Nessuno capisce che il grado del sapere d'un uomo è una funzione del grado del suo essere.
Quando il sapere surclassa eccessivamente l'essere, diviene teorico, astratto... può diventare addirittura nocivo, perché, invece di servire la vita e di aiutare la gente nella lotta contro le difficoltà, un sapere di questo tipo comincia a spiegare tutto: perciò può arrecare soltanto difficoltà nuove, nuovi guai e calamità d'ogni genere che prima non esistevano.
Biografia
Il nome di Georges Ivanovitch Gurdjieff è stato circondato da leggende fantastiche. In realtà la sua vita è quella d'un uomo interamente consacrato alla ricerca di una conoscenza perduta e all'arduo compito di farla rivivere ai nostri giorni.
Nacque ad Alexandropol, in Russia, vicino alla frontiera persiana, nel 1877. La sua famiglia era di origine greca. Suo padre, allevatore di grandi mandrie, aveva ereditato la tradizione orale di un'antichissima cultura, e grazie a lui l'infanzia di G. I. Gurdjieff fu tutta impregnata di racconti e poemi di un lontano passato. Distintosi ben presto agli occhi dell'arciprete della cattedrale di Kars, egli fu anche in seguito guidato da uomini capaci di risvegliare in lui il gusto dei valori essenziali, e ricevette insieme una formazione scientifica moderna e una profonda educazione religiosa. Nella zona a sud del Caucaso, dove la mescolanza di vari popoli russi, greci, iraniani, tartari, armeni, porta all'incrocio di civiltà e costumi diversi, numerosi avvenimenti lo convinsero che in passato era esistita una conoscenza reale dell'uomo e della natura, la cui traccia era stata cancellata e tuttavia doveva ancora essere possibile ritrovarla. Tutta la sua esistenza fu orientata da tale convinzione, ed egli si prodigò a condividerla con uomini animati dal suo stesso desiderio di comprendere il senso della vita umana. Coi "Cercatori di Verità", che annoveravano fra l'altro geografi, archeologi e medici, G. I. Gurdjieff, superando inaudite difficoltà, riuscì ad entrare in contatto con alcune comunità isolate d'Africa, del Medio Oriente e dell'Asia Centrale, e a raccogliere in seno ad esse frammenti sparsi di un insegnamento tradizionale. Poi, sottomettendosi al fuoco delle più rigorose discipline interiori, riuscì a viverli e a ricostruire per sé l'unità della conoscenza che cercava. Nel 1912, un uomo completamente diverso sbarca in Europa. Un nuovo compito lo attende: dove trovare i mezzi con cui trasmettere questa conoscenza, creando le condizioni in cui altri possano farne a loro volta l'esperienza. Ha circa quarant'anni. A Mosca prima, poi a Pietroburgo, intorno a lui si formano gruppi di uomini in ricerca. Uno dei suoi primi allievi, P. D. Ouspensky, avrebbe in seguito testimoniato, nel libro "Frammenti di un insegnamento sconosciuto", del valore di quello che Gurdjieff portava: "Non si tratta di un mosaico, come sono tutti gli altri sistemi filosofici, ma di un tutto indivisibile". La guerra prima, poi la rivoluzione, lo spinsero a spostare in Francia la sua residenza. Egli vi si stabilì nel 1922 al Prieuré di Avon, vicino a Fontainebleau, dove raccolse numerosi allievi, specialmente inglesi e americani. Nel 1924 un grave incidente d'automobile lo costrinse a cambiare l'orientamento della sua attività; ed egli decise di scrivere una serie di opere, e di tenere al suo fianco solo un piccolissimo gruppo di allievi. Morì il 29 ottobre 1949 all'Ospedale Americano di Neuilly; ma il suo pensiero era stato trasmesso e la conoscenza per cui egli aveva lottato continuava a vivere.
Clicca sul link per vedere il video:
http://www.youtube.com/watch?v=M3fc_qpMHKc&list=PL6FD8B46E0F8A188E
"Stati di coscienza" Gurdjieff
da "frammenti di un insegnamento sconosciuto" di P.D. Ouspensky - Casa Editrice Astrolabio
Le
funzioni psichiche e le funzioni fisiche non possono essere comprese
fintanto che non sia compreso che le une e le altre possono lavorare in
differenti stati di coscienza.
Vi sono quattro stati di coscienza possibili per l'uomo. Ma l'uomo
ordinario, in altri termini, l'uomo 1, 2 o 3 non vive che negli stati di
coscienza più bassi. I due stati di coscienza superiori gli sono
inaccessibili, e benché egli possa averne coscienza a sprazzi, è
incapace di comprenderli e li giudica dal punto di vista dei due stati
di coscienza inferiori che gli sono abituali.
Il primo, il sonno, è lo stato passivo nel quale gli uomini trascorrono un terzo e sovente anche la metà della loro vita.
Il secondo, nel quale passano l'altra metà della loro vita, è quello stato in cui camminano per le strade, scrivono libri, discutono di soggetti sublimi, si occupano di politica, si ammazzano a vicenda: è uno stato che considerano attivo e chiamano "coscienza lucida", o "stato di veglia" della coscienza. Queste espressioni di "coscienza lucida" o "stato di veglia della coscienza" sembrano essere formulate per scherzo, specialmente se ci si rende conto di ciò che dovrebbe essere una "coscienza lucida" e di ciò che è in realtà lo stato nel quale l'uomo vive e agisce.
Il terzo stato di coscienza è il ricordarsi di sé, o coscienza di se, coscienza del proprio essere. E' generalmente ammesso che noi possediamo questo stato di coscienza o che possiamo averlo a volontà. La nostra scienza e la nostra filosofia non hanno visto che noi non possediamo questo stato di coscienza e che il nostro desiderio è incapace di crearlo in noi, per quanto ferma possa essere la nostra decisione.
Il
quarto stato di coscienza è la coscienza obiettiva. In questo stato,
l'uomo può vedere le cose come sono. Talvolta, negli stati inferiori di
coscienza, egli può avere dei barlumi di questa coscienza superiore. Le religioni di tutti i popoli contengono testimonianze sulla possibilità di tale stato di coscienza, che viene definito "illuminazione",
o con altri differenti nomi, ma che non può essere descritto con
parole. Ma l'unica strada giusta verso la coscienza obiettiva passa
attraverso lo sviluppo della coscienza di se. Un uomo ordinario,
artificialmente portato in uno stato di coscienza obiettiva e poi
riportato nel suo stato abituale, non ricorderà nulla e penserà
semplicemente di aver perso conoscenza per un certo tempo. Ma, nello
stato di coscienza di se, l'uomo può avere degli sprazzi di coscienza
obiettiva e conservarne il ricordo.
Il quarto stato di coscienza è uno stato del tutto diverso dal
precedente; esso è il risultato di una crescita interiore e di un lungo e
difficile lavoro su di se.
IL terzo stato di coscienza, invece, costituisce il diritto naturale
dell'uomo quale egli è, e, se l'uomo non lo possiede, è unicamente
perché le sue condizioni di vita sono anormali. Senza esagerazione
alcuna, si può dire che attualmente il terzo stato di coscienza non
appare nell'uomo che a tratti molto brevi e molto rari e che non è
possibile renderlo più o meno permanente senza un allenamento speciale.
Per la maggior parte delle persone, anche se colte e ragionevoli, il
principale ostacolo sulla via della acquisizione della coscienza di se è
che credono di possederlo; in altri termini, sono del tutto convinti di
avere già la coscienza di se stessi e di possedere tutto ciò che
accompagna questo stato: l'individualità, nel senso di un "Io"
permanente e immutabile, la volontà, la capacità di fare, e così via.
Ora, è evidente che un uomo non avrà interesse ad acquisire con un lungo
e difficile lavoro una cosa che, a parer suo, possiede già. Al
contrario, se gliene parlate, penserà che siete pazzo, o che tentiate di
approfittare della sua credulità per vostro vantaggio personale.
I due stati di coscienza superiori, la 'coscienza di se e la
"coscienza obiettiva", sono legati al funzionamento dei centri superiori
dell'uomo.
Infatti, oltre ai centri dei quali abbiamo già parlato, ne esistono
altri due, il "centro emozionale superiore" ed il "centro intellettuale
superiore". Questi centri sono in noi; essi sono completamente
sviluppati e lavorano ininterrottamente, ma il loro lavoro non riesce
mai a raggiungere la nostra coscienza ordinaria. La ragione di questo
risiede nelle proprietà speciali della nostra cosiddetta "coscienza
lucida".
Per comprendere quale è la differenza tra gli stati di coscienza
bisogna tornare al primo stato, che è il sonno. Questo è uno stato di
coscienza interamente soggettivo. L'uomo è immerso nei suoi sogni, poco
importa che ne conservi o meno il ricordo. Anche se qualche impressione
reale raggiunge il dormiente, come suoni, voci, calore, freddo,
sensazione del proprio corpo, esse non risvegliano in lui che immagini
soggettive fantastiche. Poi l'uomo si sveglia. A prima vista, questo è
uno stato di coscienza completamente diverso. Egli può muoversi, parlare
con altre persone, fare dei progetti, vedere dei pericoli, evitarli, e
così di seguito. Sarebbe ragionevole pensare che si trovi in una
situazione migliore di quando era addormentato. Ma se vediamo le cose un
po' più a fondo, se gettiamo uno sguardo sul suo mondo interiore, sui
suoi pensieri, sulle cause della sue azioni, comprendiamo che egli è
pressoché nello stesso stato in cui era quando dormiva. E anche peggio,
perché nel sonno egli è passivo, cioè non può fare nulla. Nello stato di
veglia, al contrario, egli può agire continuamente e i risultati delle
sue azioni si ripercuoteranno su di lui e sulle persone intorno a lui.
Eppure, non si ricorda di se stesso. Egli è una macchina, tutto gli
succede. Egli non può fermare il flusso dei suoi pensieri, non può
controllare la sua immaginazione, le sue emozioni, la sua attenzione.
Vive in un mondo soggettivo di "amo", "non amo", "mi piace", "non mi
piace", "ho voglia", "non ho voglia", cioè in un mondo fatto di ciò che
crede di amare o non amare, di desiderare o non desiderare.
Non vede il mondo reale.
Esso gli è nascosto dal muro della sua immaginazione.
Egli vive nel sonno. Dorme.
Quello che chiama la sua "coscienza lucida" non è che sonno, e un
sonno molto pericoloso del suo sonno, la notte, nel suo letto.
"La Quarta Via" Gurdjieff
brano tratto da "Frammenti di un insegnamento sconosciuto"
di P. D. Ouspensky - edizioni Astrolabio
Gurdjieff: In verità, soltanto
l’uomo che possieda i quattro corpi completamente sviluppati può essere
chiamato Uomo nel pieno senso della parola. Così, l’uomo compiuto
possiede numerose proprietà che l’uomo ordinario non possiede. Una di
queste proprietà è l’immortalità. Tutte le religioni
e tutti gli insegnamenti antichi contengono l’idea che con
l’acquisizione del quarto corpo l’uomo acquista l’immortalità; e tutte
indicano delle vie per acquisire il quarto corpo, ossia l’immortalità.
In relazione a ciò, alcuni insegnamenti paragonano l’uomo ad una
casa di quattro stanze. L’uomo vive in una sola, la più piccola e la più
povera di tutte, senza supporre minimamente, fino a quando non glielo
si dice, l’esistenza delle altre, che sono piene di tesori. Quando egli
ne sente parlare, incomincia a cercare le chiavi di queste stanze, e
specialmente della quarta, la più importante. E quando un uomo ha
trovato il mezzo di penetrarvi, diventa realmente il padrone della sua
casa, perchè è soltanto allora che la casa gli appartiene completamente e
per sempre.
La quarta stanza dà all’uomo l’immortalità e tutti gli
insegnamenti religiosi si sforzano di indicargli il cammino verso di
essa. Vi è un grandissimo numero di strade, più o meno lunghe, più o
meno dure, ma tutte, senza eccezione, conducono o cercano di condurre in
una stessa direzione, che è quella dell’immortalità.
L’immortalità non è una proprietà con la quale l’uomo nasce, ma
una proprietà che può essere acquisita. Tutte le vie che conducono
all’immortalità, quelle che sono generalmente conosciute e le altre,
possono essere ripartite in tre categorie:
1. La via del fachiro.
2. La via del monaco.
3. La via dello yogi.
La via del fachiro è quella della lotta con il corpo fisico, è lunga, difficile e incerta. Il fachiro si sforza di sviluppare la volontà fisica, il potere sul corpo. Egli vi riesce attraverso terribili sofferenze, torturando il corpo. Tutta la via del fachiro è fatta di esercizi fisici incredibilmente penosi. Egli sta in piedi, nella medesima posizione, senza un movimento, per ore, giorni, mesi o anni; oppure siede con le braccia tese, su un nudo sasso, al sole, alla pioggia, alla neve; oppure si infligge il supplizio del fuoco o quello del formicaio in cui egli tiene le gambe nude, e così via. Se non cade ammalato o non muore, si sviluppa in lui ciò che può essere chiamato volontà fisica ed egli raggiunge allora la possibilità di formare il quarto corpo. Ma le altre sue funzioni, emozionali e intellettuali, rimangono non sviluppate. Egli ha conquistato la volontà, ma non possiede niente cui applicarla, non può farne uso per acquistare la conoscenza o perfezionare se stesso. In generale, è troppo vecchio per cominciare un lavoro nuovo.
Ma dove vi sono scuole di fachiri, si trovano pure scuole di yogi.
Generalmente gli yogi non perdono di vista i fachiri. E allorché‚ un
fachiro raggiunge ciò a cui aspirava, prima di essere troppo vecchio,
essi lo prendono in una delle loro scuole, dove per prima cosa lo curano
e ricreano in lui il potere di movimento, dopo di che incominciano ad
istruirlo. Un fachiro deve imparare di nuovo a parlare e a camminare
come un bimbo piccolo. Ma egli possiede ora una volontà che ha superato
difficoltà incredibili e che potrà aiutarlo a superare le difficoltà che
l'attendono ancora nella seconda parte del suo cammino, allorché‚ si
tratterà di sviluppare le sue funzioni intellettuali ed emozionali.
Non potete immaginarvi le prove alle quali si sottomettono i fachiri.
Non so se voi abbiate mai visto veri fachiri. Io ne ho incontrati
molti; mi ricordo di uno di essi che viveva nel cortile interno di un
tempio indiano; ho perfino dormito al suo fianco. Giorno e notte, per
vent'anni, egli si era tenuto sulla punta delle dita dei piedi e delle
mani. Non era più capace di raddrizzarsi ne‚ di spostarsi. I suoi
discepoli lo portavano a braccia, lo conducevano al fiume dove lo
lavavano come un oggetto. Ma un tale risultato non si ottiene in un
giorno. Pensate a tutto ciò che aveva dovuto superare, alle torture che
aveva dovuto subire per raggiungere quel grado.
E un uomo non diventa fachiro per sentimento religioso, o perché‚ egli comprenda le possibilità e i risultati di questa via. In tutti i paesi d'Oriente dove esistono fachiri, il popolino ha l'usanza di votare ai fachiri un ragazzo nato dopo qualche avvenimento felice. Accade anche che i fachiri adottino degli orfani o acquistino i figli di povera gente. Questi bambini diventano loro allievi e li imitano di buon grado, o vi sono costretti; alcuni lo fanno solo esteriormente, ma altri col tempo diventano realmente fachiri.
Si aggiunga che altri seguono questa via semplicemente per essere stati colpiti dallo spettacolo di qualche fachiro. Accanto a tutti i fachiri che si possono vedere nei templi, si trovano persone che li imitano, sedute o in piedi, nella stessa posizione. Costoro non lo fanno a lungo, certamente, ma a volte per parecchie ore. E accade anche che un uomo, entrato per caso in un tempio in un giorno di festa, dopo aver cominciato ad imitare qualche fachiro che l'aveva particolarmente impressionato, non ritorni a casa mai più ma si aggiunga alla folla dei suoi discepoli; più tardi, col passare del tempo diventerà anche lui un fachiro. Capirete che io in questi casi non do più alla parola 'fachiro' il suo senso proprio. In Persia, la parola fachiro indica semplicemente un mendicante; in India. i giocolieri, i saltimbanchi sono soliti chiamare se stessi fachiri. Gli europei, soprattutto gli europei istruiti, danno molto spesso il nome di fachiro agli yogi come pure a monaci erranti di diversi ordini.
Ma in realtà la via del fachiro, la via del monaco e la via dello yogi sono completamente differenti. Non ho parlato finora che dei fachiri.
Questa è la prima via.
La seconda è quella del monaco.
È la via della fede, del sentimento religioso e del sacrificio. Un uomo
che non abbia fortissime emozioni religiose e una immaginazione
religiosa molto intensa non può diventare un monaco nel vero senso della
parola. Pure la via del monaco è molto dura e molto lunga. Il monaco
passa degli anni, decine di anni a lottare contro se stesso, ma tutto il
suo lavoro è concentrato sul secondo corpo, ossia sui sentimenti.
Sottomettendo tutte le altre emozioni a una sola emozione, la fede, egli
sviluppa in se stesso l'unità, la volontà sulle emozioni. Ma il suo
corpo fisico e le sue capacità intellettuali possono restare non
sviluppate. Per essere in grado di servirsi di ciò che egli avrà
raggiunto, dovrà coltivarsi fisicamente e intellettualmente. Questo non
potrà essere condotto a buon fine se non mediante nuovi sacrifici, nuove
austerità, nuove rinunce. Un monaco deve ancora diventare uno yogi e un
fachiro. Rarissimi sono coloro che arrivano così lontano; più rari sono
ancora coloro che superano tutte le difficoltà. La maggior parte
muoiono prima o non diventano monaci che in apparenza.
La terza via è quella dello yogi.
É la via della conoscenza, la via dell'intelletto. Lo yogi riesce a
sviluppare il suo intelletto, ma il suo corpo e le sue emozioni restano
da sviluppare e, come il fachiro ed il monaco, egli è incapace di trarre
profitto da ciò che ha realizzato. Egli sa tutto, ma non può fare
nulla. Per diventare capace di fare deve conquistare il dominio sul suo
corpo e sulle sue emozioni. Per riuscirvi, deve rimettersi al lavoro ed
egli non otterrà alcun risultato se non con degli sforzi prolungati.
Però in questo caso ha il vantaggio di comprendere la sua posizione, di
conoscere ciò che gli manca, ciò che deve fare e la direzione da
seguire. Ma, come sulla via del fachiro e del monaco, rarissimi sono
coloro che acquistano una tale conoscenza sulla via dello yogi, ossia
raggiungono il livello in cui un uomo può sapere dove va. La maggior
parte si arrestano ad un certo grado e non vanno oltre.
Le vie si differenziano l'una dall'altra anche nella loro relazione con il maestro o guida spirituale.
Sulla via del fachiro un uomo non ha maestro nel vero senso di questa parola. Il maestro in questo caso non insegna, serve semplicemente da esempio. Il lavoro dell'allievo consiste nell'imitare il maestro.
L'uomo che segue la via del monaco ha un maestro, e una parte dei suoi doveri, una parte del suo compito, è di avere nel suo maestro una fede assoluta, egli deve sottomettersi assolutamente a lui, in obbedienza. Ma l'essenziale sulla via del monaco è la fede in Dio, l'amore di Dio, gli sforzi ininterrotti per obbedire a Dio e servirlo, anche se nella sua comprensione dell'idea di Dio e del servizio di Dio può esservi una grande parte di soggettività e molte contraddizioni.
Sulla via dello yogi senza un maestro non si può fare nulla e non si deve fare nulla. L'uomo che abbraccia questa via deve, all'inizio, imitare il suo maestro come il fachiro e credere in lui come il monaco. Ma in seguito diviene gradualmente il maestro di se stesso. Egli impara i metodi del suo maestro e si esercita gradualmente ad applicarli a se stesso.
Ma tutte le vie, la via del fachiro come le vie del monaco e dello yogi hanno un punto comune: tutte incominciano da ciò che vi è di più difficile, un cambiamento di vita totale, una rinuncia a tutto ciò che è di questo mondo. Un uomo che ha una casa, una famiglia, deve abbandonarle, deve rinunciare a tutti i piaceri, attaccamenti e doveri della vita, e partire per il deserto, entrare in un monastero o in una scuola di yogi. Fin dal primo giorno, dai primi passi sulla via egli deve morire al mondo; soltanto così egli può sperare di raggiungere qualcosa su una di queste vie.
In una vita ordinaria, per quanto colma di interessi filosofici, scientifici, religiosi o sociali, non vi è nulla e non può esservi nulla che offra le possibilità contenute nelle vie. Infatti, esse conducono o potrebbero condurre l'uomo all'immortalità. La vita mondana, anche la più riuscita, conduce alla morte e non potrebbe condurre a nient'altro. L'idea delle vie non può essere compresa, se si ammette la possibilità di un'evoluzione dell'uomo senza il loro aiuto.
Per cogliere l’essenza di questo insegnamento, è indispensabile comprendere che le vie sono gli unici metodi che possono garantire lo sviluppo delle possibilità nascoste dell’uomo. Ciò mostra d’altronde come un tale sviluppo sia raro e difficile. Lo sviluppo di queste possibilità non è una legge. La legge per l’uomo è una esistenza nel cerchio delle influenze meccaniche., è lo stato di "uomo macchina". La via dello sviluppo delle possibilità nascoste è una via contro la natura, contro Dio. Ciò spiega le difficoltà e il carattere esclusivo delle vie. Esse sono ardue e strette. Ma al tempo stesso nulla potrebbe essere raggiunto senza di esse. Nell’oceano della vita ordinaria, e specialmente della vita moderna, le vie sono un fenomeno piccolo, appena percettibile, che, dal punto di vista della vita stessa, non ha la minima ragione di essere. Ma questo piccolo fenomeno contiene in se stesso tutto ciò di cui l’uomo può disporre per lo sviluppo delle sue possibilità nascoste. Le vie si oppongono alla vita di tutti i giorni, basata su altri principî e assoggettata ad altre leggi. In ciò consiste il loro potere e il loro significato. In una vita ordinaria, per quanto colma di interessi filosofici, scientifici, religiosi o sociali, non vi è nulla e non può esservi nulla che offra le possibilità contenute nelle vie. Infatti, esse conducono o potrebbero condurre l’uomo all’immortalità. La vita mondana, anche la più riuscita, conduce alla morte e non potrebbe condurre a nient’altro. L’idea delle vie non può essere compresa, se si ammette la possibilità di una evoluzione dell’uomo senza il loro aiuto.
Come regola generale, è duro per un uomo rassegnarsi a quest'idea; essa gli pare esagerata, ingiusta e assurda. Egli ha una povera comprensione del senso della parola 'possibilità. Si immagina che, se vi sono delle possibilità in lui, debbano svilupparsi e che debbano pur esserci dei mezzi di sviluppo alla sua portata. Da un totale rifiuto di riconoscere in se stesso qualsiasi genere di possibilità, l'uomo, in generale, passa immediatamente a un'esigenza imperiosa del loro sviluppo inevitabile. É difficile per lui abituarsi all'idea che non soltanto le sue possibilità possono restare al loro stadio attuale di sottosviluppo, ma che esse possono atrofizzarsi definitivamente e che d'altra parte il loro sviluppo esige da lui sforzi prodigiosi e perseveranti. In generale, se noi consideriamo le persone che non sono né fachiri, né monaci, né yogi, e delle quali possiamo affermare con sicurezza che non lo saranno mai, siamo in grado di affermare con certezza assoluta che le loro possibilità non possono svilupparsi e non saranno mai sviluppate. É indispensabile persuadersene profondamente per comprendere ciò che sto per dire.
Nelle condizioni ordinarie della vita civilizzata, la situazione di un uomo, anche intelligente, che cerca la conoscenza, è senza speranza, poiché‚ egli non ha la minima possibilità di trovare attorno a se‚ qualcosa che somigli ad una scuola di fachiri o ad una scuola di yogi; quanto alle religioni dell'occidente, esse sono degenerate a tal punto che da molto tempo non vi è più nulla di vivente in esse. Infine dall'occultismo o dallo spiritismo non c'è altro da aspettarsi che qualche ingenua esperienza.
E la situazione sarebbe veramente disperata se non esistesse un'altra possibilità, quella di una quarta via.
La quarta via non richiede che ci si ritiri dal mondo, non esige la rinuncia a tutto ciò che formava la nostra vita. Essa comincia molto più lontano che non la via dello yogi. Ciò significa che bisogna essere preparati per impegnarsi sulla quarta via e che questa preparazione deve essere acquisita nella vita ordinaria, essere molto seria e abbracciare parecchi aspetti differenti. Inoltre un uomo che vuole seguire la quarta via deve riunire nella sua vita condizioni favorevoli al lavoro, o che in ogni caso non lo rendano impossibile.
Infatti, bisogna convincersi che sia nella vita esteriore che nella vita interiore di un uomo, certe condizioni possono costituire per la quarta via barriere insormontabili. Aggiungiamo che questa via, contrariamente a quella del fachiro, del monaco e dello yogi, non ha una forma definita. Prima di tutto essa deve essere trovata. É la prima prova. Ed è difficile, poiché‚ la quarta via è ben lontana dall'essere conosciuta quanto le altre tre vie tradizionali. C'è molta gente che non ne ha mai sentito parlare ed altri che negano semplicemente la sua esistenza o anche la sua possibilità.
Tuttavia, l'inizio della quarta via è ben più facile dell'inizio delle vie del fachiro, del monaco e dello yogi. É possibile seguire la quarta via e lavorare su di essa rimanendo nelle condizioni abituali di vita e continuando il lavoro usuale, senza rompere le relazioni che si avevano con la gente, senza abbandonare nulla. Anzi, le condizioni di vita nelle quali un uomo si trova quando inizia il lavoro - dove il lavoro, per così dire, lo sorprende - sono le migliori possibili per lui, perlomeno all'inizio. Infatti, queste condizioni gli sono naturali. Esse sono quell'uomo stesso, poiché‚ la vita di un uomo e le sue condizioni corrispondono a ciò che egli è. La vita le ha create sulla sua misura; di conseguenza ogni altra condizione sarebbe artificiale e il lavoro non potrebbe, in questo caso, toccare contemporaneamente tutti i lati del suo essere.
Così la quarta via tocca tutti i lati dell’essere umano simultaneamente. È il lavoro sulle tre camere contemporaneamente. Il fachiro lavora sulla prima camera, il monaco sulla seconda, lo yogi sulla terza. Quando raggiungono la quarta camera, il fachiro, il monaco e lo yogi lasciano dietro di sè molte cose incompiute e non possono fare uso di ciò che hanno raggiunto, poichè non sono padroni di tutte le loro funzioni. Il fachiro è padrone del suo corpo, ma non delle emozioni, né dai pensieri; il monaco è padrone delle sue emozioni, ma non del corpo, né del suo pensiero; lo yogi è padrone del suo pensiero, ma non del corpo, né delle emozioni.
La quarta via differisce dunque dalle altre in quanto la sua principale richiesta è una richiesta di comprensione. L'uomo non deve fare nulla senza comprendere - salvo a titolo di esperienza - sotto il controllo e la direzione del suo maestro. Più un uomo comprenderà quello che fa, più i risultati dei suoi sforzi saranno validi. É un principio fondamentale della quarta via. I risultati ottenuti nel lavoro sono proporzionali alla coscienza che si ha di questo lavoro. La fede non è richiesta su questa via; al contrario, la fede di qualsiasi tipo costituisce un ostacolo. Sulla quarta via un uomo deve assicurarsi da se‚ la verità di ciò che gli viene detto. E fin quando non avrà acquisito questa certezza, non deve fare nulla.
Il metodo della quarta via è il
seguente: mentre si lavora sul corpo fisico, bisogna lavorare
simultaneamente sul pensiero e sulle emozioni; lavorando sul pensiero,
bisogna lavorare sul corpo fisico e sulle emozioni; mentre si lavora
sulle emozioni, occorre lavorare sul pensiero e sul corpo fisico. Ciò
che permette di riuscire è la possibilità, nella quarta via, di fare uso
di un sapere particolare, inaccessibile nelle vie del fachiro, del
monaco e dello yogi. Questo sapere rende possibile un lavoro simultaneo
nelle tre direzioni. Tutta una serie di esercizi paralleli sui tre
piani: fisico, mentale ed emozionale, servono a questo scopo.
Inoltre, nella quarta via è possibile individualizzare il lavoro di
ciascuno; vale a dire, ogni persona deve fare solo ciò che gli è
necessario e nulla che sia inutile per lui. Infatti, la quarta via fa a
meno di tutto il superfluo che si è mantenuto per tradizione nelle altre
vie.
Così, allorché‚ un uomo raggiunge la volontà mediante la quarta via, egli può servirsene, poiché‚ ha acquistato il controllo di tutte le sue funzioni fisiche, emozionali ed intellettuali. Egli ha risparmiato per giunta molto tempo con questo lavoro simultaneo e parallelo sui tre lati del suo essere.
La quarta via è talvolta chiamata
la via dell’uomo astuto. "L’uomo astuto" conosce un segreto che il
fachiro, il monaco e lo yogi non conoscono. In che modo "l’uomo astuto"
abbia appreso questo segreto, non si sa. Forse l’ha trovato in qualche
vecchio libro, forse l’ha ereditato, forse l’ha comperato, forse l’ha
rubato a qualcuno. Fa lo stesso. L’uomo astuto conosce il segreto, e con
il suo aiuto supera il fachiro, il monaco, lo yogi.
"Il fachiro è, tra i quattro, colui che opera nella maniera più
grossolana; sa pochissimo e comprende pochissimo. Supponiamo che egli
riesca, dopo un mese di intense torture, a sviluppare una certa energia,
una certa sostanza che produca in lui determinati cambiamenti. Egli lo
fa assolutamente all’oscuro, ad occhi chiusi, non conoscendo ne lo
scopo, ne i metodi, ne i risultati, semplicemente per imitazione.
Il monaco sa un po’ meglio ciò che vuole; è guidato dal sentimento religioso, dalla tradizione religiosa, da un desiderio di compiutezza, di salvezza; egli ha fede nel maestro che gli dice ciò che deve fare e crede che i suoi sforzi ed i suoi sacrifici "piacciano a Dio". Supponiamo che in una settimana di digiuni, di continue preghiere, di privazioni e di penitenze, riesca a raggiungere ciò che il fachiro non aveva potuto sviluppare in sé che in un mese di torture.
Lo yogi ne sa molto di più. Sa ciò
che vuole, sa perchè lo vuole, sa come può ottenerlo. Egli sa per
esempio che, per arrivare al suo scopo, deve sviluppare in sè una certa
sostanza. Egli sa che questa sostanza può essere prodotta in un giorno
mediante un certo tipo di esercizio mentale o mediante una
concentrazione intellettuale. Così per un giorno intero, senza
permettersi una sola idea estranea, tiene l’attenzione fissa sopra
questo esercizio ed ottiene ciò di cui ha bisogno. In questa maniera uno
yogi riesce a raggiungere in un giorno la stessa cosa che il monaco
raggiunge in una settimana, e il fachiro in un mese.
Bisogna ancora notare che oltre a queste vie giuste e legittime,
vi sono anche vie artificiali che non danno che risultati temporanei e
vie decisamente sbagliate che possono anche dare risultati permanenti,
ma nefasti. Pure su queste vie l’uomo cerca la chiave della quarta
stanza e qualche volta la trova. Ma ciò che trova nella quarta stanza,
non ci è dato sapere.
Accade anche che la porta della quarta stanza venga aperta
artificialmente con un grimaldello e in entrambi i casi è possibile che
la stanza sia vuota".
FONTE: http://www.riflessioni.it/enciclopedia/gurdjieff.htmTi potrebbe interessare:
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