"Un Uomo Nuovo"
“Chi
ha manipolato e radicalmente (antropologicamente) mutato le grandi
masse contadine ed operaie italiane è un nuovo potere che mi è difficile
definire, ma di cui sono certo che è il più violento e totalitario che
ci sia mai stato: esso cambia la natura della gente, entra nel più
profondo delle coscienze. Dunque, sotto le scelte coscienti, c’è una
scelta coatta, ‘ormai comune a tutti gli italiani’: la quale ultima non
può che deformare le prime”.
Ancora:
“La
responsabilità della televisione in tutto questo è enorme. Non certo in
quanto ‘mezzo tecnico’, ma in quanto strumento di Potere e Potere essa
stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi.
E’ il luogo dove si fa concreta una mentalità che altrimenti non si
saprebbe dove collocare. E’ attraverso lo spirito della televisione che
si manifesta in concreto lo spirito del nuovo Potere”.
Dal
1973 al 1975, dalle colonne del Corriere della Sera, Pier Paolo
Pasolini portò il suo attacco violento, lucido e viscerale alla “società
dei consumi” e al “motore” della stessa, ossia il “sistema
dell’informazione” in particolare televisivo, attraverso una serie di
articoli raccolti poi nel volume “Scritti corsari” pubblicato postumo da Garzanti.
In questi decenni, quell’accorata, dolorosa denuncia di come stesse evolvendo il costume di un’intera collettività e di come sarebbe evoluto (“…la
televisione diventerà ancora più potente e la violenza del suo
bombardamento ideologico non avrà più limiti. La forma di vita - sotto
culturale, qualunquista e volgare -, descritta e imposta dalla
televisione, non avrà più alternative”), non ha prodotto né
consapevolezza culturale, né positive e diverse strategie politiche,
anzi! (e non avrebbe potuto essere più indicativa e rivelatrice
l’asserzione del “Poeta di Casarsa” secondo il quale “il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia”). Dunque un “popolo degenerato, ridicolo, mostruoso e criminale”,
manipolato e condizionato da una “classe dirigente” corrotta, senza
etica, immorale e soprattutto da una TV ormai indecente (anche nelle sue
moltiplicazioni programmatiche seguite al duopolio pubblico-privato).
Le
constatazioni-previsioni di Pasolini hanno retto nel tempo, almeno nei
loro aspetti formali più percepibili, ma c’è qualcosa in più, di diverso
o perverso, inaspettato e - per certi aspetti - di tragico ed orrendo.
Per cercare di spiegarlo, mi sono utili - come premessa - le conclusioni
dell’intervento del Prof. Gian Paolo Gri (ordinario di antropologia
culturale all’università di Udine) al convegno nazionale su “Pasolini e la televisione”
alla fine del 2009, i cui atti nel 2011 sono confluiti poi nell’omonimo
volume a cura diAngela Felice, direttrice del “Centro studi
P.P.Pasolini” di Casarsa della Delizia: “Nella
riflessione di molti antropologi (Jack Goody, ad esempio, in dialettica
con Levi-Strauss), la trasformazione prima e originaria dal selvaggio all’addomesticato
avrebbe il suo fondamento nella prima rivoluzione che investì i
processi di comunicazione delle società umane, con l’invenzione delle
scritture. Proprio su questa linea è coerente l’enfasi di Pasolini (così
come di altri intellettuali critici della televisione, del resto) sul
peso che la rivoluzione comunicativa operata dallaTv avrebbe avuto
nell’ambito della seconda e radicale rivoluzione culturale che ha retto
il nuovo passaggio “entropico” (solo sviluppo, nessun progresso) dalla domesticazione al consumismo.
Una rivoluzione che non investe più soltanto la parola (da orale a
scritta, a nuovamente orale, ma di una “oralità secondaria”), ma la
relazione parola/immagine: combinazione ben più potente ed efficace nei
processi di trasmissione inconscia di modelli culturali, ora che viene
sottratta all’uso rituale entro il quale fin li era stata confinata e
che garantiva un limite alle voglie e alle capacità di manipolazione.
L’immagine stava nel rito, appunto, inquadrata nella liturgia, nell’arte
religiosa, nel libro, in museo, in teatro, nelle fotografie
incorniciate e appese in casa con il lumino acceso sotto, nella cornice
della sala cinematografica. Con la Tv portata in casa, inserita nel
quotidiano, trasformata in prolungamento automatico del corpo, la
cornice protettiva della ritualità salta e la forza mimetica
dell’immagine (“Il potere delle immagini”
di David Freedberg è del 1958), non ha più barriere difensive che ne
contengano il potere: mano libera ai manipolatori, agli specialisti
delle mezze verità, ai cacciatori di profitti”.
Fin
qui siamo e restiamo nell’ambito - incisivo ma none sauriente -
dell’antropologia ‘sociale’, degli effetti aberranti di una
“manipolazione ideologica” che già Marcuse aveva ben delineato nel suo “L’uomo a una dimensione” e che segna con insistente e perversa quotidianità la nostra vita complessiva; lo ripropongo dall’articolo iniziale “Etica e libertà senza scandalo”: “…Così i meccanismi attraverso cui si determina il comune sentire (le opinioni) di milioni di cittadini (la massa,
non i singoli), sono di fatto “condizionati” (e condizionanti) tanto da
“imporre”, senza apparenti o non percepiti atti d’imperio, un percorso
stravolto (inverso) di rapporti “democratici”, ossia un “flusso”
continuo e ossessivo (di in-formazioni, di messaggi, di modelli, ecc.)
solo dall’alto (la Struttura in-formativa, il Potere)
verso il basso (la massa di cittadini-utenti-consumatori); con un’unica
“concessione” di marca contraria, nella forma “libera, democratica”: le
consultazioni elettorali (i cui risultati, nella sostanza, sono invece
anch’essi frutto di tale enorme “abbraccio mediatico”, perciò
travisati;…)”.
L’attenzione precipua comunque, richiamata dal Prof. Gri, è
sulle “immagini”, per me - nello specifico - intese come “visioni
filmiche” (video) ed è su queste che occorre restare per capire davvero
che cosa sia successo o stia succedendo, oltre l’apparenza formale, come
detto prima, nonché politica e culturale.
Domandiamoci allora: se nella sua evoluzione ‘storica’ l’essere umano ha modificato e modificherà ancora il suo fisico
- adattandolo all’ambiente e alla “qualità” della sua esistenza (con
una capacità insuperabile nel regno animale) -, perché non dovrebbe nel
contempo aver mutato o mutare
anche il suo cervello e, in particolare, i meccanismi di “produzione”
del pensiero? Tale complessa domanda se l’erano già posta alcuni decenni
fa numerosi neuro scienziati che hanno formulato peraltro risposte
ormai assodate: la mente è “plastica”, nel senso che il ‘cervello’
reagisce all’ambiente modificando le proprie “strutture” (le“mappe”
neuroniche), influendo perciò sul comportamento degli individui e sulle
loro facoltà cognitive che - proprio per questo - sono rese ‘uniche’,
nell’apprendimento e nella memoria.
Sul
n.27 dicembre 2011 della rivista “Comunicazione e Filosofia”, un
esauriente saggio del giovane Dott. Gianpaolo Pegoretti analizza gli
studi che negli ultimi anni hanno appunto cercato di “unificare” le
scienze della natura con quella dello spirito, rivendicando il
superamento del dualismo natura-cultura nello studio dei meccanismi
cerebrali che a livello biologico possono interferire - adattandolo -
sul sistema nervoso formato da neuroni
e dalle informazioni che gli stessi si scambiano attraverso segnali
elettrici e sostanze chimiche veicolate da connessioni chiamate sinapsi.
Ricorda Pegoretti. “La
plasticità nel cervello adulto è resa possibile dall’alterazione della
forza sinaptica e secondariamente dalla formazione di nuove connessioni.
La forza sinaptica può essere alterata per periodi di tempo che vanno
da pochi millesimi di secondo a mesi (Purves 2004), le sinapsi sono
soggette a depressione, ossia indebolimento e a potenziamento, sia a
lungo che a breve termine. Le alterazioni a breve termine durano pochi
minuti o meno: la depressione sinaptica, che si ha quando ad un rilascio
di molecole a livello pre-sinaptico corrisponde una diminuita reazione
post-sinaptica, si verifica per fenomeni di abituazione, ossia quando
uno stimolo viene ripetuto in rapida successione, diminuendo la quantità
di molecole che i neuroni possono scambiarsi: sia gli ioni
indispensabili per propagare l’impulso nervoso sia le vescicole
contenenti neurotrasmettitori in grado di modulare l’attività cerebrale
tendono ad esaurirsi. A livello cognitivo questo fenomeno determina la
durata della Working Memory, detta anche memoria immediata, che tende a
deteriorarsi nel giro di secondi: è per questo che c’è bisogno di
ripetere un numero di telefono a mente alcune volte per non dimenticarlo
subito. …Accanto a questa plasticità sinaptica a breve termine esiste
quella a lungo termine. …L’attività combinata di questi due meccanismi sviluppa e riorganizza costantemente le mappe neurali,
ossia strutture complesse formate da gruppi ordinati di sinapsi, la cui
attivazione costituisce le basi neurali del comportamento, delle
disposizioni personali e del pensiero. Tutta l’attività mentale è
espressione di mappe neurali
plasmate dalla loro stessa attività e costantemente soggette all’azione
sia della plasticità a breve termine sia di quella a lungo termine; le
stesse agiscono in numerose regioni cerebrali: nell’ippocampo, nella
corteccia, nel cervelletto e nell’amigdale. La continua formazione e
trasformazione di queste mappe
è il correlato neurale della memoria. La plasticità nell’ippocampo è
critica per la memoria dichiarativa, dalla plasticità corticale
dipendono le memorie procedurali, la plasticità nelle amigdale è
coinvolta nella memoria emotiva, o meglio nel colore emotivo associato
ai ricordi, la plasticità nel cervelletto consente di acquisire
coordinazione motoria. Ogni volta che le “mappe neurali” di una persona si modificano, la persona stessa cambia”.
Chiedo
venia per questo particolare excursus in un campo al di fuori delle mie
competenze e conoscenze, ma non altrimenti mi sembrava potermi
avvicinare con discreta chiarezza alle ‘conclusioni’ preannunciate che -
se non richiedessero appunto un notevole bagaglio tecnico/scientifico -
potrebbero fornire almeno il senso delle risposte ai quesiti posti dal
Dott. Gianpaolo Pegoretti al termine del suo studio: “In
questo scritto ho voluto ricostruire un percorso, interpretandolo
secondo una logica dello svelamento. In altre parole ho scelto un
atteggiamento di apertura verso quella che considero una nuova verità,
un discorso che mostri qualcosa che prima non si vedeva, riguardo alla
mente. Ora la domanda che pongo diventa: che cosa genera questa
posizione? Quali ricerche, quali conoscenze possono derivare dall’idea
della mente qui tratteggiata?”.
La “nuova verità” - ecco il punto - a mio parere sarebbe questa (è diventata o lo starebbe diventando).
La
struttura dell’in-formazione, che fino a non molti anni fa non
costituiva il “cuore/cervello” pulsante di tutto il corpus sociale (la massa)
ma ne era soltanto una componente pur significativa (una
infra-struttura appunto), ha fatto delle “immagini” (i filmati) coi suoi
insiti linguaggi, il suo
“strumento” più incisivo, diffuso e invasivo, soppiantando sempre di
più, fra l’altro, il testo scritto (e foto-grafico), ridotto ad una
banale essenzialità, favorita anche dal crescente utilizzo della rete
informatica (esemplare il caso di You Tube) anche attraverso supporti
elettronici come Smart phone, I-pad e Tablet. La “comunicazione visiva”,
insomma, ha surclassato ogni altro strumento di fruizione culturale
(in specie fra i giovani) allargando in modo enorme - soprattutto nel
nostro Paese di scarse letture - la “distinzione cognitiva” di gruppo, che dovrebbe evidenziare la diversità di ricezione dello stesso rispetto ad altre comunità di persone; ruolo che la sociologia affida alla cosìdetta “mente sociale”.
Se in parte sono state anche le ‘immagini’, quindi e per tornare a Pasolini, ad aver “omologato”(uniformandone i pensieri, il comune sentire, il carattere) la massa dei cittadini-utenti fruitori,oggi in modo pressoché esclusivo le stesse ‘immagini-video’,con
la loro ridondanza ossessiva quotidiana (sempre televisiva nelle
abitazionie nei locali pubblici, nonché ad amplificazione e indirizzo
crescente sul Web) si può sostenere o supporre che stiano portando ad
“incidere” in modo imprevedibile e profondo sulle “mappe neurali” del
cervello, modificando - attraverso influenze più o meno pesanti sull’attività delle sinapsi (perciò sui neuroni) - il DNA delle future generazioni?
Se le idee sono ‘immagini’
del nostro cervello, quale tipo di cognizioni (e indotte) potranno
scaturire dalla valanga di filmati che sempre di più stanno
accompagnando e impregnando il contesto civile?
E’ in gioco così, anche in termini di “accelerazione” violenta, il meccanismo bio/chimico descritto con il “Darwinismo neurale evoluzionista”
da Gerald Edelman (citato sempre da Pegoretti) e attraverso cui viene
data origine a tutte le forme di memoria, alle capacità acquisite, a
tutto quanto si definisce cultura?
Quanto
più accentuato e facilitato sarà il “potere” di controllo,
condizionamento e manipolazione ideale/comportamentale, accompagnato fra
l’altro dall’illusoria certezza di essere e sentirsi più “liberi e
informati”?
Io non possiedo le prove scientifiche che tale “processo mutante” di contaminazione visiva
sia in corso davvero a livello generalizzato o invece se, come e quando
potrà influire in modo sensibile sui cervelli e sulle menti degli
individui futuri. Affido perciò agli studiosi le eventuali risposte
tecniche, ma la mia opinione intellettuale, priva di dubbio,è approdata a
quel “qualcosa in più, didiverso e perverso, inaspettato e per certi aspetti, di tragico e orrendo” che evidenziavo all’inizio.
La
“mutazione antropologica” verificata e denunciata da Pier Paolo
Pasolini quasi quarant’anni fa, non soltanto ha ‘percorso’ con crescente
e degradante intensità il “cammino” preordinato dallo sviluppo
tecnologico del capitalismo (in tutte le sue mutevoli espressioni,
anche nominali), ma è giunta ad un punto di “approdo”, ad una conclusione;
più impercettibile e nascosta delle trasformazioni fisico-culturali
originarie, non per questo però meno devastante, anche per il suo senso
di irreparabile “assolutezza”.
Dal
“regno” nefasto delle Televisioni, io ne sono convinto con angosciante e
razionale percezione, è nato (o sta nascendo) “un Uomo Nuovo”.
Giorgio Quaglia
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