
concentrato le sue ricerche in tre aree: (1) studi di psicocinesi in cui
i soggetti tentano di influenzare l'uscita di un generatore di eventi
casuali; (2) studi di macro-psicocinesi in cui i soggetti cercano di
influenzare la caduta di palline in una macchina statistica
dimostrativa, e (3) studi sulla visione a distanza.Nei suoi studi con i
generatori di numeri casuali, Jahn ha accumulato milioni di prove con un
sistema automatizzato in cui i soggetti cercano di influire su di un
processo casuale o pseudocasuale. In uno lavoro tipico, un generatore
casuale binario viene predisposto per emettere una serie di 200 bit dopo
che un tasto e' stato premuto. Questi 200 bit rappresentano una singola
prova. Il soggetto osserva un display numerico il quale registra il
numero totale di "uni" o di "zeri" contenuti nella serie.L'esperimento
si svolge secondo un protocollo tripolare, nel senso che al soggetto
viene chiesto di produrre un punteggio maggiore di 100, uno minore di
100, oppure, durante le prove di controllo, di non fare assolutamente
nulla. Un singolo esperimento consiste in 50 prove in cui il soggetto
deve "mirare" in alto, 50 prove in cui deve "mirare" in basso, e 50
prove di controllo. Una serie completa consiste in 50 di questi
esperimenti.Jahn ha raccolto tutti i dati ottenuti nel corso di diversi
anni, durante i quali le sue apparecchiature avevano anche subito alcune
modifiche. A dispetto dell'elevata significativita' statistica che Jahn
attribuisce ai suoi risultati, Palmer (1985) calcolo' il valore medio
dei successi per tutta la mole di dati, e scopri' che si trattava solo
del 50,02%, contro un'aspettativa teorica del 50,00%. Comunque, per via
dei milioni di prove effettuate, anche un minimo scostamento come questo
assume un valore statistico molto significativo.
Esistono pero' diversi problemi nelle ricerche che Jahn ha eseguito con i generatori di numeri casuali:
(1)
Per cominciare, la maggior parte della significativita' dei dati
proveniva dai risultati ottenuti da un solo soggetto, che era poi la
stessa persona che collabora con lui e gestisce il suo laboratorio. Jahn
ha in seguito fornito altri dati i quali, secondo lui, indicano che gli
effetti non sono limitati a quell'unico soggetto.
(2) Come
evidenziato da Palmer (1985), Jahn non ha fornito alcuna documentazione
circa i provvedimenti adottati per evitare che i risultati venissero
manomessi dai soggetti. Il soggetto viene solitamente lasciato da solo
con l'apparecchuatura durante lo svolgimento degli esperimenti.
(3)
Le prove di controllo sono spesso eseguite separatamente dalle prove
sperimentali, e questo e' un fatto assai rilevante, poiche' il paragone
tra i due tipi di prove e' alla base del processo di inferenza.
(4)
La distinzione fra studi formali e studi esplorativi non e' chiara. E'
possibile che delle prove esplorative siano state qualche volta
considerate a posteriori come delle prove formali, specialmente se i
loro risultati sembravano positivi?
(5) Jahn esegue ripetute
prove statistiche "post hoc" sui suoi dati, e percio' i livelli di
significativita' da lui asseriti, che sono interpretati come se si
riferissero ad una singola prova, risultano gonfiati in una misura
imprecisata.
In conclusione, cio' che Jahn deve fare adesso e'
condurre un esperimento: egli deve specificare in anticipo il protocollo
sperimentale, completo delle previsioni che devono essere verificate,
il numero dei soggetti, il numero delle prove, ecc. Finche' non fara'
cosi', egli avra' raccolto soltanto una grandissima collezione di dati
pilota.Nei suoi studi con la cascata meccanica casuale, Jahn usa un
dispositivo statistico dimostrativo, il quale consente la caduta di 9000
palline di polistirolo attraverso una matrice di 330 pioli, che le
smista in 19 diversi contenitori secondo una distribuzione della
popolazione che e' approssimativamente Gaussiana (Dunne, Nelson e Jahn,
1988). Gli operatori tentano di spostare la popolazione verso destra o
verso sinistra. Al tempo di quella pubblicazione del 1988, quattro dei
venticinque operatori coinvolti nelle ricerche avevano "ottenuto
separazioni anomale, nei loro sforzi sia verso destra che verso
sinistra", e altri due avevano ottenuto separazioni significative verso
destra o verso sinistra dalla linea di base. Di nuovo, cio' che qui
serve e' un esperimento delineato con chiarezza, con tutti i dettagli,
inclusi i confronti statistici necessari, da specificare in anticipo.Per
quanto concerne gli studi di Jahn sulla visione a distanza, anche se
essi non coinvolgono la psicocinesi, vale comunque la pena di riferire
che essi sono stati recentemente esaminati in dettaglio da un gruppo di
parapsicologi (Hansen, Utts e Marwick, 1991), i quali hanno concluso
che:
"Gli esperimenti del PEAR [Princeton Engineering
Anomalies Research] di visione a distanza, si discostano da quelli che
sono i criteri comunemente accettati della ricerca formale nell'ambito
scientifico. Infatti, essi sono indubbiamente fra i peggiori esperimenti
di percezione extrasensoriale mai pubblicati in molti anni. Le carenze
forniscono spiegazioni alternative plausibili. Non sembra esserci alcun
metodo statistico disponibile per la valutazione di questi esperimenti, a
causa del modo in cui essi sono stati condotti." (p. 198)
Mentre
non possiamo concludere direttamente che la medesima trasandatezza
sperimentale abbia caratterizzato il suo lavoro sulla psicocinesi,
questa valutazione negativa da parte degli stessi parapsicologi non
depone comunque molto a favore della qualita' degli sforzi sperimentali
nel laboratorio di Jahn. Dopo tutto, e' lo stesso Jahn che traccia un
parallelo tra i risultati ottenuti nei suoi studi sui generatori di
numeri casuali, la cascata meccanica, e la visione a distanza:
"Quattro
esperimenti tecnicamente e concettualmente distinti - un generatore
binario casuale pilotato da una sorgente elettronica di rumore a diodo;
un generatore pseudocasuale deterministico; una cascata meccanica su
larga scala; un protocollo digitalizzato di percezione a distanza -
mostrano degli andamenti sorprendentemente simili nello scostamento dei
conteggi dalle rispettive distribuzioni casuali. ...In ciascun caso, il
risultato equivale ad una semplice trasposizione marginale
dell'appropriata distribuzione statistica Gaussiana verso un nuovo
valore medio... o, in modo equivalente, ad un cambiamento della
probabilita' fondamentale del processo binario di base [p]..." (Jahn, York e Dunne, 1991, Abstract).
La
meta-analisi e' uno strumento per la revisione dei lavori pubblicati.
Essa fornisce una procedura statistica per esaminare studi sperimentali
correlati, e farsi un'idea di quanto essi supportino collettivamente una
particolare ipotesi.La meta-analisi e' diventata molto popolare nella
parapsicologia contemporanea. Viene usata per dimostrare che c'e' una
chiara indicazione, proveniente non solo da studi individuali che
potrebbero essere affetti da errori, bensì da un'ampia collezione di
ricerche, che le anomalie statistiche, sempre implicitamente o
esplicitamente interpretate come il risultato di influenze psichiche,
esistono.Ricorderete che in precedenza avevo detto che gli studi con i
dadi erano caduti in disuso nelle ricerche di parapsicologia. Tuttavia,
Radin (1991) ha presentato una meta-analisi relativa a 73 rapporti
pubblicati tra il 1935 ed il 1987, per un totale di 148 studi e più di
due milioni di lanci di dadi, in cui erano coinvolti 52 investigatori e
oltre 2500 soggetti. Egli scoprì che c'era effettivamente la presenza di
un artefatto quando l'obiettivo era la faccia con un numero alto, come
il sei. Ma quando si mise ad analizzare un sottoinsieme di 59 studi
intesi a verificare proprio questo artefatto, trovò le prove di "un
effetto indipendentemente replicabile, significativamente positivo", e
non spiegabile in termini di resoconti parziali o di differenze nella
qualità metodologica.
Radin e Nelson (1991) hanno condotto una
meta-analisi di "tutti gli esperimenti conosciuti che studiano le
possibili interazioni tra lo stato di coscienza ed il comportamento
statistico dei generatori di numeri casuali", prendendo in esame 597
studi sperimentali e 235 studi di controllo pubblicati tra il 1959 ed il
1987. (Questi provenivano da 152 differenti relazioni - uno studio
definito come la piu' grande possibile aggregazione di dati non
sovrapposti e raccolti con un unico scopo ben preciso). Gli autori hanno
concluso che gli studi di controllo si conformano bene alle aspettative
di casualita', mentre gli effetti sperimentali deviano
significativamente da queste aspettative:
"L'entita'
dell'effetto complessivo ottenuto in condizioni sperimentali non puo'
essere adeguatamente spiegata con carenze metodologiche o parzialita'
nei resoconti. Percio', dopo aver considerato tutte le testimonianze
ottenibili, pubblicate e non, mitigate da tutte le legittime critiche
emerse fino ad oggi, e' difficile evitare la conclusione che, in
determinate circostanze, la mente interagisce con sistemi fisici
casuali. (Resta ancora da vedere se questo effetto sara' alla fine
attribuito ad un qualche artefatto metodologico sin qui trascurato, o ad
un nuovo tipo di perturbazione bioelettrica di sensibili dispositivi
elettronici, o se verra' considerato come un contributo empirico alla
filosofia della mente.)" (p. 1152).
Che cosa ci rimane? Si
direbbe che se usiamo generatori sia di eventi propriamente casuali
oppure pseudocasuali deterministici, e sia che cerchiamo effetti in
tempo reale o dispersi a ritroso o in avanti nel tempo, e sia che
lavoriamo con eventi di microlivello o di macrolivello come nella
cascata casuale di Jahn, l'entita' degli effetti sara' virtualmente la
stessa (Jahn, York e Dunne, 1991). A detta di Schmidt (1988), sia gli
esperimenti con diversi tipi di flipper a monete e sia quelli con i dadi
forniscono effetti psicocinetici dello stesso ordine di grandezza, e
nessuno e' mai stato capace di realizzare un generatore casuale
apprezzabilmente piu' sensibile di altri.Per giunta, Stanford (1977),
passando in rivista la psicocinesi, concluse che il successo in questo
campo non dipende dalla conoscenza dell'obiettivo, dalla natura o
dall'esistenza del generatore di eventi casuali, dalla complessita' o
dal progetto del generatore di numeri casuali, e neppure dal fatto che
ci si stia cimentando in uno studio di psicocinesi. Egli concluse
dicendo che, in qualche modo, il fenomeno psicocinetico si manifesta
senza che vi sia una qualche forma di elaborazione da parte
dell'organismo, ed avviene in modo tale da raggiungere lo scopo senza
nessuna mediazione sensoriale. Chiaramente, tutto questo ricorda molto
da vicino la cosiddetta magia naturale: esprimi un desiderio ed esso si
avverera'. Le nostre convinzioni aprioristiche sono la chiave per
determinare se siamo disposti ad assegnare alla psicocinesi il ruolo di
agente causale delle deviazioni statistiche. Jefferys (1990) ha
criticato l'applicazione dell'analisi statistica classica agli studi
eseguiti con generatori di numeri casuali, in quanto essa non sarebbe
adatta a questo tipo di dati e porterebbe ad una grossolana
sopravvalutazione della significativita' dei risultati. In effetti, egli
afferma che l'analisi Bayesiana, la quale prevede la presenza di
convinzioni aprioristiche, mostra che piccoli valori di "p" possono non
essere sufficienti a provare l'esistenza di un fenomeno anomalo.
Jefferys illustra questo punto utilizzando una parte dei dati raccolti
da Jahn. A seconda delle ipotesi formulate a priori, l'analisi Bayesiana
dei dati di Jahn potrebbe addirittura indurre ad essere piuttosto
scettici.In conclusione, cio' che Jahn ed altri devono fare e'
innanzitutto un esperimento ben concepito, con previsioni chiare, con
dichiarazioni specifiche circa quanto verra' sottoposto ad esame ed al
numero delle prove, ecc. Poi, se emergono dei risultati, occorre
replicare in modo indipendente gli esperimenti. Successivamente bisogna
cercare di capire che cosa produce gli scostamenti dalla pura
casualita', invece di etichettarli subito come fenomeni psicocinetici, e
poi concretizzare il concetto di psicocinesi in modo da spiegare quegli
scostamenti.Nel frattempo, a causa di carenze metodologiche, di
previsioni malamente definite, e dell'incapacita' di replicare gli
esperimenti da parte di altri studiosi, non ci sono, secondo me, dati
anomali da spiegare. E se anche vi fossero, essi potrebbero puntare
altrettanto bene nella direzione dell'esistenza del dio Giove quanto in
quella della psicocinesi.
Retrocausalità.
Negli ultimi anni un numero crescente
di ricerche ha dimostrato l’esistenza della retrocausalità: situazioni
nelle quali le cause sono collocate nel futuro e l’informazione si muove
a ritroso nel tempo. In questo lavoro si suggerisce di inserire queste
informazioni nei processi decisionali al fine di governare in modo più
efficace ed efficiente il presente. Le dimostrazioni più famose di
retrocausalità sono state prodotte da:
• PEAR (Princeton
Engineering Anomalies Research) che, studiando l’interazione
mente/macchina, ha dimostrato la possibilità di modificare l’andamento
di generatori di numeri causali con la semplice intenzionalità (Jahn e
Dunne 2005). In questi esperimenti
l’interazione anomala
mente-macchina risulta essere più marcata nella modalità retrocausale
PRP (Precognitive Remote Perception), raggiungendo una significatività
(rischio di errore) di p=0,000002 (Nelson 1988).
•Cognitive
ScienceLaboratori che, studiando stimoli fortemente emotivi, ha scoperto
l’esistenza di una riposta cutanea anticipata di 3 secondi (James
2003), con significatività statistica (rischio di errore) di p=0,00054.
•
Radin e Bierman (1997) i quali dimostrano che la risposta anticipata
del sistema nervoso autonomo e la conduzione cutanea possono essere
utilizzati come predittori di esperienze future.
• Parkhomtchouck (2002) che utilizza la fMRI (functional magnetic resonance imaging) per studiare la retrocausalità.
Tutte
queste ricerche hanno mostrato che le emozioni costituiscono il veicolo
principe della retrocausalità e delle informazioni che provengono dal
futuro. Alle stesse conclusioni era giunto Luigi Fantappiè quando, nel
1942, trovò il collegamento tra soluzione negativa dell’equazione di
Dirac, sintropia ed emozioni (Fantappiè 1993).Chris King (1989) lega la
retrocausalità al libero arbitrio e afferma che in ogni momento la vita
deve scegliere tra le informazioni che provengono dal passato e le
informazioni che provengono dal futuro. Secondo King, da questa attività
costante di scelta, da questo indeterminismo di base, nasce
l’apprendimento e la coscienza. King sottolinea che la coscienza
soggettiva è una necessaria conseguenza della supercausalità che nasce
dall’unione della casualità ordinaria con la retrocausalità. (King
2003).
“Parecchi indizi rilevati nei nostri studi sulle
anomalie fisiche dipendenti dalla coscienza suggeriscono che i
meccanismi che sottendono la loro espressione sono associati a processi
biologici inconsci più che a quelli cognitivi. Essi includono la
mancanza di evidenza a favore di un apprendimento da ripetute
esperienze; la diffusa presenza di effetti di posizione seriale
chiaramente associati alla dimensione soggettiva inconscia; le
differenze di genere; la suscettibilità alla distorsione da
comportamenti casuali in esperimenti privi di intenzione; i frequenti
resoconti dei partecipanti sulla loro maggiore capacità di ottenere
risultati quando non tentano coscientemente di ottenere buoni risultati;
gli apparenti effetti di risonanza interpersonale; e i risultati
ottenuti con animali.”
Brenda Dunne (PEAR Manager)
Fonte: Scienza e Mistero: Universo,Energia,Psiche,Mente,Materia,Spazio,Tempo,Gravita.
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